Calano i Neet ma l'Italia è fanalino di coda in Europa: in Trentino Alto Adige sono 36mila i giovani che non fanno niente (percentuali più alte tra le donne), l'analisi
Secondo quanto emerso dalle analisi Istat, nel 2023 (per il terzo anno consecutivo) l'incidenza dei Neet in Italia (di giovani non occupati e non in istruzione o formazione) è calata, arrivando al 18% dal picco raggiunto nel 2020 (25,5%). Il Dolomiti ha approfondito i dati (che vedono comunque l'Italia agli ultimi posti in Europa, “davanti” solo a Grecia e Romania) con il professore di UniTn Giorgio Cutuli, guardando all'andamento del fenomeno in Trentino Alto Adige
TRENTO. I dati parlano chiaro: dal picco raggiunto nel 2020, il numero di Neet (di giovani non occupati e non in istruzione o formazione) è sceso nettamente in Italia, passando da un ben poco rassicurante 25,5% nella fascia 15-34 anni al 18% registrato da Istat nel 2023. Un calo importante, certo (e frutto principalmente della particolare congiuntura economica nel post-pandemia), ma che lascia il nostro Paese invariabilmente tra i fanalini di coda in Europa, alle prese con un totale di ben 2,15 milioni di Neet sotto i 34 anni (con un'incidenza più marcata tra i non italiani) ed un contesto di diseguaglianze socio-economiche le cui ripercussioni si fanno sentire, in particolare, proprio tra i più giovani. Il Dolomiti ne ha parlato con Giorgio Cutuli, professore all'Università di Trento e specializzato in sociologia dei processi economici e del lavoro, approfondendo anche la situazione a livello regionale dove, come di consueto, l'incidenza del fenomeno è ben più bassa rispetto ai dati nazionali (in presenza, però, di un divario di genere più ampio). Ma procediamo con ordine.
Un'analisi dei numeri
“Su scala nazionale – dice Cutuli – il dato relativo al calo dell'incidenza dei Neet è iniziato già nella prima metà del 2021 ed in maniera più marcata sino a tutto il 2022, dopo il picco legato all'emergenza pandemica”. In termini numerici (guardando sempre alla fascia 15-34 anni) dal 2018 al 2020 l'incidenza è leggermente aumentata (dal 24,6 al 25,5%), per poi calare progressivamente al 24,4% nel 2021 e al 20,8% nel 2022. Andando nello specifico però, continua il professore di UniTn: “Per il confronto tra le rilevazioni 2022 e 2023, dai numeri assoluti della serie storica Istat emerge come a calare maggiormente siano gli inattivi (chi insomma è al di fuori della forza lavoro, distinguendosi dai disoccupati in quanto non attivamente alla ricerca un lavoro ndr), con una contrazione meno marcata tra i disoccupati. Si tratta di un dato ambivalente: se è vero che la componente inattiva tende a rimanere più a lungo esclusa dal mercato del lavoro, d'altra parte diverse ricerche mostrano come tra i disoccupati una quota significativa sia 'di lungo corso', vale a dire da oltre 12 mesi”.
Come anticipato poi, il calo complessivo non pare comunque legato o ascrivibile in modo particolare a riforme o interventi di policy prodotti su scala nazionale negli ultimi 12-18 mesi, continua Cutuli. In altre parole: a spingere verso il basso l'incidenza dei Neet non è stata una mirata azione politica, ma la particolare situazione economica nella fase di ripresa post-pandemica, con tutte le conseguenze (positive) del caso sulla domanda di lavoro (anche tra i più giovani), tanto che una tendenza simile è stata riscontrata anche in Paesi come Spagna e Grecia. “Ciò detto – precisa il professore – i dati aggiornati al 2022, che già scontano questo miglioramento, vedono comunque l'Italia in posizione non particolarmente lusinghiera, al secondo posto in ambito europeo per la quota di Neet nei giovani tra i 15 ed i 29 anni, con tassi di poco al di sotto del 20% ed inferiori alla sola Romania”. I primi della classe, Paesi Bassi e Svezia, hanno segnato tassi nazionali intorno al 5%. Se guardiamo al confronto tra i dati a livello assoluto si parla, nel 2023, di circa 2,15 milioni di individui nella fascia 15-34 anni, di cui oltre 1,3 milioni tra i 18 ed i 29 anni: peggio fanno solo Grecia e Romania in Europa.
