"Ecco il mio Darwin in un'era in cui la scienza sembra un fastidioso insegnamento", Marco Paolini in scena con 'Darwin, Nevada': "Il teatro civile deve filtrare nella comunità"
Marco Paolini fa tappa in regione e presenta lo spettacolo 'Darwin, Nevada': "Gli avvertimenti degli scienziati vengono presi come fastidiosi insegnamenti di un professore a scuola. Darwin può essere una cartina tornasole per questa situazione: la sua teoria dell'evoluzione, battezzata 170 anni fa, fu infatti difficilmente digerita"
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TRENTO. Marco Paolini compone narrazioni, il regista Matthew Lenton crea teatro d’immagini e visioni: è partendo da questa formula che ha preso forma lo spettacolo "Darwin, Nevada", nuovo progetto del maestro bellunese del teatro di narrazione che, dopo essersi confrontato con Galileo Galilei, sceglie questa volta di "portare al presente" il padre della teoria dell'evoluzione, rendendolo il "carburante" di una storia che parla al presente e affronta temi quali tra gli altri il cambiamento climatico, le migrazioni e quelle posizioni antiscientiste sempre più dilaganti dall'era post pandemica.
Entrando tra le pieghe dello spettacolo - che andrà in scena martedì 18 Febbraio 2025 al Teatro Zandonai di Rovereto, al Teatro Sociale di Trento dal 21 al 23 febbraio, dove è in programma nel foyer anche un incontro pomeridiano con il cast (QUI INFO), e infine dal 27 febbraio al 2 marzo al Comunale di Bolzano - seguendo le tracce di Charles Darwin, sullo sfondo di una sperduta ghost town americana che porta lo stesso nome dello scienziato, cinque personaggi intrecciano le loro esistenze "in un racconto di frontiere, spostamenti e migrazioni, di frammenti di storia della scienza, di conflitti e cambiamenti in corso".
Il tutto ispirandosi a due episodi realmente accaduti: il furto e la successiva restituzione di due preziosi manoscritti dello scienziato dalla biblioteca dell'Università di Cambridge nel 2001 e una pioggia torrenziale che travolge i partecipanti del Burning Man Festival in Nevada nel 2023, dove due ragazze alla guida di un camper travolgono un uomo.
"Uno spettacolo che - spiega Marco Paolini - ha 'intenzione di far rivivere questa storia nel presente, intrecciandola con la contemporaneità e facendo avvicinare il pubblico a quello che avviene sul palcoscenico"
Marco Paolini, ci spiega la scelta di dedicarsi in questo periodo storico ad un personaggio come Charles Darwin?
Il motivo è che il personaggio e il tema mi piacciono, e penso non ci sia bisogno di un'altra spiegazione. Al di là di ciò, questo progetto si innesta nell'alveo di un periodo storico in cui da un lato assistiamo ad un distacco dalla scienza, accentuato dalla pandemia e da fenomeni come il cambiamento climatico, e in cui gli avvertimenti degli scienziati vengono spesso visti come i fastidiosi insegnamenti di un professore a scuola, alimentando la tentazione di ignorare quelle lezioni. Credo che Darwin possa essere una sorta di cartina tornasole per questa situazione: la sua teoria dell'evoluzione battezzata 170 anni fa fu difficilmente digerita. Abbiamo quindi scelto di raccontare la genesi di quella rivoluzione scientifica, il cammino del metodo scientifico che Darwin pratica per 21 anni in silenzio, quasi non parlando con nessuno. L'intenzione è quella di far rivivere questa storia nel presente, intrecciandola con la contemporaneità e facendo avvicinare il pubblico a quello che avviene sul palcoscenico: abbiamo quindi scelto un luogo esotico, lontano, che apparentemente non ha punti di contatto con noi, in modo che sia lo sguardo dello spettatore a creare le opportune connessioni.
Nel testo si affrontano temi di estrema attualità ma diversi fra loro, dall'immigrazione al cambiamento climatico. Qual è i fil rouge?
Per la realizzazione di questo progetto siamo partiti da una valanga di appunti su quello che volevo raccontare e da qui sono stati costruiti dei nuclei narrativi, come ad esempio quello sul tema delle migrazioni. Nella costruzione della storia si sono poi delineati i vari personaggi con le loro opinioni, che definiscono la loro visione del mondo che assomiglia alle varie a cui assistiamo oggi. Mi spiego, se ad esempio da un lato possiamo trovare un Donald Trump, dall'altro troviamo un cittadino europeo che riporta valori di solidarietà e di istintiva umanità. I personaggi e le scene non sono stati costruiti a partire dai temi e quindi soffermandosi su questi si rischia di distogliere lo sguardo dalla vera sfida dello spettacolo che non è quella di permettermi di spaziare su vari argomenti, ma di realizzare una partitura in cui i protagonisti si alternano con il mio racconto su Darwin, con il tutto che ha l'obiettivo di suscitare una sana curiosità su di lui e sul suo percorso scientifico. In conclusione, non credo sia giusto focalizzarsi solamente sui temi.
