Nel Pd ora volano gli stracci. Borgonovo Re annuncia le dimissioni da presidente, Gilmozzi sotto accusa
Olivi e Olivieri contro il segretario. Accuse anche ai consiglieri provinciali: "Molti di loro non hanno fatto nulla per il referendum"
TRENTO. Nel Partito Democratico volano gli stracci. L'altro ieri durante il coordinamento convocato nella sede provinciale dal segretario Italo Gilmozzi la presidente dell'assemblea Donata Borgonovo Re è arrivata con le dimissioni in mano, Alessandro Olivi se l'è presa con Gilmozzi e Olivieri con tutti, nessuno escluso.
“Il Pd ha investito sul Sì in questo referendum, io stessa ho portato in assemblea un documento che impegnava il partito su questo – ha detto Borgonovo Re leggendo le parole scritte sulla mail che nel pomeriggio aveva inviato ad alcuni esponenti dem – ho girato il territorio facendo incontri e dibattiti, quindi mi assumo la mia parte di responsabilità”.
Ora non si capisce se queste dimissioni rimangono sul tavolo, se sono state ritirate, “il coordinamento ha discusso sul fatto che le responsabilità non sono personali, che si porterà in assemblea un documento di analisi sul quale ci si confronterà”.
Ma non era certo la consigliera Borgonovo nel mirino dei presenti. Alessandro Olivi ha attaccato il vertice del partito, lo stesso Gilmozzi di cui è stato all'ultimo congresso il sostenitore numero uno. Se non di dimissioni del segretario, che sembra abbia comunque timidamente messo per un attimo sullo stesso tavolo su cui erano appoggiate quelle della presidente del partito, Olivi avrebbe però chiesto una nuova segreteria.
“Vedrò di integrarla – afferma Gilmozzi che tenta di smorzare la polemica – ma avevo in mente di farlo a prescindere da tutto questo”. Il segretario nega che ieri ci sia stato il redde rationem in casa Pd, che qualcuno abbia alzato i toni: “Non direi questo, il partito, come altri partiti, ha bisogno di strutturarsi sul territorio. È chiaro che c'è malcontento – afferma Gilmozzi – è stato proposto un cambio di segreteria ma non in senso polemico”.
Anche Gigi Olivieri sembra abbia calcato la mano, anche lui avrebbe chiesto un cambio di marcia. L'accusa di Olivi e Olivieri in sostanza è questa: dopo il congresso, con la nuova segreteria, il Pd non ha ancora trovato la sua collocazione, non ha saputo mettersi in moto e non è riuscito nemmeno a determinare una presenza politica forte all'interno della coalizione di governo. E ha perso il referendum anche in Trentino.
“Ma se Olivi voleva una persona forte, un politico dal pugno duro come segretario del partito le ipotesi sono due – vocifera qualcuno – o non conosceva affatto il profilo personale e politico di Italo Gilmozzi, oppure le strategie erano quelle proprio quelle di eleggere un segretario debole, di transizione”.
Chissà. Sta di fatto che la maggioranza che ha portato Gilmozzi alla segreteria aveva sottoscritto una tesi che metteva al primo punto proprio il sostegno del Sì e l'impegno per farlo vincere. Ma sono pochi i grandi elettori di Gilmozzi che in questa campagna si sono dati anima e corpo. (Pochissimi, prossimi allo zero quelli che hanno sostenuto al congresso Elisabetta Bozzarelli, ovvero il 40% del partito)
Sembra che sul tavolo del coordinamento, libero ormai dalle dimissioni che presto presto sono state tolte di mezzo, sia però girato un foglietto con i conti della serva. Il nome di ogni consigliere provinciale e vicino al nome il numero di incontri e dibattiti a cui ha partecipato.
Donata Borgonovo Re la prima in classifica, chiamata spesso alle iniziative anche in virtù della sua preparazione giuridica, poi Lucia Maestri che avrebbe sostenuto in sei o sette dibattiti le ragioni della riforma e giù a scendere con le sporadiche apparizioni del capogruppo Alessio Manica e, a parte Violetta Plotegher che apertamente ha dichiarato che avrebbe votato No e Bruno Dorigatti che il suo No l'ha sussurrato senza dirlo apertamente celandosi dietro il suo profilo istituzionale, a parte loro rimane Mattia Civico: non risulta pervenuto. Scomparso dal dibattito e anche dal coordinamento post voto di lunedì scorso.
"Ma non solo i consiglieri provinciali- si scopre parlando con qualcuno dei presenti - anche il sindaco di Trento Alessandro Andreatta è stato accusato di non essersi impegnato". Ma più che di responsabilità personali, è vero, nel coordinamento sembra che sia stata criticata la gestione del Comitato per il Sì, "la sua organizzazione, le sue scelte comunicative".
Che il Pd, come partito, come organizzazione, sia rimasto un poco ai margini lo si sapeva già. La notte dei risultati la sede era desolatamente vuota, il popolo del pd, i democratici, i tanti eletti della provincia, del comune, delle circoscrizioni erano a casa loro a guardare la maratona Mentana in solitaria. Qualcuno a tifare addirittura per il No.
Ma le discussioni non si fanno mica solo in coordinamento. Volano gli stracci anche tra gli iscritti e i simpatizzanti.
"Che dire di un partito che localmente va a congresso e tutti votano, minoranza compresa, l'appoggio alla riforma e poi, dopo che gran parte degli istituzionali o dirigenti non si sono fatti vedere ai gazebo e alle iniziative dei comitati per il sì sul territorio, quattro giorni prima del voto membri importanti della minoranza, un ex sindaco, un capogruppo al comune più grosso, e parecchi altri, escono con un appello per votare no, pugnalando alle spalle quei coglioni che da giorni si dannavano ad organizzare gazebo, diffondere materiale ecc.?" .
Un altro militante, deluso: "Noi che ci siamo impegnati ci siamo impegnati anche per gli altri - afferma - e pensare che io non sono nemmeno tesserato ma mi sono impegnato come simpatizzante, come sostenitore del referendum". Ma quanti eravate in città nel Comitato? " Abbiamo fatto tutto in una ventina di persone, non di più. Quando è ovvio che c'è una incazzatura, come mai nessuno ha mosso paglia? La risposta è ovvia - afferma - il Pd è un partito diviso in cui tutti si parlano addosso, uno contro l'altro, e questo è l'effetto".
"Questo fa male - dice sconsolato - siamo stati lasciati soli dal partito, nemmeno i consiglieri provinciali, molto pochi, consiglieri comunali due, non abbiamo visto nemmeno le circoscrizioni, solo poche eccezioni. E' necessario un chiarimento, è imprescindibile altrimenti non si va da nessuna parte". E forse ha ragione, da nessuna parte.