Se il teatro "da lontano" trasforma i giovani in attori protagonisti
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Una nuvola che parla mutando. Un intrigante forzato del computer che cerca “complici”: medita una fuga liberatoria che lo riporti dalla realtà virtuale a quella fisica. Altri prigionieri – carcerati, stavolta drammaticamente veri – che svelano un imbarazzante “mondo a parte” per uscire dall’anonimato del disinteresse e della rimozione. Un teatro che non è fatto e finito. Un teatro che diventa – poco a poco nella confidenza - un infinito di creatività. Un teatro che rinuncia forzatamente ma scientemente agli spettatori e che si fa forza di questa menomazione.
Lo fa per cercare e moltiplicare gli attori. Sono attori “nonostante”: prima inconsapevoli e poi sempre più convinti, entusiasti, di poter vivere al centro della scena. Una scena che non ha bisogno di un palcoscenico, di una quinta, di un copione. Una scena che necessita, però, di fantasia e di partecipazione. Cosicché il teatro sarà anche a distanza. Ma non sarà impersonale. Sarà nuovo e sarà vivo.
Sono questi – assieme a molti altri – i capisaldi di un progetto in via di felice conclusione che ha mobilitato bambini e ragazzi in tutto il Trentino durante i mesi grami della “Dad”, la didattica obbligatoriamente atipica, drammaticamente emergenziale, imposta dall’incubo pandemico.
La scommessa, cioè, del Coordinamento Teatrale Trentino – (un’idea di Giovanna Palmieri, sposata dalla direttrice Claudia Gelmi e della presidente Loreta Failoni) - è stata una sfida collettiva che ha unito esperti, insegnanti, attori e soprattutto giovani fruitori. Era un’incognita condizionata da molte variabili legate al rebus degli “apri e chiudi” scolastici, di “presenza e assenza”. Le variabili da impazzimento che hanno caratterizzato un anno di “scuola non scuola” dalle ricadute psicologiche e sociali per nulla definibili ma certo, e purtroppo, di lunga durata.
Ma la scommessa di un rapporto da costruire passo dopo passo nel nome di una interazione dinamica tra parole, gesti, sensazioni era tuttavia irrinunciabile. Ecco dunque che il progetto nato da un lungo approfondimento si è concretizzato, coinvolgendo toccando scuole di Trento e della periferia con un numero considerevole di classi: dall’infanzia alle superiori.
Tanto, necessariamente tanto, il lavoro di preparazione affidato ad un gruppo variegato di soggetti appartenenti al mondo della scuola e del teatro: formatori, insegnanti, artisti, genitori. La missione del progetto? Inedita e piuttosto coraggiosa. Usare il teatro – tecniche consolidate o sperimentali applicate all’arte vitale del rapportarsi – come mezzo anziché fine. Il teatro come linguaggio, o meglio come somma di linguaggi diversi.
Il teatro come occasione per liberare l’imprevedibile della fantasia dei bambini e dei ragazzi, l’interesse non scontato dei giovani, attraverso gli stimoli degli attori, (e degli insegnanti), che non sono stati chiamati a recitare ma a costruire assieme ad un pubblico decisamente variegato tante storie in una storia, tante variazioni ad un tema. Ma anche un teatro - i "metodi" comunicativi del teatro - per modellare la didattica a distanza con una forte impronta di personalizzazione ma insieme di "collettivo", di comunità.
Il tema del progetto, il titolo? “Teatro e scuola: fra libertà e regole”, vale a dire un percorso senza pretese scientifiche ma con abbondanza di realtà nel “vissuto” giovanile in epoca di pandemia. E cioè le emozioni, le paure, l’urgenza di riconquistare relazioni, il rapporto “delizia e croce”, importante ma ambiguo, con la tecnologia. E molto altro che è emerso con semplicità e forza nelle reazioni orali e scritte di bambini, ragazzi e giovani alle proposte del progetto.
Per i bambini delle scuole per l’infanzia e del primo ciclo delle primarie l’incontro con Ueb, (il personaggio, il prigioniero del computer, inventato e interpretato da Alessio Kogoj di Teatri Soffiati) è stato insieme divertimento e sfida. Ueb voleva uscire dalla gabbia informatica e i bambini gli hanno indicato parecchie vie di fuga. Lo hanno fatto “da lontano”, collegati, sviluppando una comunicazione intensa e festosa sulla libertà. Lo spettacolo che la “Storia di un palloncino” di Silvio Antonelli, è un modo per legare il mondo dei desideri espressi dai bambini alla realtà di ciò che si riesce a realizzare.
I bambini del secondo ciclo della scuola primaria hanno trovato in Cloud, (ancora Kogoj ) una nuvola amica che li ha aiutati ad esprimere pensieri di “viaggio”, di una fantasia in viaggio. Un viaggio, però, con i piedi per terra: una terra di natura troppo spesso violentata e da difendere, una terra dove praticare solidarietà, dove abbattere steccati. Le risposte – raccolte e documentate – alle telefonate di Cloud dicono quanto i bambini abbiano voglia di scoperta quando possono misurarsi con un gioco che mescola lettura, narrazione teatrale, disegno, composizione grafica, videoproiezione.
Per le scuole medie è in uno spettacolo, “Dis-Connesso” di e con Guido Castiglia, è servirà a far capire quanto la distanza tra mondo reale e mondo virtuale vada urgentemente diminuita. Quanto il primo sia utile solo se si pone al servizio e non “contro” il secondo.
Infine le superiori. Infine un tuffo in una realtà poco considerata che quando irrompe nelle emozioni dei giovani lascia segno.
Grazie al lavoro instancabile di Amedeo Savoi, docente anche di libertà con la sua associazione “Dalla viva voce”, si è proposto con il progetto “Liberi da dentro” un parallelo di testimonianze e pensieri sulla privazione della libertà. Sulle voci dal carcere gli studenti hanno investito attenzione, hanno incontrato il diritto e la Costituzione. Con partecipazione, idealità, senza indifferenza. Ancora una spettacolo, “Nelson”, al quale sono prenotati via web 500 studenti, chiuderà il 20 aprile questo percorso. Nel raccontare Mandela Giuseppe Di Bello alternerà i sentimenti dell’odio e dell’amore.
E sarà un bell’insegnare, grazie a quello che si può facilmente prevedere come un “bel partecipare”. Dopo lo spettacolo una riflessione aperta con gli artisti, il criminologo Ceretti e l’avvocata Brunelli.
Il teatro, dunque, che non va in aiuto alla didattica ma che si fa didattica utilizzando e rimescolando tutte le opportunità: presenza, distanza, formula mista. Il teatro che si adatta alle condizioni ma nello stesso tempo cerca di cavare il meglio anche dalle difficoltà dei contesti. Una proposta che sta per chiudersi quella del Coordinamento Teatrale ma che a ben guardare potrebbe essere un inizio.
Per chi – nelle istituzioni – volesse prendersi il tempo di stilare un bilancio serio dell'iniziativa c’è materiale a iosa. Materiale per capire la “forza” aggregante e formativa del teatro. Un teatro che quando tornerà “dal vivo” sarà festa grande ma che anche in forma ibrida ed emergenziale aiuta a crescere. Materiale, infine, per considerare la caparbietà e la fiducia di un sodalizio - il Coordinamento Teatrale Trentino - che anche in una fase di crisi drammatica e paralizzante ha scelto di non alzare bandiera bianca. Facendo di necessità virtù.