"80 mila donne hanno subito mutilazioni genitali" ma molti medici si ritengono impreparati. L'Iss: "Violazione dei diritti umani ma anche un problema sanitario"
Il dato emerge da uno studio che ha coinvolto oltre 300 professionisti sanitari, di cui 9 in Trentino Alto Adige, ecco i luoghi comuni da sfatare sul fenomeno
TRENTO. In Italia circa 80 mila donne, tra cui 7 mila minori, hanno subito mutilazioni genitali: il dato emerge da uno studio del Centro di ricerca in salute globale dell'università Cattolica del Sacro Cuore - in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istituto Nazionale e la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà - che ha coinvolto oltre 300 professionisti della sanità sul territorio nazionale, di cui 9 in Trentino Alto Adige. Allargando lo sguardo su scala mondiale, secondo l'Oms il fenomeno coinvolge oltre 200 milioni di donne.
Guardando ai risultati dello studio - presentati in un evento organizzato dall'Istituto Superiore di Sanità e dall'Università Cattolica del Sacro Cuore in vista della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili - la maggior parte degli operatori sanitari intervistati considera però inadeguata la propria formazione sul tema, e cade in errori e luoghi comuni, tra cui la convinzione che la pratica venga effettuata per motivi religiosi, quando invece non è prescritta da nessun credo.
“Questa pratica è purtroppo una realtà che ci riguarda anche da vicino - dichiara il presidente dell’Iss Rocco Bellantone - con il fenomeno che non conosce confini e coinvolge circa 80 mila donne, tra cui 7 mila minori anche nel nostro Paese, spesso invisibili nella loro sofferenza. Le mutilazioni genitali non sono solo una grave violazione dei diritti umani, ma anche un problema sanitario che richiede il nostro massimo impegno”.
LO STUDIO
L’indagine pilota nazionale, nello specifico, come detto ha coinvolto oltre 300 professionisti sanitari - in particolare ginecologi, ostetriche e pediatri - contattati attraverso survey online, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Reports on Global Health Research.
Nello specifico, oltre il 60 per cento degli operatori che hanno risposto considera inadeguata la propria formazione sul tema e circa il 70 per cento non dispone di informazioni sufficienti per indirizzare le pazienti verso strutture specializzate.
Dal punto di vista, invece, delle mutilazioni riscontrate dai medici la più frequente sembra essere la lesione clitoridea mentre il momento del parto è quello dove con più probabilità viene accertata dagli operatori l’infibulazione vera e propria.
Più dei metà degli intervistati, inoltre, indica le questioni religiose come un fattore chiave che spinge verso la pratica delle mutilazioni: ma questo si scontra con la realtà dei fatti, dal momento che nessuna fede religiosa, né islamica né cristiana (copta), richiede questo intervento.
Alla luce di questi risultati, viene specificato, sono in previsione dei percorsi di formazione specifici sulla medicina interculturale destinati agli operatori sanitari, con una parte dedicata proprio alle mutilazioni genitali femminili. L'obiettivo? Permettere a questi di riconoscere i segni delle mutilazioni e di far conoscere i percorsi dedicati verso cui indirizzare le pazienti.
I LUOGHI COMUNI SUL FENOMENO
Ad essere messi in evidenza dal Centro Nazionale per la Medicina Generale dell'Iss sono poi "diversi luoghi comuni da sfatare" sul fenomeno.
In primis, viene specificato, "le mutilazioni genitali femminili non sono prescritte dall’Islam né da altre religioni e la loro nascita precede quella delle religioni monoteiste e sono praticate anche all’interno di comunità cristiane".
In seconda battuta viene spiegato come non sia vero che alcune mutilazioni sono meno gravi. "Tutte le loro forme sono dannose, rappresentano una violazione dei diritti delle donne e una forma specifica di violenza di genere che può determinare problematiche gravi di tipo infettivo, per esempio, o al momento del parto".
Viene poi sottolineato come il fenomeno si verifichi in tutti i contesti culturali e socioeconomici e quindi che le mutilazioni non "sono praticate solo da persone scarsamente istruite, socialmente svantaggiate o in contesti rurali".
Non sono neppure solamente "una questione africana". "Più di 200 milioni di donne in tutto il mondo hanno subito mutilazioni genitali – viene spiegato – e queste vengono praticate in tutti i continenti del mondo tranne in Antartide e rappresentano quindi un problema globale. Inoltre, in diversi paesi africani non sono praticate".
Un ultimo luogo comune ad essere sfatato e quello secondo cui praticare mutilazioni genitali femminili in ospedale riduca i rischi: "Quelle eseguite in contesto sanitario possono essere dannose come quelle praticate al di fuori di esso e la medicalizzazione delle stesse non implica necessariamente una maggiore sicurezza, con gli effetti psicologici e fisici che rimangono gravi e preoccupanti".