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Tra Bazovizza e "memoria condivisa", il discorso di Ianeselli è all'insegna della confusione. Ma De Bertoldi incalza: “Perché non condanna i comunisti?”

Nel Giorno del Ricordo 2021 si sono ripresentati i soliti schemi, dal "faccia a faccia" che blocca Largo Pigarelli nella serata di vigilia, ai discorsi confusi e intrisi di retorica. Protagonista quest'anno, per la prima volta, il sindaco di Trento Franco Ianeselli

Di Davide Leveghi - 10 febbraio 2021 - 17:29

TRENTO. Niente di nuovo sul “fronte orientale”. Anche quest'anno, infatti, la giornata di commemorazioni per “le vittime delle foibe, l'esodo giuliano-dalmata e le complesse vicende del confine orientale” vive dei soliti schemi, a partire dal “duello blindatotra i militanti di Casapound e gli antifascisti militanti.

 

Nella serata di martedì 9 febbraio, Largo Pigarelli si è trasformato in una fortezza presidiata da un ingente schieramento di forze dell'ordine. Da una parte, la cerimonia tra fiaccole, “presente” e saluti romani, dall'altra i cori, i visi coperti, gli slogan dell'antifascismo militante. La tensione è come sempre palpabile, anche se le forze dell'ordine presidiano il tutto senza che accada nulla di particolare.

 

Passata la vigilia, tocca poi alle istituzioni prendersi carico della commemorazione. Ed è qui che si ripetono i discorsi stereotipati, strumentali, perfino tossici, non solo da parte di chi, per motivi di opportunismo politico, si è convertito dal separatismo padano al nazionalismo italiano e siede ora in Provincia. È infatti il primo cittadino di Trento Franco Ianeselli – che qualche oppositore politico presentava in campagna elettorale come un “bolscevico” - a inciampare in una retorica trita e ritrita, tra contraddizioni in termini e pregiudizi, di cui ormai molti rappresentanti della sua parte politica si sono fatti interpreti.

 

Autore di un videomessaggio diretto alla cittadinanza ha echeggiato la narrazione dominante del Giorno del Ricordo, con le tinte nazionalistiche che la caratterizzano, a partire dalla stessa riflessione sulla data (QUI e QUI degli approfondimenti). “Il 10 febbraio dovrebbe essere una data di pace – ha esordito – quel giorno del 1947 si firmavano i trattati di Parigi per il superamento delle ostilità e la rinascita democratica dell'Europa. Sappiamo però che dal 2004 il Giorno del Ricordo è una ricorrenza contrastata e contestata”.

 

“La memoria delle uccisioni delle foibe, delle violenze esercitate tra il 1943 e il 1945 dai miliziani di Tito e dell'esodo giuliano-dalmata è vittima di un duplice insulto. Il primo è di chi nega quei fatti terribili o li riduce a una resa dei conti che ha colpito esclusivamente i criminali fascisti, stabilendo un'equazione falsa e fuorviante tra italiani e camice nere. E il secondo, speculare e in parte collegato al primo, è quello di chi sfrutta politicamente il Giorno del Ricordo e lo trasforma in propaganda di parte ed esaltazione del Ventennio”.

 

Ma cosa c'entra il 10 febbraio “data di pace” con il 10 febbraio data che sancisce la perdita da parte dell'Italia dei territori (tra gli altri) del Carnaro, di Zara, dell'Istria e di Trieste? Non è forse questa precisa scelta un segno evidente di un presupposto nazionalistico della commemorazione? Ianeselli prosegue nello stesso equivoco degli ex-comunisti, che al tempo dell'istituzione del Giorno del Ricordo, assecondarono l'estrema destra per presentarsi come una forza nazionale. A dimostrarlo, l'inevitabile riferimento alla “memoria condivisa e pacificata” - su cui spesso abbiamo scritto, dimostrando come sia la storia, non la memoria, che per definizione è individuale, a poter essere condivisa.

 

“Siamo qui invece per rivendicare il diritto a una memoria pacificata e condivisa – continua – siamo qui per dire che il ricordo delle foibe e delle terribili sofferenze degli italiani, cacciati dalle proprie case in Istria e Dalmazia dopo il 1943, appartiene alla nostra città, che oggi annovera molti discendenti di quegli esuli forzati. Interverremo presto sul monumento (di Largo Pigarelli, ndr) per valorizzare e rendere più visibile questa memoria, per aggiornarla e per trasmetterla alle nuove generazioni”.

