Carenza di manodopera, la ricetta di Cgil: "Immigrati, retribuzioni, giovani: andare oltre ai pregiudizi ideologici per dare risposte al mercato del lavoro trentino"
Andrea Grosselli, segretario generale della Cgil del Trentino, fa il punto su un mercato del lavoro sempre più in difficoltà nel trovare un equilibrio tra domanda e offerta: “Ma ogni momento di crisi rappresenta un opportunità per il cambiamento”
TRENTO. Tre priorità fondamentali, un auspicio che si trasforma in speranza: Andrea Grosselli, segretario generale della Cgil del Trentino, nel tracciare un quadro della situazione del lavoro in Trentino non si tira indietro da argomenti scomodi e temi trasversali. Immigrazione, livelli retributivi, giovani e donne: sono questi i temi dove trovare le risposte alle difficoltà di reperimento di personale manifestate dai dati emersi dagli ultimi studi in materia (QUI L'ARTICOLO).
Dottor Grosselli, un dato sembra farsi di anno in anno più inquietante: domanda e offerta, nel mercato del lavoro trentino, fanno sempre più fatica a combaciare. Come sindacato anche voi cogliete questa criticità?
“Assolutamente sì. I dati citati dall'agenzia del lavoro sono inoppugnabili: sta crescendo la difficoltà per le aziende di assumere, e allo stesso tempo i lavoratori sono più mobili. Lo dimostra il dato delle dimissioni che continua a crescere. D'altronde nelle fasi in cui la domanda eccede l'offerta, i lavoratori si guardano in giro, valorizzando e dando priorità a situazioni diverse che possano garantire orari migliori, retribuzioni migliori, o migliori prospettive di crescita. E se anche la “scommessa” non paga, sanno di poter trovare in giro altre occasioni. E poi vale la pena ribadire un concetto”.
Prego.
“Questo problema non è del Trentino. Non è dell'Italia. È di tutta Europa. Ed è una difficoltà che aumenta con il decrescere della natalità, specie in quei Paesi che hanno politiche di chiusure e di “muri alzati” invece che di accoglienza. E il fatto che il problema sia allargato a tutta Europa rende più debole il Trentino. Faccio un esempio, spero efficace: in Germania la disoccupazione è bassissima, in Baviera addirittura intorno al 2%. Insomma, anche lì si fatica a trovare lavoratori. Eppure in Baviera ci sono stipendi molto alti, un welfare ricco, orari di lavoro appetibili. Perché un trentino laureato dovrebbe stare qui a lavorare invece di spostarsi lì? O perché un immigrato dovrebbe fermarsi qui?”
Esistono soluzioni percorribili in tempi brevi per affrontare queste criticità?
“La prima risposta è fin troppo semplice. Servono più immigrati. È la risposta più semplice, ma allo stesso tempo quella più difficile da far capire a chi guida la Provincia, perché su questo tema c'è la barriera di un forte pregiudizio ideologico. Invece servirebbe un approccio più pragmatico, una seria politica migratoria, con flussi certi, che dia garanzie ai lavoratori che arrivano al termine di un percorso regolare di immissione sul mercato del lavoro; ma anche per chi non viene in Trentino direttamente per lavoro, non si può pensare che la soluzione siano dei centri dove le persone sono abbandonate a loro stesse. Occorre offrire servizi, una formazione di base che miri come minimo a far imparare la lingua e a fornire qualche strumento professionalizzante”.
Un ruolo importante, e particolarmente attuale nel dibattito pubblico e politico, è quello dei livelli retributivi.
“Anche qui sarò molto diretto: occorre innalzarli. E francamente, su questo tema si sta facendo davvero troppo poco sotto ogni punto di vista. Il settore che soffre di più è senza dubbio il turismo: ci sono contratti collettivi nazionali per chi lavora nella ristorazione o nelle strutture ricettive che non hanno garantito aumenti di stipendio da ben 6 anni. L'inflazione invece, non c'è bisogno che lo ricordi io, nello stesso periodo è cresciuta tantissimo. Si parla in alcuni casi di una perdita di 2 mensilità, in termini di potere d'acquisto. E su questo tema manca anche la volontà di chi assume ad impegnarsi a garantire una retribuzione più equa e più soddisfacente per i lavoratori”.
E per quanto riguarda i giovani, si sta facendo abbastanza per coinvolgerli ed integrarli nel mercato del lavoro?
“C'è un problema di inserimento. Bisognerebbe perlomeno evitare, specialmente in alcuni settori, l'uso di tirocini e stage che sono al limite dello sfruttamento dei ragazzi, e invece pensare a formule di apprendistato che possano permettere loro di inserirsi con uno stipendio “vero”. Un aspetto che fa la differenza. E c'è un tema di occupazione femminile: in questi anni è cresciuta, ma possiamo fare meglio, basti pensare che siamo molto indietro in termini numerici rispetto a buona parte d'Europa. Anche qui, non si può prescindere dal garantire servizi: pensando non solo al tema dei figli e della maternità, ma anche al prendersi cura dei genitori anziani”.
In Trentino ci sono i presupposti per un cambio di passo?
“Ogni momento di crisi rappresenta un'occasione per grandi opportunità. O almeno, questo è il mio e il nostro auspicio. Forse è il momento di dare il via insieme a un ragionamento su come vogliamo disegnare il nostro futuro, con lungimiranza e qualità. Forse è la volta buona in cui le nostre aziende possano investire in occasioni di progresso tecnologico impattanti: un processo delicato e che andrebbe ben regolato, una transizione non immediata in cui, mantenendo alta l'attenzione ai lavoratori e al lavoro, parte di esso venga sostituito dalla tecnologia e quindi messo a disposizione di altri settori, magari meno soggetti a questi cambiamenti tecnologici. Il Trentino avrebbe tutto per essere un territorio di innovazione e sviluppo, per fare della formazione continua uno dei suoi punti di forza: bisogna cominciare a costruire il futuro, un mattoncino alla volta”.