L’occidente volta le spalle ai curdi che hanno sconfitto l’Isis: via libera all’invasione turca del Rojava
L’ambiguo presidente turco Erdoğan prepara la resa dei conti contro le Forze Democratiche Siriane da sempre ritenute una spina nel fianco. Unione Europea e Stati Uniti, dopo essersi serviti dei curdi per combattere il Califfato ora si girano dall’altra parte si teme un massacro
SIRIA. “La cosa certa è che sarà un massacro” non usa mezzi termini Raffaele Crocco storico giornalista Rai, reporter di guerra nonché principale animatore e firma dell’Atlante delle Guerre sul quale ha pubblicato un editoriale dall’emblematico titolo “Vergogna”.
Sì, vergogna, perché come spiega Crocco dopo aver usato i curdi come barriera contro lo Stato Islamico (altrimenti noto come Isis o Daesh) ora l’occidente abbandonerà questi combattenti in balia del presidente turco Erdoğan e delle ultime sacche di resistenza composte da miliziani dello Stato Islamico.
Ma per provare a capire meglio è necessario fare un passo indietro di alcuni anni, quando nel marzo 2011 in Siria scoppia la guerra civile.
Dopo aver consolidato le proprie posizioni in Iraq, sfruttando il malcontento della popolazione sunnita, lo Stato Islamico ha imperversato in Siria dove da alcuni anni si stava già combattendo una feroce guerra, senza trovare una reale resistenza dal momento che l’esercito del presidente Assad era concentrato a combattere i ribelli lungo la costa dove si concentrano le principali città.
In tutto questo, dopo il ritiro delle truppe lealiste, la popolazione curda concentrata nel nord della Siria è riuscita a ritagliarsi ampi spazi di autonomia avviando un esperimento politico e sociale meglio conosciuto come “Confederalismo democratico”. Una piattaforma politico-sociale sviluppata da Abdullah Öcalan, che fra le altre cose ha contribuito fortemente all’emancipazione delle donne di quei territori.
Ulteriore variabile all’intero dello scenario c’è da tener conto della miriade di potenze regionali e globali che sono intervenute con modalità diverse all’interno della guerra.
Russia, Iran e i miliziani libanesi di Hezbollah si sono schierati fin da subito a sostegno del presidente Assad, intervenendo anche con le proprie truppe e dando supporto aereo, ma nelle vicende curde resteranno, per quanto possibile, sullo sfondo.
Nel 2014 lo stato guidato da Abū Bakr al-Baghdādī toccherà la sua massima espansione, provocando la reazione occidentale e come ricorda Crocco: “le popolazioni appartenenti a minoranze etniche e religiose presenti nelle aree controllate e sotto assedio da parte di Daesh erano sottoposte a sistematiche violenze e torture”.
In questa chiave le forze curde si sono rivelate un alleato fondamentale dapprima opponendosi all’avanzata dell’Isis, culminata nel feroce assedio di Kobanê, durato dal 13 settembre 2014 al 15 marzo 2015 e che ha visto contrapposte i sostenitori del califfato a varie milizie curde (fra cui le Unità di Protezione Popolare e le Unità di Protezione delle Donne in prima linea nel conflitto). Durante le operazioni di terra i curdi hanno goduto dell’appoggio aereo offerto da una coalizione internazionale a guida statunitense.
Sono in molti che individuano nell’esito favorevole di questa battaglia l’inizio della riscossa curda e il crollo dello Stato islamico, culminato con la cattura della capitale dello Stato islamico al-Raqqa, sempre per mano delle Forze Democratiche Siriane. Milizie a maggioranza curda ma che ospitano al loro interno (cosa piuttosto inedita per gli scenari mediorientali) anche combattenti di altre etnie come: turkmeni, armeni, ceceni e una brigata internazionale composta da occidentali come l’italiano Lorenzo Orsetti, caduto in Siria.
Ora però, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato che ritirerà i propri militari dal nordest del paese, permettendo ai turchi di invadere l’area con l’obiettivo dichiarato di creare una “safe zone” ma soprattutto per sbarazzarsi della “spina nel fianco curda” che Ankara considera senza mezzi termini li considera “terroristi”.
L’annuncio della Casa Bianca è arrivato in maniera inaspettata, anche se già in un’occasione il presidente Trump aveva manifestato la sua volontà di ritirare le truppe. I curdi ora dovranno vedersela anche con l’esercito turco, il secondo per dimensioni all’interno della Nato, surclassato solo da quello statunitense (per avere un raffronto l’Italia è al decimo posto). E si troveranno schiacciati fra due fronti: da un lato la Turchia dall’altro le sacche di resistenza dell’Isis.
Peraltro lo stesso destino era toccato al cantone di Afrin, quando la Russia ritirò i suoi soldati (in barba agli accordi) permettendo a jihadisti e turchi di prendere possesso dei territori precedentemente sotto il controllo curdo.
L'Isis, come sottolinea Crocco, "non è morto e tornerà, proprio come frutto marcio del nostro nuovo voltafaccia”. Ma il reporter di guerra non si ferma qui e riprende “Hanno lottato al nostro posto e noi li abbiamo applauditi, abbiamo ammirato il loro modo diverso di intendere l’Islam, abbiamo lodato la loro modernità, la capacità di essere laici, democratici, aperti”.
Adesso i curdi però saranno ripagati con la moneta del tradimento, sacrificati sull’altare della geopolitica che vede Washington preoccupata per l’avvicinamento fra Russia e Turchia e per questo non vuole perdere un alleato fondamentale.
Le popolazioni del Rojava sognavano, dopo anni di attese e promesse mancate, di raggiungere la tanto agognata autonomia ma invece si devono preparare ad accogliere l’invasore turco che non lesinerà su bombe, missili e proiettili.
Nello scenario che si sta prefigurando l’unica certezza è che ci sarà un grande spargimento di sangue da entrambe le parti, perché se è pur vero che la Turchia vanta un’ampia copertura aerea e il secondo esercito della Nato, le Forze Democratiche Siriane sono meglio motivate e possono contare sull’esperienza maturata in anni di guerriglia e battaglie campali senza dimenticare che godono di una migliore conoscenza del territorio spesso decisiva in questo tipo di confronti.
Come troppo spesso accade l’occidente con l’Unione Europea in prima fila rimarranno probabilmente immobili senza prendere una posizione, troppo spaventati per agire e troppo legati a un capo di governo “amico di comodo” come Erdoğan che nell’ombra pianifica da tempo la sua “incoronazione” a sultano nonché al ruolo di prima potenza regionale.