Diseguaglianze e abbandono scolastico
A livello nazionale è importante però notare, continua Cutuli: “Che l'incidenza è più marcata tra i giovani non italiani, che mostrano rischi maggiori, soprattutto per quanto riguarda le donne; per queste ultime poi, in generale, la condizione di Neet è particolarmente favorita da bassi livelli di istruzione (in mancanza di laurea o diploma). Più in generale il dato mostra una connessione tra abbandono precoce degli studi (Qui Articolo) e Neet, confermando l'importanza di un costante monitoraggio delle condizioni e dei fattori di rischio in ambito scolastico, a cui affiancare politiche di incentivo (si pensi agli sgravi fiscali lato impresa) ed interventi di attivazione, formazione e follow-up personalizzati da parte dei centri per l'impiego. Un'azione non semplice, che deve inoltre rispondere alla pluralità di profili e condizioni che vengono annoverati sotto un'unica definizione di soggetti Neet. Le stesse politiche andrebbero poi auspicabilmente valutate scientificamente per quanto concerne gli effetti, in modo da massimizzarne l'efficienza".
Il divario Nord-Sud e la situazione in Trentino
Come per altri indicatori di condizioni e rischi socio-economici, la situazione è ben lontana dall'essere omogenea a livello nazionale. “Mentre per il centro-nord i tassi di Neet sono relativamente più contenuti – precisa il professore dell'Ateneo trentino – tra il 10 ed il 12% per gli under 35, nel Mezzogiorno queste percentuali si alzano notevolmente”. Nella fascia 15-34 anni per esempio, in Piemonte la percentuale arriva al 12,6 nel 2023, in Lombardia all'11,5 e in Veneto all'11,3. Lo stesso dato in Campania arriva invece al 31,2%, in Puglia al 25,3 e in Sicilia addirittura al 32,2%. A presentare i tassi più bassi in assoluto a livello nazionale, come anticipato, è invece il Trentino Alto Adige: “In termini comparativi – dice Cutuli – come già visto per gli anni fino al 2020, i dati delle Province di Trento e Bolzano sono i migliori in ambito nazionale: al 2023, per i 15-29enni si conta un 8% di Neet a Bolzano e un 9,7% a Trento, a fronte di una media nazionale del 16% e di una media del solo Nord Italia di poco inferiore all'11% (se guardiamo alla fascia 15-34 anni, la percentuale a livello regionale sale al 10,1%, 10,0% a Bolzano e 10,2% a Trento ndr)”.
Se ragioniamo in termini di numeri assoluti, questo vuol comunque dire contare, al 2023, in Trentino Alto Adige circa 36mila under 35 non occupati né inseriti in programmi di formazione, dice il professore: “Con una contrazione solo marginale tra 2022 e 2023, meno marcata che nel resto delle Regioni settentrionali”. Come nelle serie precedenti però (su il Dolomiti ne avevamo già parlato nel 2022, Qui Articolo) si conferma inoltre in Regione “una differenza più pronunciata tra uomini e donne” dice Cutuli: guardando alla fascia tra i 15 ed i 29 anni per esempio, la percentuale di Neet tra la popolazione femminile a Trento è pari all'11,1%, tra quella maschile al 6,7% (stessa dinamica a Bolzano, con percentuali rispettivamente pari al 10,3 e al 5,9%). La media nazionale, nella fascia d'età di riferimento, è invece uguale al 17,8% per le donne e al 14,4% per gli uomini. “Si tratta di divari di genere – precisa Cutuli – che tendono inoltre a crescere per le fasce d'età più mature, con rischi crescenti di esclusione di lungo termine dal mercato del lavoro e che vede tra le donne percentuali più alte di inattivi”.
Conclusioni
L'abbassamento dell'incidenza del fenomeno, in definitiva, è ovviamente una buona notizia: meno positivo è il fatto che l'obiettivo sia stato raggiunto, per così dire, indirettamente; a fronte quindi non di politiche mirate per arginare quella che, a tutti gli effetti, è da anni un'emergenza sociale nel nostro Paese, ma piuttosto di una congiuntura economica favorevole. Vista la situazione a livello europeo poi, come dimostrano i dati, la strada da fare è ancora lunga e uno dei primi passi non può che riguardare la gestione delle diseguaglianze. “Va sottolineato – riassume infatti in conclusione Cutuli – che quella dei Neet non è soltanto una sfida in termini di ricerca e di policy, ma soprattutto una cartina tornasole rispetto alle diseguaglianze socio-economiche sottese e pregresse (per istruzione, classe, genere, background migratorio) ed alle ripercussioni in termini di sviluppo degli individui nel corso del ciclo di vita, relativamente alla transizione alla vita adulta, alle scelte in ambito demografico, allo sviluppo di competenze personali e di traiettorie salariali e occupazionali”.