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Aspettando la neve ripenso alla neve a quota 3738 metri, sul Weisskugel

Una bella e impegnativa cima, la quarta per altezza della nostre regione e la seconda vetta d’Austria dopo il Grossglokner, dato che segna proprio il confine tra i due Paesi. Ricordi di neve sperando arrivi presto
DAL BLOG
Di Lou Arranca (Alias Ivo Cestari) - 17 gennaio 2019

Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia. 

Diciamolo: sarà anche bello ravanare per pendii erbosi con poca neve, o su rari canaloni ghiacciati scovati in valli dimenticate, ma una bella mano di bianco naturale alta qualche metro come sta facendo al di là delle Alpi, ora ci starebbe proprio bene!

Nell’attesa, sfogliando l’album dell’estate scorsa, l’occhio mi cade sul personale limite di altezza raggiunto nel 2018: 3738 metri, ovvero il Weisskugel (o Palla Bianca) in Val Senales. Una bella e impegnativa cima, la quarta per altezza della nostre regione e la seconda vetta d’Austria dopo il Grossglokner, dato che segna proprio il confine tra i due Paesi.

 


 

A causa qualche problemino di pressione, cuore e amenità varie, non avrei mai pensato di oltrepassare ancora con facilità i 3000 metri, ma dopo l’incoraggiante giornata sulla Cima Vertana in Val Venosta a 3545m di qualche mese prima, mi ero detto: “Massì, andiamo! Casomai i miei confratelli mi butteranno giù per qualche canalone, oppure mi abbandonerammo come fiero pasto per rapaci di passaggio”.

E così, domenica 9 settembre, eccomi con i fidi Max Meru, Nick Ravannah e con l’aggiunta di una nuova compagna di avventure (Wonderwoman Nadia aus Sterzing) a risalire la strada della Val Senales fino ai 2014m di Maso Corto dove parcheggiamo e ci dividiamo la ricca mercanzia della “potente” Nadia, che per festeggiare il prossimo compleanno di Max, ha svaligiato un negozio di alimentari di Vipiteno, portando Kaminwurst, cioccolata, bottigliette di varie grappe fatte in casa, Schüttelbrot, speck, formaggi, etc. E’ già pomeriggio e quindi divideremo la salita in due giorni, dormendo e festeggiando l’evento presso il rifugio Bellavista (Schöne Aussischt Hütte) a 2842 metri.

 


 

Partiamo. Il sentiero A3 si chiama anche Sentiero Archeologico e ci fa impressione incontrare una processione di turisti che scendono con un campionario di scarpe del tutto inadatte al luogo: non tutti, ma moltissimi indossano Superga o Hogan da fighetti, e in cuor nostro speriamo che scivolino impiastricciandosi le mani in quanche fresca “torta di vacca”. Si sa che dopo pranzo, non è mai il massimo sciropparsi 800 metri di dislivello con lo zaino pieno di cianfrusaglia indispensabile (corde, ramponi, picozza, imbrago, casco, giacche a vento, guanti, ghette, berretti vari...) e mi chiedo, quando ormai sbuffo come una locomotiva centenaria, come può venirmi in mente di andare a oltre 3700 metri se già dopo un’ora ho voglia di tornare indietro e affogarmi nella birra per il dispiacere di essere ormai nella terza età? Questi nefasti pensieri vengono però cancellati improvvisamente da un inaspettato incontro: ci imbattiamo infatti nella spettacolare transumanza di oltre 2000 capi tra pecore e capre che da secoli, tra l’8 e il 9 settembre di ogni anno, dalla Malga Rofenberg in Austria, attraverso il Giogo Alto rientrano in Italia nei pressi del rifugio Bellavista e giungono a Maso Corto nel pomeriggio, dove inizia una festa per l’occasione.

 


 

Tutto ciò lo scopriamo solamente più tardi e restiamo basiti dalla quantità di ovini mai vista prima, spettacolo di una bellezza antica che letteralmente ci blocca per 20 minuti tenuti alla larga da pastori “filonazi” (scherzo ovviamente....) che ciimpongono con secchi ordini in tedesco di stare fuori dai sentieri.