 

È l'ultimo passaggio, però, a mostrare la confusione che regna nel messaggio del sindaco trentino. “Credo che il modello a cui guardare sia quello indicato nel luglio scorso dal presidente della Repubblica Mattarella e dal suo omologo sloveno Pahor, che a Basovizza hanno ricordato mano per mano gli antifascisti sloveni fucilati dal regime di Mussolini e i 2000 morti italiani, tra militari e civili, scaraventati nel famigerato pozzo sull'altipiano carsico. E invitiamo i giovani a recarsi a Basovizza per vedere quel luogo. Quella che vogliamo è una memoria intera, fondata sullo studio serio e rigoroso dei documenti, che sa distinguere torti e ragioni, che prevede pietà per tutte vittime, che promuove riconciliazione per andare oltre”.

 

L'unico elemento di certezza in quest'ultimo passaggio risiede nell'utilizzo della parola “pozzo” - quello di Basovizza, come si pensa normalmente, non era una una foiba, bensì un pozzo minerario. Per il resto, Ianeselli riesce a mettere nella stessa frase quella che è una contraddizioni in termini, cioè la “memoria intera fondata sulle studio serio e rigoroso dei documenti” - in un interscambio scorretto tra i concetti di storia e di memoriaed un luogo, il monumento di Basovizza, su cui la stessa ricerca non ha mai dato risultati certi. Non esistono prove documentarie, infatti, che certifichino esecuzioni o sepolture nel luogo dove sorge, e la gran parte dei cadaveri rinvenuti apparteneva a soldati tedeschi, non ad un fantomatico numero di “2000 italiani, tra militari e civili”.

 

La scelta di Basovizza come luogo simbolo della tragedia degli italiani adriatici, non basata sui documenti, fu fatta nella direzione contraria dello “spirito di riconciliazione” di cui sarebbe stata esempio la cerimonia di luglio, proprio perché lì vicino si trovava lo scenario della fucilazione dei 4 antifascisti sloveni avvenuta nel 1930 - ne avevamo parlato con lo storico Eric Gobetti, esempio emblematico di come gli storici, quando parlano di fonti e documenti, vengono attaccati perché in contrasto con la narrazione ufficiale sulla questione (QUI e QUI gli articoli). 

 

Se il discorso del sindaco, dunque, non è stato dei migliori, a qualcun altro le sue parole non sono parse abbastanza. Si tratta del senatore di Fratelli d'Italia Andrea De Bertoldi, che in una nota ha voluto incalzare il primo cittadino trentino a prendere una posizione più netta. “Prendo atto con piacere che abbia voluto ricordare senza infingimenti il dramma delle foibe, per troppi anni vergognosamente negato e strumentalizzato dalla Sinistra italiana. Lo invito però, sull'esempio del Presidente della Repubblica Mattarella, a qualificare gli stragisti dell'epoca con il loro nome e cognome: partigiani comunisti titini, purtroppo anche di nazionalità italiana”.

 

Credo che la Sinistra italiana – prosegue - ed auspico pure quella trentina, debbano infatti accettare serenamente le inequivocabili conclusioni storiche del Parlamento europeo sui regimi nazisti e comunisti, equiparati nell'orrore e nella condanna con la risoluzione del settembre 2019 – tema che avevamo trattato anche noi (QUI nel 2019 e QUI a un anno di distanza) – ho invece notato con estremo dispiacere che il comunicato del sindaco di Trento è ridondante di richiami al fascismo, ma non ha ricompreso neppure una volta il termine comunismo. Credo che la verità storica debba prevalere anche sul passato politico di ciascuno”.

 

“I massacri delle foibe sono un pezzo della nostra storia negato per troppi anni, spesso oggetto di strumentalizzazione politica e di negazionismo – ha scritto invece l'assessore alla Cultura della Provincia di Trento Mirko Bisesti, intervenuto in mattinata in un incontro online con la Consulta degli studenti – per questo ho proposto di integrare le attività correnti con un viaggio nei luoghi del ricordo al confine nord-est del nostro Paese, non appena sarà possibile”. Incontro, quello proposto, a cui farebbero da accompagnamento gli studiosi della Fondazione Museo storico, a garanzia di una contestualizzazione necessaria per comprendere le “complesse vicende del confine orientale”. 

 

E proprio il contesto, mancato nel discorso del sindaco come nel rimprovero di De Bertoldi, è al centro invece dell'iniziativa dell'Anpi dell'Alto Adige Südtirol, che non solo ha tenuto una commemorazione alla stele del Lungotalvera ma che anche ha organizzato un evento dedicato proprio alla ricostruzione dello scenario storico in cui avvennero i fatti in questione. Dalle 18 di venerdì 12 febbraio si terrà un dialogo online sul libro di Claudio Vercelli Frontiere contese a Nord Est. L'Alto Adriatico, le foibe e l'esodo giuliano-dalmata. A dimostrazione che chi rappresenta una memoria (per definizione e seriamente), non può prescindere dalla storia.

 

 

Sul tema della memoria e delle ricorrenze in ricordo della Shoah e delle "foibe" abbiamo dedicato anche quest'anno un ciclo di approfondimenti chiamato appunto "Memory 27/1-10/2". 

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