Le elezioni Usa viste da un trentino a Harvard: "La vittoria di Trump qui è vissuta come un incubo"
Andrea Passalacqua, dottorando in Economics ad Harvard, ci racconta il clima che si sta vivendo in America a pochi giorni dal voto: "La campagna elettorale qui è uno show. Trump anche dai repubblicani di Boston è visto come un errore commesso nelle primarie. Hilary rappresenta un'occasione per tutte le donne"
BOSTON. Le elezioni per scegliere il 45esimo presidente degli Stati Uniti sono imminenti. Tutti attendono con ansia una decisione che, nel bene o nel male, influirà sul loro destino. Abbiamo chiesto ad Andrea Passalacqua, trentino, dottorando in Economics ad Harvard, di raccontarci come si vive questa attesa dal centro culturale nevralgico della East Coast. Due sono le sensazioni dominanti per chi, come noi europei, vive da lontano l'avvicinarsi dell'evento: incertezza e paura. Il tempo si sta esaurendo, a breve si apriranno i seggi e l'8 novembre si saprà il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti. Il candidato eletto sarà quello in grado di raggiungere la soglia dei 270 voti elettorali raggruppati, definiti “grandi elettori”. Infatti negli Stati Uniti l'elezione del presidente non è diretta, ma passa attraverso la somma dei grandi elettori, in totale 585, divisi tra i 50 stati in proporzione alla loro popolazione. Chi vince in uno stato si aggiudica, a prescindere dalla percentuale dei voti, tutti i suoi grandi elettori (tranne che in Nebraska e in Maine, dove vige il proporzionale).
Questo spiega come mai il voto negli Stati Uniti rimanga spesso una grande incognita. Per esempio Florida e Ohio, stati storicamente indecisi, scelgono rispettivamente 29 e 18 grandi elettori: con un semplice calcolo si capisce che questi da soli rappresentano ben il 17% dell'elettorato statunitense. Ecco allora uno degli ultimi sondaggi che aiuta anche a capire come sono suddivisi i raggruppamenti.
L'elezione del nuovo presidente americano avviene sempre in un clima particolare. Oltre ad essere difficilmente prevedibile porta con sé uno stato di attesa enorme, frutto di una campagna elettorale che per consuetudine è una rappresentazione mediatica costruita sulla dialettica apocalittica. Da questa dialettica trae tutta la forza per imporsi al pubblico come vero e proprio “Giorno del Giudizio”. La nostra ansia conferma la sua riuscita. Visto da oltreoceano questo rituale, che passa sempre attraverso la demonizzazione dell'avversario, sembra costantemente precipitare verso i toni esasperati della salvezza o della distruzione della nazione americana e non solo. La prossima elezione a causa dell'avvento di Donald Trump, outsider grottesco, sembra aver acuito questa consueta deriva, per spingerla al suo estremo. Dall'altro lato, però, anche Hilary Clinton, moglie dell'ex presidente Bill, democratica, non convince fino in fondo associata all'establishment e ai grandi gruppi di potere internazionale.
Andrea anche dall'America, nel “centro del ciclone”, si avverte questo clima da dentro o fuori? O essendo abituati a questo show negli Stati Uniti viene dato un peso diverso a certe rappresentazioni?
No anzi, sono assolutamente d’accordo con le impressioni che avete avvertito dall’Italia. Se da una parte è vero che gli Stati Uniti vivono le elezioni presidenziali in maniera molto teatrale, con una serie di dibattiti a partire dalle primarie per finire con le elezioni presidenziali, è anche vero che queste elezioni presidenziali sono davvero particolari, anche per un paese come gli Stati Uniti. La ragione è sicuramente riconducibile ai due candidati che abbiamo di fronte. Da una parte Donald Trump, che ha portato avanti una strategia molto aggressiva basata su affermazioni decisamente poco politically correct e decisamente estreme già a partire dalle elezioni primarie e dall’altra Hilary Clinton, che ha vissuto di politica tutta la sua vita in diversi ruoli – senatrice, First Lady, Segretario di Stato - che potrebbe diventare martedì il primo presidente americano donna. Queste caratteristiche specifiche dei due candidati hanno reso queste elezioni presidenziali uniche nel suo genere.
Come si è vissuto questo ultimo periodo?