Giunti al bel Rifugio Bellavista sul far della sera, dopo un paio di gustose e abbondanti Weizen, andiamo alla camera prenotata e......dobbiamo risolvere elegantemente un’ “imbarazzante” situazione. La camera infatti ha due letti singoli e uno matrimoniale e noi siamo due signorotti di mezza età (io e Max Merù), un quasi giovane alternativo e dichiaratamente misogino (Nick Ravannah) ed una avvenente e prorompente signorina con la quale però non abbiamo “esplicita confidenza” ma educata simpatia.

 


 

Per fortuna, colti da un inaspettato ma sospetto spirito cameratesco, Nick e Max si buttano entusiasti sul letto matrimoniale, togliendo tutti noi dall’imbarazzo di discutere su come ci si dovesse dividere sui letti ed eventualmente immolarsi alla diabolica tentazione di condividere calori umani di natura femminile..... E così io e Wonderwoman ci sistemiano sui rispettivi letti singoli, distribuendo gli indumenti sudati fin nelle altre stanze vuote. Arriva così l’ora di cena e con la spumeggiante serata: festeggiamo Max e le sue innumerevoli primavere. Prosecco e vino scorrono a profusionei,i generosi gestori offrono giri di grappe e un’altra bottiglia, e i toni delle voci si alzano fino a notte tra sguardi di rimprovero di germanici avventori (aaahhh, Welschtiroler!). Conoscendo la prassi di andare a dormire entro le 22, barcolliamo completamente impallati verso i nostri letti, malamente assistiti dai gestori che comunque non hanno perso l’occasione di festeggiare con noi in barba alle tacite regole dei montanari.

 


 

“Passata ‘a nuttata” in qualche modo, alle 4.30 ci svegliamo rincoglioniti come pochi; scendiamo in sala colazione sotto lo sguardo torvo di una coppia di escursionisti tedeschi che mai la sera prima avrebbero creduto che ci saremmo alzati anche noi all’alba (anzi, a notte ancora fonda!) per raggiungere la vetta lontana. Ed invece, barcollando e mai mollando, ci vestiamo, mangiamo, indossiamo tutti gli ammenicoli necessari, frontalina compresa (la mia ovvamente è già scarica di batteria) e guidati dal faro abbagliante in dotazione della nostra eroina femminile (Sorella Nadia) scendiamo verso il bivio per il sentiero 5A. Qu,i lasciamo un pò di pesi inutili per l’escursione, nascondendoli sotto ad alcuni massi. Il tutto nel buio più assoluto, squarciato solo dalla potente frontalina di Nadia e debolmente rischiarato dalle nostre modeste lampadine un pò “loffie”.

 


 

Camminiamo per un’ora in silenzio. Qua e là ci pare di vedere altre luci in movimento, ma sono solo dei miraggi per eccesso alcoolico. Dietro di noi arranca la coppia di tedeschi che ci tiene a debita distanza, ma di lì a poco segue altre piste. Al sorgere del sole, mano a mano che le nostre menti si rischiarano, lo spettacolo è impressionante: sotto di noi il vastissimo ghiacciaio Hintereis, ormai in territorio austriaco si snoda come un’imponente autostrada di ghiaccio che scivola lentamente in una valle ampia e lunga verso Est.

 


 

Le luci dell’alba esaltano il rossore della roccia. Silenzio. Foto. Fermate strategiche per ammirare il paesaggio potente e assolutamente selvaggio.

 


 

Inizia la parte più bella: dapprima la cresta del Diavolo con qualche passaggio esposto ma per fortuna senza quel “vetrato” che renderebbe quasi impossibile la nostra cauta avanzata. Poi, al margine del ghiacciaio, facciamo una sosta per indossare ghette, ramponi, imbraghi e soprattutto per legarci a dovere con nodi di varia natura a due a due, visto la pericolosa presenza di crepacci.

 


 

Crepacci che cominciano quando la traccia segnata nella neve che ricopre il vasto ghiacciaio si inerpica verso la Bocchetta della Vedretta, fino a quando passiamo ai piedi di un impressionante muro di ghiaccio. Siamo vicini il mio limite personale dei 3500 metri; il fiato è corto e si avanza con fatica. Chiedo a Nadia, legata dietro di me, se sia ben sicura delle manovre da fare in caso di scivolata. Gli altri due sono davanti a noi ed ora ci aspettano 200 metri a 60° di pendenza, che mi incutono voglia di sauna, calici di vino, e amazzoni in vesti trasparenti. Tanto per rendere il tutto più complicato, cala la nuvola e la visibilità. Adotto il sistema dei 50 passi contati e pausa, 50 e pausa, 50 e pausa......fino alla fine delle zeta del tratto ripido.

