Vannacci, il milite ignoto trasformato dai suoi detrattori in super star: ecco perché il Generale oggi ruba la scena al Capitano
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Il generale ha fatto il pieno. Chi si stupisce è un allocco. Chi si schernisce perde il suo tempo. Un tempo che potrebbe meglio occupare adeguando il proprio linguaggio a quello di Vannacci. Per dire, ovviamente, il contrario di quel che il milite noto va predicando. Ma per dirlo in modo da non sembrare alieno, distaccato, “superiore”, magari non simpatico ma almeno un poco empatico. Vannacci super star. Vannacci che alle stellette (chissà perché ne hanno così tante) della divisa aggiunge le stelle di una bandiera europea che è dura immaginare se, come e quanto onorerà.
Chi considerasse il successo del generale una sorpresa dovrebbe legarsi alla sedia come Vittorio Alfieri. Se con il gesto (complice il domestico) il poeta volle fortissimamente diventare un autore storico, il suggerimento per quelli che cadono dalla sedia all’idea del Vannacci pigliatutto è di studiare e ristudiare le storture (anche un po’ torture per la verità) di un’informazione deformata e deformante. Lo si è già scritto qui prima del voto e lo si ripete senza orgoglio adesso. Senza una dose quotidiana di Vannacci propinata in ogni dove tra Tv, radio, giornali, web e dintorni il generale sarebbe rimasto un milite ignoto: senza monumento.
Di personaggi che le sparano grosse (e il soggetto per altro spara anche per mestiere) è pieno il mondo. Di personaggi che pubblicano l’inverosimile sperando di carpire l’attenzione di almeno un parente stretto sono pieni gli scaffali virtuali come quello inizialmente usato dal generale. Ma quando una mitragliata di scemenze diventa criminalmente materia di pseudo dibattiti televisivi la frittata è servita. L’anonimo si trasforma in popolare, nella fattispecie in iper popolare. Scatta uno strambo, deleterio ma inevitabile meccanismo promozionale nel quale anche la critica più dura perde senso – si smarrisce, sparisce – di fronte al regalo di un’onnipresenza che nemmeno richiede più la presenza fisica.
Sì perché a proiettare Vannacci in testa all’Olimpo dei citati è bastata una continua evocazione. Passi per l’adorazione (che con evocazione fa pure rima) di una destra cui non è sembrato vero di trovare la fortuna di chi esprime solenni idiozie con la naturalezza che gli “istituzionali” non possono permettersi.
Ma a fare un vero piacere al generale sono stati soprattutto i suoi detrattori, i troppi eroi della presunzione che al motto “adesso lo facciamo nero” (lui che nero, ma non per pigmento, lo è forse davvero e dunque non si scompone) hanno consolidato la sua immagine prima ancora delle sue teorie balzane. Teorie che troppo spesso sono sembrate più alcoliche che elaborate. Il fatto è che il sistema dell’informazione deformate si regge sull’eccesso. Con la pacatezza del confronto (fate santo Zatterin e le sue tribune politiche) da tempo finita al macero, resta solo l’urlo, il reciproco sberleffo, l’insulto e quando va bene il ghigno tra avversari che si parlano solo a gesti. Si potrebbe dire gesti da caserma se non fosse che il furbo generale è sfuggito alla regola spiazzando anche i più attrezzati a demolirne le buie idee con l’arma della flemma.
Per come è fatta la Tv (per come sono fatti gli altri organi di scarsa formazione che hanno trasformato le pagine in spalti) la flemma non è un’arma. E’ l’Armageddon. Cosicché se ne sono viste di ogni. E non è mai stato un bel vedere. Eminenti commentatori che saltabellano da una trasmissione all’altra contando i gettoni hanno trasformato il “Bar Vannacci” nella Sorbona. Che il generale ci fosse o che (più frequentemente) non fosse dentro studi e studioli a tiro di microfono e telecamera tutti a citarlo, tutti a fargli impressionante pubblicità gratuita anche quando c’era la strenua fatica della denigrazione. In una nazione che prende per vere anche le ben pagate finzioni del Grande Fratello o dell’Isola dei poco famosi non ci si può purtroppo affidare al ragionamento. Non acchiappa lo scandalo legittimo per come il generale sguazza nelle banalità omofobe, sessiste e discriminatorie. Uscite che in un qualsiasi esercizio pubblico porterebbero il gestore a mettere via la bottiglia.
Forse solo una pernacchia avrebbe avuto un certo effetto, almeno per la logica dell’imprevedibilità. Ma dentro talk e dintorni l’imprevedibilità è vietata. Così come l’ironia – altra dote che di solito colpisce nel segno – viene affidata agli inserti dei comici che ormai temono solo il fatto che i politici hanno loro rubato il mestiere. Per il resto è troppo spesso altro. Per il resto il gioco è quello degli aridi di idee e personalità (di ogni partito e anche della società) trattati come geni e dei ricchi di idee e personalità relegati a comparse perché la serietà non fa audience.
Il discorso diventa a questo punto lungo ed insidioso ma la sensazione, un mezzo dramma, è che in questi anni i talk show più gettonati ed osannati abbiano contribuito a spedire nelle istituzioni un gran numero di mezze tacche. Anche quando sono state chiamate in Tv allo scopo di scorticarle (affidandosi alle grinfie del giornalista più feroce) le mezze tacche sono state santificate attraverso l’onnipresenza. E l’urna ha fatto poi il resto: una logica conseguenza.
Cosicché il caso del generale che non è certo un caso isolato anche se sicuramente è uno dei più clamorosi. Vannacci chi? Vannacci, chissenefrega. Fosse stato così alla prima lettura delle prime righe del suo primo vaniloquio ora si potrebbe parlare d’altro. Ma così non è stato e non sarà. Di Vannacci ne verranno altri e per ennesime volte ci sarà chi si stupirà scandalizzato.
“Generale dietro la collina…” cantava De Gregori. Salvini si picca di apprezzare i De Gregori, i De Andrè e tanti altri senza capire quel che cantano. Stavolta però ci ha visto lungo e dietro la collina non ha visto “la notte crucca e assassina” ma la luce in fondo al tunnel in cui la sua Lega slegata dai più si stava cacciando. Ma occhio, non era la luce di idee e concetti, né quella di un tipo diventato personaggio forse persino suo malgrado. Salvini è stato illuminato dalla profonda conoscenza di un andazzo. La conoscenza delle cosiddette “regole” di certa informazione. Un tempo era lui, Salvini, il più gettonato: invitato un giorno sì e l’altro anche a dire stupidate come se fossero teorie quantistiche. Poi ha capito, in rapida discesa, che il troppo va sostituito con un altro troppo.
Perché al troppo c’è probabilmente limite ovunque tranne nell’informazione che fa spettacolo. Anzi, avanspettacolo.