L'Italia "punta di lancia" nel 2018 se la Russia attacca nel Baltico, ma la guerra non conviene a nessuno
Giornalista professionista, classe 1981, è responsabile di East Journal, quotidiano online sull'Europa centro-orientale, e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso
A inizio ottobre la Russia ha cominciato lo spostatamento di missili nucleari Iskander-M a Kaliningrad. Il luogo non è scelto a caso. Kaliningrad, sotto la sovranità russa, si trova sul Baltico, ai confini con Lituania e Polonia. Originariamente tedesca, già nota con il nome di Prussia orientale, la regione è una enclave russa dal 1945, quando passò sotto il controllo sovietico. Da allora è una delle aree più militarizzate d’Europa. Alla notizia dello spiegamento missilistico russo, le cancellerie europee – con in testa quella polacca e lituana – sono entrate in fibrillazione.
Il ministro degli Esteri lituano, Linas Linkevičius, ha dichiarato che si tratta di una violazione dei trattati internazionali che vietano lo spiegamento di missili nucleari entro i 500 chilometri dal confine europeo.
"Si tratta di una normale operazione di addestramento militare" - ha replicato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Igor Konashenkov - "non è la prima volta che vengono dispiegati missili Iskander a Kaliningrad".
Ed è vero. Quella dei missili è una partita che si gioca da anni, cominciata con lo "scudo spaziale" voluto da George W. Bush e portata avanti, seppur in tono minore, dall'amministrazione Obama. Una partita iniziata nel 2007, che ha visto il dispiegamento di missili Patriot in Repubblica Ceca e Polonia e successivamente in Romania, al fine di realizzare un cordone missilistico antirusso. Mosca, per tutta risposta, spostò allora i suoi missili Iskander nell'enclave di Kaliningrad.
La situazione si andò normalizzando con la firma del Trattato "New Start", siglato a Praga nell'aprile 2010, che prevedeva una riduzione delle testate nucleari e fissava nuovi limiti per il loro utilizzo. In quell'occasione il progetto di uno "scudo antimissile" americano venne accantonato. Tuttavia la distensione non è durata molto, e la crisi ucraina ha riacceso la competizione tra Russia e occidente.
Nel 2014, a seguito dell'invasione russa della Crimea e della guerra nel Donbass, i paesi dell’Europa centro-orientale hanno cominciato a chiedere a gran voce maggiori garanzie da parte della Nato. La Romania, dal canto suo, ha persino invocato una presenza dell'Alleanza Atlantica nel Mar Nero, al fine di limitare le operazioni navali della flotta russa, ancorata a Sebastopoli.
Durante il Summit di Varsavia dello scorso luglio, la Nato ha infine deciso di rafforzare la propria presenza militare nei paesi baltici e in Polonia, dislocando nei confini orientali del patto atlantico forze armate di diverse nazionalità. In Lettonia saranno dislocate in maggioranza forze militari canadesi, ma è prevista la presenza anche di militari italiani, portoghesi e polacchi in territorio lettone.
In Estonia il gruppo sarà guidato da militari britannici, in Lituania da forze armate tedesche. In Polonia la presenza militare Nato sarà in particolare formata da militari statunitensi.
In un'intervista recentemente rilasciata al quotidiano La Stampa, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ribadisce quanto già stabilito a Varsavia, che i soldati italiani saranno "parte di uno dei quattro battaglioni dell’Alleanza schierati nei Paesi baltici". Benché l’opinione pubblica ne fosse sostanzialmente all’oscuro, le dichiarazioni di Stoltenberg confermano quanto già deciso a luglio dal governo italiano e dall’Alleanza atlantica. Si apprende inoltre che nel 2018 "l’Italia sarà nazione guida nel VJTF", una task force di azione ultrarapida, "punta di lancia" in grado di intervenire in cinque giorni in caso di emergenza. Saranno i soldati italiani a rispondere a un'eventuale - quanto improbabile - invasione russa del Baltico.
Tuttavia la militarizzazione del confine orientale dell’Unione Europea non è una premessa a una nuova “guerra fredda”. Le relazioni tra Russia ed Europa dovranno necessariamente ristabilirsi, risolvendo il nodo della crisi ucraina. Secondo stime della Commissione europea, entro il 2030 l’Ue importerà circa il 70% della sua energia di cui almeno il 39% dalla Russia che è già il primo fornitore di gas naturale dei paesi Ue, con quote superiori al 30% sia di gas che di petrolio. D’altro canto la dipendenza russa dai mercati europei è molto forte considerando che il 70% di tutta la produzione petrolifera russa e destinata all’Ue. E’ evidente che una escalation militare, con conseguente indebolimento degli scambi economici e il mantenimento del regime di sanzioni attualmente in vigore, non conviene a nessuna delle parti in causa e non potrà durare a lungo. Per queste ragioni le esibizioni muscolari dell’una e dell’altra parte non devono preoccupare troppo. La guerra, più o meno fredda, non conviene a nessuno.