 


 

Poi, quando cala la pendenza, la nebbia si fa più fitta e siamo nel whiteout. Urlo per chiamare Max e Nick che nel frattempo si sono fermati sfiniti pochi metri più avanti. Ci rincuoriamo a vicenda e continuando verso la cresta sommitale. Piano piano torna il sole e lo spettacolo che si presenta è fantastico: l’intera catena alpina sembra ai nostri piedi e lo sguardo si perde a decine di chilometri di distanza.

 


 

Mancano poche centinaia di metri alla vetta, ma sono i più complicati: dobbiamo toglierci i ramponi ed arrampicare sulle roccette: niente di difficile ma non sapendo se ci sarà ghiaccio o meno, preferiamo rimanere legati l’un l’altro, assicurandoci a spuntoni di roccia perchè nessuno, leggendo le descrizioni della salita, ha pensato a portare friends o altre ferraglie.

 


 

Ormai ci siamo: nessun batticuore, nessun mal di testa, solo il respiro accelerato, ma a 3700 ci può stare. Le guide dicono che se le condizioni non sono ottimali è meglio rinunciare agli ultimi 50/60 metri e tornare indietro. A noi, invece, pare che le condizioni siamo ottimali e la cima sia raggiungibile: il sole brilla, la neve è dura ma non vediamo ghiaccio vetrato; una riserva di grappa per festeggiare l’abbiamo ancora e quindi arrampichiamo con cautela ignorando l’esposizione.

Sono circa le 11 quando tocchiamo la croce finale! Ci abbracciamo e rimaniamo estasiati da quello che vediamo attorno. Per rincarare la dose di commozione, Nadia riceve un messaggio speciale che le annuncia di essere diventata, proprio in quel momento, zia di una nipotina. Lacrime a go go da parte di tutti a parte ovviamente Nick, che comunque è felice come una Pasqua!

 


 

Chi ha raggiunto almeno una volta una cima dopo 5 o 6 ore di progressione su roccia e ghiaccio conosce la sensazione che si prova guardando le lingue di ghiaccio ai nostri piedi e gli orizzonti di cime a perdita d’occhio. Indescrivibile! Ora ci attendono ore e ore di cammino con più di 1700 metri di dislivello in discesa, interrotti da alcune risalite su roccia (la Cresta del Diavolo e la Bocchetta delle Frane). La fatica si sente ed il rischio è quello di non prestare la necessaria attenzione ai crepacci come nella salita.

 


 

Prima di arrivare al bivio con il sentiero A3, giunge inaspettata una telefonata: a causa del periodo elettorale mi viene chiesta un’intervista telefonica per un quotidiano locale su una questione ambientale. Faccio presente che mi trovo ancora a oltre 3200 metri e, boccheggiando, rispondo in qualche modo, chiedendomi se la scarsità di ossigeno avrà influito sulla mia capacità di dare risposte sensate a domande che credo di aver capito....... Al bivio ricarichiamo i pesanti zaini che, come si sa, al ritorno non contengono più come all’andata costringendoci ad appendere varie cose all’esterno.  La discesa sembra non finire mai; le ginocchia ululano il proprio dolore e quando arriviamo alla macchina ci buttiamo a terra senza ritegno, sparpagliando a terra scarponi e vestiario.

 


 

Nel baule riscopriamo con gioia ricariche di speck, brezel, birra e altri salamini della mitologica Wonderwoman Nadia, che con ampiezza di vedute, aveva nascosto un’altra fornitura di cibarie: le promettiamo amore eterno e fraterno, e incuranti delle buone maniere, ingurgitiamo famelicamente come se non ci fosse un domani. Anche questa è fatta!

Per informazioni specifiche sul percorso, si legga:

https://www.vienormali.it/montagna/cima_scheda.asp?cod=607

 

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