Devo dire che l’ultimo periodo è stato davvero coinvolgente per una serie di motivi. I 3 dibattiti tra Donald Trump e Hilary Clinton che si sono svolti nelle ultime settimane sono stati sicuramente oggetto di dibattito tra gli studenti e sono stati analizzati ampiamente dai media. Un clima più impegnato e denso di agonismo rispetto alle campagne elettorali italiane e ai suoi dibattiti usuali. I dibattiti qui si vivevano come fossero una partita di calcio. Pronostici all’inizio: chi lo vincerà? Che strategia userà Trump? Parlerà delle sue folli idee rispetto alla creazione del muro al confine con il Messico? Quando Hilary Clinton attaccherà Trump per le sue dichiarazioni rispetto al suo rapporto con le donne? E poi c'è il “post-partita” con l’unico problema che in un dibattito non c’è un chiaro vincente e perdente ma la scelta è arbitraria e dipende dalla percezione delle singole persone. Dal punto di vista dei contenuti sono stato davvero sorpreso dalla pochezza degli argomenti in termini di politiche future discusse dai due candidati. I dibattiti si sono rivelati per lo più accuse di un candidato all’altro rispetto a gossip rivelati dai media–dallo scandalo delle email di Hilary Clinton, all’accusa di non aver mai pagato le tasse federali a Donald Trump o al suo comportamento assolutamente inqualificabile nei confronti delle donne. E’ interessante osservare come l’università nella quale sto conducendo i miei studi di dottorato, Harvard University, abbia organizzato molte iniziative per la sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alle elezioni presidenziali. Se da una parte l’università e le associazioni ad essa collegate hanno avuto un ruolo attivo nell’organizzazione di dibattiti interessanti, dall’altra gli stessi studenti si sono dimostrati molto coinvolti e partecipi. Ciò dimostra l'estrema importanza che tutti avvertono riguardo questo evento.
Ritornando al sentimento generale provocato dall'avvicinarsi da queste elezioni: è veramente percepibile uno stato di paura, di latente catastrofismo, per la possibile elezione di Donald Trump?
Vivendo in uno stato “blu” (cioè, Democratico) devo dire che la possibile elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti è vissuta come fosse un incubo. Qui a Boston è davvero difficile trovare sostenitori di Donald Trump, la città ha una tradizione da Democrats. Questo anche perché la presenza di poli universitari prestigiosi (Harvard, MIT su tutti) attrae nel bacino di Boston persone qui principalmente per studiare o con importanti percorsi alle spalle e che davvero percepiscono come reale il potenziale rischio insito nell’avere Donald Trump come presidente. Ma non è solo questo. La sensazione che Trump sia il risultato di un errore commesso durante le primarie dei Repubblicani è avvalorata poi dal fatto che tra i Repubblicani “intellettuali” è condivisa l'idea che questo candidato non sia all’altezza della carica di presidente degli Stati Uniti. Ad esempio, Harvard Republican Club ha ufficialmente declinato l’appoggio all’elezione del candidato Repubblicano per queste elezioni. Ma non solo: in una lettera scritta e firmata da più di 200 professori di economia tra i quali tanti Repubblicani hard-core e persino 8 Nobel Prizes si enfatizza il fatto che avere Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti è un rischio enorme e che gli americani dovrebbero far di tutto per evitarlo. Persino George H.W. Bush, ex presidente degli Stati Uniti per il partito Repubblicano ha ufficialmente declinato il voto per il candidato repubblicano. Altro fatto eclatante è che una rivista superparters come “The Atlantic” ha deciso di fare un endorsement contro Donald Trump. La cosa interessante è che “The Atlantic”, che pubblica sin dal secolo passato, solo tre altre volte si era espressa a favore o contro un candidato. A prescindere dal risultato rimarrà il dovere di analizzare come Trump sia potuto arrivare sin qui.
Infine, ritornando alla candita democratica Hilary Clinton, come si deve leggere la sua candidatura?
Di fatto la scelta più ovvia in queste elezioni è quella di votare di Hilary Clinton. Molti la giudicano una scelta dovuta dalla presenza dall’altra parte di una candidato incandidabile. Molti vedono Hilary Clinton come una candidata non ideale che ha vissuto di politica tutta la vita e che ha fatto di tutto per arrivare a questo punto. Io onestamente non la penso così. A mio avviso invece l’elezione di Hilary Clinton è una grossa opportunità per creare maggiore sensibilizzazione sul ruolo della donna nella società. Perché, se da una parte è vero che la società ha fatto grandi passi in avanti dal punto di vista dei diritti civili, dall’altra il famoso gender gap e, più in generale, il diverso trattamento della donna esiste tutt'oggi. Ma molto più semplicemente un presidente donna può e deve essere un modello per tutte le bambine che cresceranno negli anni futuri pensando che se una donna è riuscita ad arrivare cosi in alto, allora anche loro possono cullare sogni simili, e questo è un argomento forte e condiviso da molti. Cosi come il Presidente Barack Omaba è diventato un modello per le persone di colore, anche Hilary Clinton lo potrebbe diventare per le donne. C'è bisogno oggi, ancora e purtroppo, ed è quello che qui si avverte con maggior intensità, di una donna presidente per far capire alle persone che non è ok trattare le donne puramente come oggetti sessuali, che non è ok giudicarle solamente basandosi sull’aspetto fisico, che non è ok pagarle di meno, che non è ok non assumerle solo perché in futuro vorranno avere un bambino. Sembrano cose ovvie ma, purtroppo, per molte persone non lo sono e credo che queste elezioni siano una opportunità fondamentale proprio da questo punto di vista.