Ma il Cai a cosa serve? Che fine hanno fatto i ''buoni propositi'' del bidecalogo per preservare le montagne e il nostro ambiente?
Per creare un coinvolgimento più ampio e inclusivo attorno alla causa climatica ed ecologica
Nel 1863, quando nacque il Club Alpino Italiano, la concentrazione di Co2 in atmosfera era di 287ppm. Sono passati 159 anni e la concentrazione di Co2 in atmosfera oggi è di 419ppm. Le montagne sono cambiate tantissimo, troppo, rispetto a quando Quintino Sella scalava il Monviso per la prima volta. Il Cervino sembra una landa lunare, i laghi alpini sono delle pietraie, i ghiacciai si distaccano senza preavviso. In questi giorni si è parlato molto del Cai, del ruolo che dovrebbe avere all’interno della vita montana e del suo effettivo stato istituzionale. Dalle personalità come Enrico Camanni o Carlo Alberto Pinelli hanno rimarcato la necessità per la nuova presidenza di ribadire la vocazione ambientalista del Club Alpino o comunque di rispettarne i valori.
In Italia il 32,4% del territorio è montano (così come definito dalla legislazione attuale) eppure non esiste un ministero che si occupi di questi territori, dove le esigenze ambientali e sociali sono nettamente diverse da quelle delle coste, delle pianure o degli agglomerati urbani. Lo sviluppo della montagna negli ultimi decenni è stato caratterizzato da due elementi principali; lo spopolamento della bassa montagna e l’iper sfruttamento delle zone alte. Nulla è cambiato nel modello economico, neppure dopo che la pandemia ha evidenziato la totale mancanza di servizi su vaste aree del territorio montano e ha costretto il turismo della neve a chiudere per una stagione. Avremo potuto cercare alternative, ma non lo abbiamo fatto. Nessuna istituzione vigila sullo sfruttamento della montagna, per cui si procede sparati sull’unica strada che conosciamo.
Il Cai nel 2013 stilò un bidecalogo, ovvero 20 principi a cui il Club si sarebbe attenuto. Una sorta di codice etico/ambientale che non è in alcun modo vincolante dal punto di vista legislativo ma che traccia solo delle linee guida. I primi 10 punti riguardano la tutela dell’ambiente montano e del territorio. Ci interessano tantissimo. Sebbene da aggiornare alla luce di una crisi climatica che galoppa (ripetiamo ancora che le Alpi sono uno dei grandi hotspot del cambiamento climatico), i punti cardine sono ancora validi. Di seguito una breve lista:
- Il Cai si dichiara contrario al nuovo sviluppo di nuovi impianti, richiede lo smantellamento di quelli dismessi;
- Contrasta l’uso indiscriminato di aerei, elicotteri o motoslitte per attività ludiche;
- Si dice favorevole ad un turismo lento, che prediliga le attività e i prodotti montani;
- Riconosce l’importanza di corridoi ecologici e il contenimento di nuove infrastrutture e nel contesto riconosce l’importanza dello sviluppo ferroviario nei territori;
- Sostiene le fonti rinnovabili e l’uso della biomassa per l’approvvigionamento energetico (con uno sguardo sulla tutela del paesaggio);
- Sostiene il mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali e uno sviluppo economico che possa gestire e tutelare l’ambiente.
Dopo 9 anni dal bidecalogo c’è da chiedersi a cosa serva il Cai. Si stanno costruendo e ampliando nuovi impianti in tutto l’arco alpino, le infrastrutture per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 (con buona pace di Fondazione Dolomiti Unesco) inondano il nord-est, l’eliski impazza sul Cervino e sulle Dolomiti. Le attività agro-salvo-pastorali fanno fatica a decollare, si predilige giustamente uno sviluppo economicamente sostenibile che finisce magari con l’abbandono delle terre per la città o per le industrie. Le valli sono ancora legate all’utilizzo dei fossili, mentre con la scusa della tutela del paesaggio gli impianti rinnovabili sono pochissimi anche nei territori che potrebbero ospitarli.
Che fine ha fatto la voce e l’autorevolezza del Cai?
Credo che il passo in avanti che debba fare la nuova presidenza del Club stia nel chiedere alle amministrazioni la possibilità di far crescere l’intento del bidecalogo. Applicarlo veramente (così come dovremo approvare il Pniec) per contrastare l’estrattivismo montano - turistico, economico e sociale.
É giusto andare sul MonteBianco per dirsi preoccupati dell’effetto del riscaldamento globale sui ghiacciai alpini ma questo non basta e non basterà. Serve coraggio per far sentire la propria voce a tutela di un patrimonio unico ma trattato allo stesso modo di una cava di ghiaia. Sono sicuro che Quintino Sella sarebbe orgoglioso di sapere che il Cai ha veramente ancora a cuore la montagna e il suo ambiente.
di Michele Argenta - collettivo “Ci sarà un bel clima”