A Cles da gennaio il 57.7% di giorni senza parti e a Cavalese addirittura il 61.7%. Negli ospedali periferici non nascono più bambini e si pagano i gettonisti: "Dati allarmanti"
Sul futuro dei punti nascita di Cles e Cavalese deve essere la politica a decidere ma è di fondamentale importanza conoscere i numeri. Paola Demagri (Casa Autonomia): "Oggi ci sono amministratori che si stracciano le vesti al sol pensiero di chiusura di un punto nascite dimostrando miope visione delle vere potenzialità degli ospedali di Valle". Il Pd della Val di Non: "Oltre alle spese stesse del tutto fuori controllo e che vanno ad impattare negativamente su altri servizi, si rischia una minore sicurezza per le donne partorienti"
TRENTO. Quale futuro per i punti nascita in Trentino? E' la domanda che si stanno ponendo in tanti soprattutto dopo la decisione da parte dell'Azienda sanitaria di affidare i medici delle Unità operative di ostetricia e ginecologia degli ospedali di Cles e Cavalese ad un cooperativa di gettonisti di Genova (QUI L'ARTICOLO). Una scelta presa a causa della mancanza di personale ma che, inevitabilmente, comporterà un costo maggiore per le casse provinciali.
La decisione passa dalla politica, non ci sono dubbi, ma a guidarla non possono essere che i dati che sono stati registrati in questi mesi.
I DATI
Da gennaio alla fine di settembre di quest'anno all'ospedale di Trento abbiamo avuto 1633 parti con una media di 5,96 parti al giorno. A Rovereto questa media è stata di 2,50 parti al giorno mentre numeri ben inferiori li troviamo nei punti nascita di Cles dove si registra una media di 0.52 parti al giorno (158 giorni non consecutivi in 9 mesi senza alcun genere di parto) e ancora più basso il dato del punto nascita di Cavalese che si ferma a 0.47 parti al giorno (169 giorni non consecutivi in 9 mesi, senza alcun genere di parto).
Numeri che dovrebbero far riflettere anche dal punto di vista della sicurezza considerando che già in passato a Cavalese si è assistito anche a 12 giorni consecutivi di personale a ''braccia conserte'' (rigorosamente 24 ore su 24) perché non c'erano bimbi da far nascere.
A Cles, ad esempio, nel mese di settembre si sono verificati 14 parti, sei in meno rispetto ad agosto, cinque in meno di luglio. Nello stesso periodo, invece, a livello provinciale i numeri di nascite registrati dall'Apss sono andati in opposta direzione.
Da osservare anche il numero dei cesarei. Fino a qualche mese fa, a Cles si arrivava al 13/14%, oggi siamo oltre il 21% sul totale dei nati. Ed è un dato, si badi bene, già epurato di quelli gemellari, complicati o facenti riferimento a gravidanze " non fisiologiche". Tutte fattispecie già dirottate verso il Santa Chiara .
A confermare il “flop” dei punti nascita nei mesi scorsi era stata anche la Corte dei Conti che nell'analizzare il rendiconto dell'Azienda sanitaria aveva chiarito senza se e senza ma che ''quasi la metà delle partorienti residenti nei comuni della Val di Fiemme e Fassa e della Val di Non e Sole, nel 2022, si è rivolta a strutture diverse da quella di zona, per scelta o per indicazione clinica''.
Tutto ciò ha dei costi molto salati sul sistema sanitario. Tenere aperti i punti nascita periferici distoglie risorse da altri servizi che potrebbero, invece, essere potenziati. ''Sotto il profilo dei costi – chiariva infatti la Corte dei Conti - le prestazioni rese dai reparti di ostetricia e ginecologia di Cavalese e di Cles, calcolate secondo il criterio dei punti DRG (diagnosis related group) registrano un costo unitario medio, rispettivamente, pari a euro 20.298 ed euro 17.621, contro i 5.200 euro dei reparti di Trento e i 4.823 euro di Rovereto. Alla luce dei suddetti dati, una riorganizzazione del settore comporterebbe anche una più equa distribuzione delle risorse fra le diverse strutture, poiché l’evidente sottoutilizzo del personale locale potrebbe essere convertito a sostegno di reparti con elevate scoperture''.
LA POLITICA
“A livello mediatico fa scalpore che il rimedio adottato per tamponare questa situazione sia il ricorso a Medici gettonisti” ha spiegato la consigliera provinciale di Casa Autonomia Paola Demagri. “Figure che fino ad ora hanno rappresentato la panacea all'eterna questione sul mantenimento o la chiusura dei punti nascita. Oggi però ci troviamo di fronte a un ulteriore scoglio. Il tetto finanziario stanziato per i gettonisti è terminato. Cosa potrà succedere ora nei vari pronto soccorso o nel carcere dove non vi sono medici incardinati nell'organico dell'azienda sanitaria?”