Parlando di Charles Darwin, lei lo ha descritto come un antieroe. Cosa intende e che idea si è fatto di quest'uomo?
Studiandolo ho compreso come non apprezzasse la leadership e come non utilizzasse mai un tono da oratore, con un atteggiamento di timore nei confronti del confronto pubblico: lo definirei un uomo dal carattere schivo ma tenace nel suo lavoro, pur non essendo quasi interessato a difendere le sue idee, e delegando agli altri questo compito. Per questo l'ho definito un antieroe: un uomo che non si era preparato per essere al centro della scena, ma che ad un certo punto ne è diventato il protagonista assoluto, in un periodo storico caratterizzato da un dibattito furioso paragonabile a quello a cui assistiamo oggi. L'agenda inglese dell'Ottocento, è evidente, era satura di elementi su cui era necessario prendere posizione: ecco, sembra quasi che Darwin, quando si accorgeva che una sua teoria era discussa, cogliesse quasi l'occasione per pensare: "Ho fatto bene a stare zitto e non aprirò mai bocca, non ambisco ad entrare in questa discussione e ad averne titolo".
Mettendo a confronto due grandi uomini di scienza che ha narrato, Galileo Galilei e Darwin, ha affermato che gli avversari del primo erano più identificabili mentre nel secondo caso la vicenda era più "spigolosa". Cosa intende?
L'avversario di Darwin era in primis sé stesso, che ha sempre vestito i panni del suo "avvocato del diavolo". Mi spiego: mentre lavorava alle sue teorie è come se formulasse già le possibili opposizioni alle stesse e con questo atteggiamento riesce talvolta a limare delle teorie, altre volte invece a prenderle di petto sapendo di non avere in mano una risposta convincente. Questo atteggiamento è profondamente diverso da quello di Galileo Galilei, un rullo compressore che avanzava senza paura sgominando gli avversari con i suoi efficaci strumenti retorici. Tornando a Darwin, per oltre vent'anni il conflitto è solo dentro di lui: quando scrive "L'origine della specie" il dibattito esplode, mentre lui sta sempre in seconda e terza fila, senza difendere le sue idee, mettendo inoltre in guardia i suoi sostenitori sul fatto che non c'era "nessuna vittoria prevista nel breve periodo", dal momento che era consapevole che ci sarebbe voluto molto tempo per comprendere le sue teorie. Se Galileo si preoccupava in primis dello scontro con la chiesa, penso che Darwin si preoccupasse principalmente di sua moglie, dei suoi figli e delle persone che rappresentavano la sua cerchia ristretta: non era interessato al pensiero delle masse, ma quanto dolore avrebbe causato alle persone che contavano per lui.
Tornando allo spettacolo, ci racconta come è nata la collaborazione con Mattew Lenton?
Con lui ho avuto sin da subito un feeling e un'intesa ottima, pensi che il primo ritiro assieme lo abbiamo fatto qualche anno fa in Trentino ad Arte Sella: abbiamo trascorso tre giorni assieme parlando e riflettendo e lui penso che avrà pensato di fuggire nel più breve tempo possibile da questo progetto (ride, ndr). Poi siamo riusciti invece a proseguire all'insegna di una reciproca stima che ci ha portato a voler intraprendere nuove esperienze.
Prima di salutarla, una riflessione di più ampio respiro: come sta oggi il teatro civile di narrazione? In modo più diretto, quale la direzione da prendere per continuare a coltivarne l'efficacia dal punto di vista culturale e sociale?
Credo stia bene, mi dia però almeno altri cinquant'anni e capirò anch'io in che direzione andare (ride, ndr). Al di là delle battute, posso dire che ora non ho nessuna voglia di procedere in questo percorso artistico da solo: credo infatti che il teatro, oggi più che mai, non sia un lavoro solipsista. I nuovi progetti corali che ho realizzato negli ultimi tempi, ad esempio, si basano molto sul concetto di costruzione di una rete che permetta di "mettere a terra" la loro essenza: non voglio quindi sapere se alla fine di uno spettacolo il pubblico applaudirà, ma ho bisogno di altre risposte e queste mi arrivano se i messaggi filtrano attraverso una comunità non di semplici spettatori, ma di veri e propri stakeholder nel cammino verso un obiettivo comune. Connettendo questo ragionamento a "Darwin, Nevada", se oggi dovessi solamente gridare contro il fondamentalismo, non sceglierei di fare uno spettacolo su Darwin che punta invece a instillare un seme che generi l'idea che un pensiero scientifico condiviso possa anteporsi alle mode e alle tendenze effimere del tempo.