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Una ''tangenzialina'' modello anni '80 sui prati verdi per Bormio: c'è chi dice ''no'' e vuole ribadirlo con un referendum popolare

DAL BLOG
Di Ci sarà un bel clima - 14 ottobre 2022

Per creare un coinvolgimento più ampio e inclusivo attorno alla causa climatica ed ecologica

Forse gli amministratori di Bormio sono stati dei grandi appassionati di Celentano quanto cantava “il ragazzo della via Gluck”. Forse si sono innamorati della frase “Là dove c'era l'erba ora c'è una città”. Sicuramente, però, l’hanno fraintesa, pensando fosse un invito a cementificare. Non parliamo di un'intera città - per fortuna - ma del famoso progetto della “tangenzialina” che collega il centro di Bormio alla strada statale che porta a Tirano. Da infrastruttura a urbanizzazione il passo è breve, anche se fatto in punta di piedi.

 

Nata sulla carta nel piano regolatore del 2005, la “tangenzialina” prevedeva la costruzione di due lotti, Bormio e Tirano. Rigettato dall’ex sindaco bormiese e rimasto nei cassetti di Regione Lombardia per 17 lunghi anni, con l’assegnazione delle Olimpiadi Cortina Milano 2026 è stato rispolverato e rimesso sulla scrivania dell’attuale amministrazione. Questa lingua di cemento e asfalto andrà a tagliare i prati dell’Alute, una verde distesa irregolare che costeggia gli argini dell’Adda e arriva al limitare del paese. Una tangenziale un po’ strana perché, per definizione, le tangenziali “lambiscono il paese senza interferire con il traffico locale”, mentre il progetto di Bormio serve a far affluire - e defluire - i turisti verso il centro. O meglio verso i parcheggi e gli impianti di risalita di Bormio 3000.

 

Non importa alla politica locale se questa nuova strada non sarà pronta per il 2026, è comunque un’opera olimpica che va fatta. Non importa se al posto di sacrificare dei campi vergini si possa sistemare l’attuale strada dell’Alute che passa poco lontano. Non interessa puntare su un servizio di trasporto pubblico che possa togliere il traffico dal centro del paese. In una recente intervista la sindaca di Bormio si chiedeva “cosa lasciare alle generazioni future”. Bel dilemma. In un periodo storico segnato da una crisi climatica che lascia le Alpi a secco (sia di neve che di precipitazioni), investire in un'infrastruttura che genera traffico e consuma suolo è tutto fuorché un buon lascito alle generazioni future.

 

A livello globale, la produzione di cemento pesa dal 6% all’8% delle emissioni globali, quello delle automobili un 40% delle emissioni totali per il settore dei trasporti. Avendo la necessità di ridurre le emissioni a zero entro il 2050, quello che sicuramente non serve alle future generazioni è investire in nuove strade e infrastrutture. Sarebbe più lungimirante investire in servizi, sanità, modelli di sviluppo della montagna che non si basino sul fare arrivare - e far ripartire - il più velocemente possibile i turisti dalla pianura.

 

In questo spazio si sta muovendo il comitato cittadino “Bormini per l’Alute” che ha chiesto all’amministrazione locale di poter essere parte nel processo decisionale per la costruzione dell’infrastruttura (anche la sezione CAI di Bormio si è espressa contro la nuova strada). La notizia è di questi giorni: la cittadinanza ha formalizzato con atto notarile il Comitato Referendario a tutela dell’Alute (voluto dal Regolamento recentemente approvato dal Comune), che raccoglierà le firme certificate per la richiesta di un referendum popolare. La battaglia burocratica è appena iniziata, ma quella ideologica è ben avviata. Un modello economico e politico legato al secolo scorso contro la volontà di un futuro e di un modello politico diverso, dove anche la cittadinanza stessa può - e deve - esprimersi sulle grandi opere che impattano il territorio.

 

Lo sappiamo, non sarà un processo facile ma sicuramente è necessario per cambiare l’idea di sviluppo che abbiamo della montagna e della popolazione che la abita. Meglio lasciare alle generazioni future i prati verdi (come cantava Celentano appunto) che non un debito climatico impossibile da ripagare.

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