"Ci sono più avvocati che idraulici", in poco più di un decennio quasi un quarto degli artigiani sono "spariti". La Cgia: "Investire sulla scuola per salvare il settore"
In calo anche il numero delle imprese artigiane: tra le cause lo scarso interesse di giovani nei confronti del lavoro manuale, la mancata programmazione formativa e l’incapacità di migliorare la qualità dell’orientamento scolastico
TRENTO. In Italia, ma anche in regione, continua a scendere il numero degli artigiani, cioè delle persone che – in qualità di titolari, soci o collaboratori familiari – svolgono un'attività lavorativa prevalentemente manuale.
Guardando al Trentino Alto Adige, e prendendo in considerazione una finestra temporale di 11 anni dal 2012 al 2023, si è registrato un calo complessivo del 12,8% a fronte del -22% nazionale. Nello specifico, analizzando il quadro delle due province, a stare "meglio", in tutta la penisola, è l'Alto Adige con un calo del 6%, mentre il Trentino si attesta al -18%. Tradotto in numeri: in provincia di Bolzano si è passati da 15.900 artigiani a 14.930, mentre in provincia di Trento da 18.750 a 15.289, con rispettivamente un calo di 970 e 3.461 unità.
A lanciare l'allarme è l'ufficio studi della Cgia (Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre), sulla base dell'elaborazione dei dati forniti dalll’Inps e da Infocamere/Movimprese, che sottolinea: "Se questa tendenza non sarà invertita stabilmente, non è da escludere che entro una decina d’anni sarà molto difficile trovare un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione o manutenzione presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo".
A livello nazionale, viene spiegato, il crollo è stato significativo: nel 2012 gli artigiani erano circa 1 milione e 867 mila unità, mentre lo scorso anno la platea complessiva ha sfiorato quota 1 milione e 456 mila con circa 410 mila soggetti in meno, riduzione interrotta solamente nell'anno post-covid quando si è registrato un aumento di poco più di 2300 unità.
A calare, spiega l'associazione, anche il numero delle aziende artigiane attive, anche se il fenomeno è in parte riconducibile al processo di aggregazione e acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi dei bienni 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021.
"Purtroppo questa spinta verso l’unione aziendale ha compresso la platea degli artigiani, ma ha contribuito positivamente ad aumentare la dimensione media delle imprese – viene specificato - spingendo all’insù anche la produttività di molti comparti: in particolare quelli del trasporto merci, del metalmeccanico, degli installatori impianti e della moda".
Ad essere analizzato nel report è anche un fenomeno culturale che ha interessato diverse professioni manuali: "Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato". E un dato, in tal senso, è significativo: in Italia ci sono infatti più avvocati che idraulici. Secondo la Cgia a causare il fenomeno sono "lo scarso interesse di giovani nei confronti del lavoro manuale, la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni e l’incapacità di migliorare ed elevare la qualità dell’orientamento scolastico".
L'associazione osserva poi come la contrazione degli artigiani (seppur alcuni settori come quello del benessere e dell'informatica presentino dati in controtendenza) sia visibile anche "ad occhio nudo" dal momento che nei centri abitati sono in via d'estinzione le tantissime botteghe artigianali, nella maggior parte dei casi a conduzione familiare, che "sono ormai ridotte al lumicino", pur rappresentando un punto di riferimento per molte persone: "Con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani".
Ma quali sono, secondo l'analisi di Cgia, le principali cause delle chiusure? In primis l’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana con un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza della grande distribuzione e del commercio elettronico e il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali e locali che "hanno costretto molti artigiani a gettare la spugna".
"Una parte della responsabilità è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi dieci anni hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti – viene spiegato – sposando la cultura dell’usa e getta e preferendo il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio".
In ultima battuta, l'associazione lancia uno sguardo alle possibili soluzioni per far riguadagnare all'artigianato "il ruolo che gli compete", osservando come ad essere necessari siano robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro "rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese" e nella convinzione che "l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i vecchi saperi".