“Precipitavano blocchi di ghiaccio grandi come un camper, ancora non capiamo perché siamo vivi”: il racconto della coppia sopravvissuta alla tragedia della Marmolada
I due francesi, Christian e Patricia Chêne, erano sulla Regina delle Dolomiti lo scorso 3 luglio e miracolosamente sono sopravvissuti al crollo del ghiacciaio, la loro tragica testimonianza è stata pubblicata dalla rivista francese Montagnes Magazine: “Ci vorrà tempo e aiuto per superare questo trauma”
TRENTO. Un rumore assordante seguito subito dopo da blocchi di ghiaccio grandi quanto un camper: sono questi gli spaventosi dettagli forniti da una coppia di escursionisti francesi sopravvissuti, il 3 luglio scorso, al crollo del ghiacciaio della Marmolada, costato la vita a 11 persone. I due francesi, Christian e Patricia Chêne, si sono miracolosamente salvati riportando solo alcuni lividi ed hanno raccontato i drammatici momenti vissuti sulla Regina delle Dolomiti alla rivista francese Montagnes Magazine. Una testimonianza dettagliata e già finita agli atti sulla tragedia.
“Abbiamo esitato molto a condividere questa uscita – esordiscono i due nell'articolo apparso sulla rivista francese – visto il disastro che si è verificato in quel luogo. Se lo facciamo oggi è solo per tutti gli alpinisti che sono rimasti dietro di noi, come tributo alla loro memoria”. La partenza dei due il 3 luglio scorso è stata alle 6 e 30. Christian e Patricia, raccontano, hanno affrontato la via ferrata della Cresta occidentale, arrivando in vetta, dove hanno trovato un clima di festa.
In seguito per la coppia è iniziata la discesa sul ghiacciaio (con due cittadini di nazionalità ceca), dopo aver sorpassato la parete rocciosa: “Indossiamo i ramponi – scrivono – e scendiamo il ghiacciaio molto crepacciato, ma con una buona traccia. Oltre alla cordata dei cechi, ci troviamo con due cordate italiane che superiamo; questo segnerà il loro e il nostro destino. Sul fondo del ghiacciaio troviamo i due cechi con cui abbiamo messo i ramponi; sono 30 metri più avanti di noi”.
Il resto, dicono i due, è una discesa attraverso una barra rocciosa con un piccolo sentiero segnato. “Sono 30 metri più avanti di Patricia in discesa – racconta poi Christian, riportando gli avvenimenti in prima persona – raggiungo i due cechi e una coppia di italiani che stanno attraversando una gola di roccia gialla. La donna è in difficoltà, quindi mi offro di aiutarla, ma il suo compagno risponde gentilmente che se la caverà. Trovo scomodo il passaggio in cui si trovano, quindi mi sposto di una decina di metri a sinistra per trovare qualcosa di meglio: è questo ciò che mi salverà la vita”.
Proprio in quel momento infatti, l'enorme blocco di ghiaccio si stacca, precipitando a valle e travolgendo ogni cosa lungo il suo percorso. “Sopra di noi si sente un rumore assordante – continua Christian –. Patricia ha il tempo di chiedermi cosa sia il rumore. Non faccio in tempo a risponderle che un'enorme calotta di ghiaccio esplode 100 metri sopra di noi, proprio dove avevamo messo i ramponi 5 minuti prima”. Blocchi “grandi come il nostro camper” racconta l'escursionista “cadono e ci volano addosso a una velocità sorprendente. I blocchi si schiantano intono a noi: un'atmosfera apocalittica. Indossiamo i caschi e ci proteggiamo la testa come meglio possiamo. Un primo impatto seguito da altri, sempre più grandi, ci bombarda. Aspetto sconvolto il blocco fatale”.
A pochi metri di distanza, dice Chêne: “Vedo la coppia di italiani ancora lì nonostante i tanti impatti. Ma all'improvviso, un enorme flusso di acqua, ghiaccio e fango precipita come un geyser nella gola in cui si trovano. Vedo che vengono gettati nel vuoto, sento urlare e poi, improvvisamente una calma da fine del mondo. Mi volto e Patricia è ancora lì, viva e vegeta, un miracolo. Ho solo una mano insanguinata. Sotto, la giovane donna urla”. I due escursionisti in seguito hanno iniziato a prestare i primi soccorsi, per poi venire recuperati dai soccorritori arrivati sul posto con gli elicotteri. Il giorno successivo la coppia ha fornito la sua ricostruzione alle autorità: “Ancora non capiamo perché siamo vivi – concludono – ci vorrà tempo e aiuto per superare questo trauma”.