''Super Trento'' e ''Supercazzole'', 40 anni di progetti dal tunnel sotto il castello ai disegni di Busquets: ma i parcheggi di Gardolo tolti per la ciclabile interessano?
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Mi tocca partire da me e non è per presunzione. Un bel po’ di vita l’ho infatti passata a proporre - per mestiere - cronache della città. Credo non inginocchiate. La memoria non è ancora del tutto morta. Ecco allora che di fronte al futuribile progetto della “Super Trento” - (cioè addio binari, viva il tram, viva i pedali ed una vita pedonale con verde annesso) - proprio non ce la faccio a non guardare indietro. Guardando indietro di tanto, riedito (con un che di divertimento) anche i troppo facili entusiasmi per mirabili prospettive urbanistico/sociali della città. Idee mai realizzate.
Nel mezzo degli ormai paleontologici anni 80, quelli del motto spinto “spendi che tanto il conto lo pagheranno i posteri” mi trovai a seguire le vicende comunali per il “fu” quotidiano Alto Adige. Piccola digressione: quel giornale sprizzò salute fino a quando, nel 2002, un direttore dalla lungimiranza prossima allo zero cestinò la sua storia. Un capriccio (harakiri) tanto costoso quanto improvvido impose il cambio di nome: nacque il Trentino. E fu l’inizio della fine. La genialata che avviò una discesa verso gli inferi dell’editoria locale finì poi (male) nel 2021. Ci fu la piratesca chiusura decretata da un imprenditore altoatesino che c'è chi dice illuminato ma intanto spegne le luci. Fine della digressione: questa è un’altra (brutta) storia.
Tornando al tema “Super Trento” si potrebbe titolare “Occhio ai voli pindarici”. Con la sola nostalgia per un’età un po’ meno adiposa ho in mente molti articoli (forse perfino troppi) nei quali mi trovai ad informare sui “mega progetti” che avrebbero dovuto cambiare – sì, anche allora – Trento. Si illudeva e ci si illudeva per una città migliore dal punto di vista dell’urbanistica, della mobilità e della vivibilità. Il budello - gas e bile in coda – di Via dei Ventuno, ad esempio. Beh, a parole sembrava destinato a sparire nel giro di pochi anni. Un tunnel che liberasse il Buonconsiglio da un traffico (che allora come ora è imbottigliato) non pareva aria fritta. Lo disegnava pure il circoletto del fumo della pipa dell’ottimo e compianto assessore Claudio Visintainer. Lui era pure fautore, al tempo, di una Via Brennero trasformata in viale urbano: visione proto ecologica della viabilità.
Ieri ed oggi? Via dei Ventuno è ancora gas, ingorgo e bile. Il tunnel è in archivio da mo’. Tra Piazza Mostra e il Castello passano sempre le auto. Più avanti, all’avvio degli anni 2000, consumai ettolitri di inchiostro negli articoli (che non erano del peana) sull’interramento della ferrovia cittadina. Lo stesso interramento che oggi l’idea di “Super Trento” resuscita in festosi “faremo”. Senza un calendario. Vent’anni fa un archeo star catalano, quel Busquets
ingaggiato dall’allora sindaco Pacher, giurava su una fattibilità rapida della “super opera”. Il tutto per la modica cifra di 300 miliardi e qualche spicciolo. Che ovviamente non c’erano. Orbene, siamo arrivati all’anno domini 2024. Domina un deficit statale tanto stratosferico da rendere perfino virtuoso il debito di 20 anni fa.
Con il passare degli anni i sogni di un ridisegno urbano senza binari si sono amaramente sfracellati sul muro di soldi (nella fattispecie inevitabilmente statali) inesistenti. Soldi che se non c’erano allora, con un’economia solo un po’ meno in affanno, non si capisce perché dovrebbero essere di più facile reperimento oggi (ma anche domani) con lo Stato che annaspa nelle acque melmose di “buchi” da incubo e con mille promesse destinate a smentita (salvo il salvifico Pnrr che tutto può ma ancora non molto fa). L’osannata “Super Trento” – non solo treni sottoterra ma una superficie che vorrebbe far invidia all’Europa, al mondo e alle galassie - modifica e promette oggi di migliorare l’ormai antico progetto catalano. Come? Spingendo ancora più a fondo sul pedale ambientale.
L’ottimismo - amplificato da paginoni senza un dubbio che sia uno - appare incalcolabile. Ma incalcolabile (non c’è una cifra che sia una) è pure il costo delle opere. Così come i tempi (oltre che i modi e l’impatto dei lavori) dell’eventuale realizzazione. Queste domande – piccole e legittime – non se le pongono di certo coloro che in Comune danno per “già fatto” un progetto che è ampiamente di là da venire. Il record dei “peana” va assegnato al capogruppo del Pd. È un tipo che vorrebbe le ciclabili e i trenta all’ora anche in autostrada. Sarà, ma non è detto che l’estremismo a pedali contribuisca alla cultura ambientale.
Chi da Palazzo Geremia amministra il presente affollando i social di lodi a sé stesso vorrebbe amministrare anche domani (e in questo caso per il dopodomani). Vorrebbe lasciare un’eredità ancora più marcata della groviera forse troppo inquinata che è prevista sotto la montagna tra Mattarello e lo Scalo Filzi. Dì lì passeranno i treni merci. Si deve volare alto. Si devono suscitare suggestioni forti, capaci di far sentire inadeguati al futuro tutti quelli che non aderiscono con entusiasmo e fiducia alla religione delle grandi opere. Certo, il sogno di una città senza binari e senza fratture tra una parte e l’altra non era peregrino vent’anni fa e non lo è oggi. I sogni più realistici retano comunque quelli che si fanno ad occhi aperti. Certo, non è un reato proiettarsi in un futuro senza data, senza cassa e dalle mille variabili che condizioneranno pesantemente tempi e modi dell’ambizione comunale a rinnovare i fasti dei Mazzurana.
Ma un tema è anche quello di non adoperare un futuro immaginifico come arma di distrazione dall’obbligo di concentrarsi anche sulle “minutaglie”. Quelle che fanno quotidiana e buona amministrazione. Anticipando in divertito surplace l’accusa prevedibile di disfattismo, insisto. Forse non è inutile chiedere meno fideismo, più “piedi per terra” e magari anche l’intelligenza di non affidarsi solo ai pasdaran del pedale per restringere strade, eliminare parcheggi e sperare che le automobili si smaterializzino assieme a tutte le necessità che obbligano al loro uso quotidiano. Un uso che non è sempre un abuso.
La città ha il diritto e pure il dovere di immaginarsi “super” (chissà quando però). Ma nell’attesa non si cestini il buon senso. Tanto per dire a Gardolo – occhio che non si fa campanilismo ma si cita solo un esempio tra i tanti – c’è un sunto dell’assurdo. Via i cestini davanti alle scuole (medie ed elementari) ma decine di raccoglitori sul marciapiede che dalla rotatoria Bermax porta a Lavis. È un marciapiede che se un pedone lo percorre lo portano in Tv come eroe. E sempre a Gardolo per allungare una ciclabile hanno tolto i parcheggi a chi abita la via senza offrire alternative.
Bazzecole? Manicheismo spiccio? Confondere l’oro (le magnifiche sorti della città futura) con la latta di chi non sa guardare oltre il proprio giardino? Può essere. La memoria – si sa – ti condiziona gli umori ma non è detto che sia un male. Specie quando insegna che un po’ di realismo può rendere meno amare le disillusioni.