E al pronto soccorso di Cles questo vulnus si affianca a uno stato di cose ancora più problematico. “Gli ambulatori – spiega Demagri - risultano infatti chiusi e privi di ulteriore dotazione di personale. Il riflesso di questa difficile situazione logistica, come già denunciato in altre occasioni, è l’aumentata promiscuità e il maggior rischio per i pazienti. Accanto ai nuovi ambulatori chiusi, attrezzati e pronti per l'accoglienza, al pronto soccorso, questi sono costretti per ore su una barella, lungo il corridoio o in un ingresso non presidiato. Praticamente in portineria”.
Ecco dunque che il vero intervento urgente del quale ha bisogno l'ospedale di Cles, spiega sempre la consigliera di Casa Autonomia, è quello “logistico-strutturale nell'area di pronto soccorso dove l'azienda sanitaria deve mettere mano anche all'organico al fine di assicurare adeguata dotazione di personale medico infermieristico. Anche recenti studi di profilo europeo hanno certificato che - esattamente come la temperatura - c'è una sanità reale e una sanità percepita. La percezione di una sanità di qualità proprio come dimostrato dalle interviste a campione riportate dalle agenzie di settore, si accompagna in quei luoghi dove il personale infermieristico è messo nelle migliori condizioni di fare la propria parte per numerosità, professionalità e gentilezza. Tutte caratteristiche che sotto organico e sotto stress rimangono inespresse lasciando l'amaro in bocca a ben più di un utente”.
Alla cronicizzazione della carenza di personale si affianca quella della lunghezza delle liste d'attesa. Anche negli ospedali di valle, dove solo interventi programmati con cura e attenzione potrebbero migliorare la qualità di vita dei pazienti . “Oggi invece – continua Demagri - ci sono amministratori che si stracciano le vesti al sol pensiero di chiusura di un punto nascite dimostrando miope visione delle vere potenzialità degli ospedali di Valle. Tutte assolutamente leggibili solo osservando i bisogni del nuovo paradigma sociale. Certo bisogna aprire gli occhi per poterle capire”.
Paolo Demagri fa quindi un appello “Agli amministratori locali affinché chiedano con forza alla Giunta di calibrare le risicate risorse di personale; solo efficacia ed efficienza permetteranno di ottenere grandi risultati in termini di salute della popolazione. E sarebbe grave se la valutazione di tenere aperto o chiuso un punto nascita passasse invece da un solo elemento: il consenso”.
Anche il circolo del Partito Democratico della Val di Non ha deciso intervenire sul tema dopo le dichiarazione del sindaco di Cles Ruggero Mucchi che ritiene che il punto nascita di Cles vada difeso ad ogni costo, senza badare a spese. “La conseguenza – spiega il Pd - oltre alle spese stesse del tutto fuori controllo e che vanno ad impattare negativamente su altri servizi, già in condizioni precarie, è una minore sicurezza per le donne partorienti. Il numero minimo di 500 parti all’anno per garantire la piena funzionalità di un punto nascite non è infatti una barriera psicologica, ma una reale condizione di piena efficienza ed operatività. Sconcerta però ancor più la scarsa visione di insieme e futura dimostrata dal sindaco”.
Ad andare difesa dovrebbe essere l’eccellenza dei servizi erogati dall’ospedale territoriale. “Perché non chiedere di potenziare i servizi per i malati oncologici, problematica rilevantissima in Val di Non? Perché non destinare i fondi al potenziamento del Servizio di Pronto Soccorso, che durante le stagioni turistiche è spesso in grave affanno? Perché non implementare i servizi di geriatria, a fronte di una popolazione sempre più anziana e spesso sola?
Se il vero interesse al centro dell’azione della Giunta del Comune di Cles – continua la nota del circolo del Pd della Val di Non - fossero le neo-madri e le famiglie, si sarebbe negli anni provveduto ad aumentare i posti negli asili nido, costantemente carenti nelle strutture di Cles, come più volte richiesto dall'attuale minoranza consiliare. Partorire a Cles quindi è fondamentale, ma poi i bambini e le bambine vanno quotidianamente portati in altri comuni per l’erogazione di un servizio di base come il nido”.
Per il Pd una ulteriore prova di “scarsa lungimiranza” del sindaco Mucchi sul tema sanitario viene dalla recente gestione della tematica relativa alla Casa di Comunità. “La Giunta clesiana ha infatti destinato un immobile dismesso a questo fine. Le Case di Comunità sono un progetto complesso e condivisibile, con enormi potenzialità in ottica di benessere per la cittadinanza, ma in questo caso la Giunta Comunale non ha approntato alcuna valutazione concreta sui bisogni della popolazione, sulla collocazione della struttura all’interno del tessuto urbano di Cles, sul rapporto con i servizi già in essere e sull’importanza dell’integrazione tra la componente sanitaria e quella sociale: su tutto questo non sono state date risposte alle pressanti richieste di chiarimento della minoranza. L’interesse primario della Giunta del Comune di Cles era quello di vedere un immobile dismesso ristrutturato senza costi per le casse comunali. Quali siano i servizi erogati dalla Casa di Comunità è un dato opzionale”.