Quella telefonata che mi ha fatto scoprire SgarBino e credere che Sgarbi, in realtà, abbia un doppio
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Mi rosicava un dubbio. Ora non più. D’improvviso tutto è chiaro. Tutto è certo. Adesso so che Vittorio Sgarbi è “uno e bino”. Ha un doppio. Non ho ancora capito se si tratti davvero del suo opposto o se, al contrario, sia solo una versione più furbetta del “bifronte” caro tanto ai critici quanto ai criptici delle arti. Compresa quell’arte del bastian contrario che per Sgarbi è un ergastolo: volontario. Prima o poi capirò. Per adesso mi accontento della sorpresa. Sgarbi – lo giuro - ha un gemello diverso. Ha un alterEgo dalle identiche sembianze. Ma per nulla mono-tono. Il gemello, il “bino” di Sgarbi detto anche SgarBino, non esterna. Non ti sputa addosso scemenze che alla prova dei fatti restano…scemenze: vedi alla voce “vaffa virus…”.
A SgarBino, Sgarbi non concede lo sgarbo. Ovvio, gli concede poco: meno livore, più educazione e rispetto. Ma è un poco che ti lascia di stucco, ti coglie impreparato. Ti spiazza. A dirla tutta, ti fa arrabbiare ancora di più. Ho scoperto l’altro Sgarbi per non più di venti minuti. Telefonici. Un niente. Venti minuti telefonici non ti permettono alcuna conoscenza. Ma l’intuizione sì. E non è roba da buttar via. Puoi prendere una topica. Ma puoi anche azzeccarci. Beh, io credo di poter azzardare che sarebbe una fortuna se SgarBino si ribellasse a Sgarbi, se sapesse “liberare” Vittorio dai ceppi del suo personaggio pubblico. Una fortuna per lui: libero da sé stesso. Una fortuna per noi: liberi dalla sua rumorosa e patologica ritualità.
Lo Sgarbi “original” mi aveva chiamato per replicare a voce - dopo replica scritta - ad un mio articolo sulle sue mattane da presidente del Mart.
Mi ero premunito. Eccome se mi ero premunito. Mi ero attrezzato procurandomi erba e radici. Mi avesse chiamato “capra”, gli avrei risposto così: “Un attimo, stia in linea. Bruco un po’, poi torno a lei”. Invece no. Stavo parlando con l’alterEgo. Con SgarBino. Niente insulti. Niente sussulti e grida. Lui, SgarbIno, mi lasciava dire la mia. E credo mi ascoltasse pure. Difendeva le sue tesi cultural-artistico-gestionali sul Mart con normalità anormale. Dove era finito lo Sgarbi dell’eccesso? E quello che pontifica o lancia improperi anche seduto su un cesso, come un Cattellan dell’eloquio spinto ai limiti di ogni decenza, (l’artista, non il magnifico conduttore Sky)? Se c’era, s’era assopito. Magari per quei venti minuti non aveva sottomano il copione. Fatto sta che “Sgarbi uno” deve essersi distratto. Probabilmente è proprio profittando delle distrazioni che il SgarBino prende coraggio e si materializza.
Con SgarBino puoi miracolosamente interloquire. Tu con le tue idee. Lui le sue. Ma alla fine del colloquio guardi l’orologio e ti dici: “Beh, non è stato tempo perso. Specie se si parla della materia che Sgarbi conosce e difende a spada tratta”.
Sono passati giorni da quella telefonata. Ma ancora ci penso e mi imbarazzo nel districarmi tra Sgarbi e SgarBino. Mi domando: “Quando gli ho buttato lì che “l’insultite” è un cancro che si mangia sia la cultura che l’intelligenza mi avrà preso per matto? Non ha reagito duro perché sui matti, e solo sui matti, non infierisce?''. Mentre cerco di darmi una risposta che credo non avrò mai, l’alterEgo di Sgarbi, SgarBino, deve essere tornato in cella.
“Sgarbi uno” è tornato padrone assoluto della scena. Ripropone il suo infinito monologo. Senza originalità. È il monologo dell’Assoluto dissoluto. Più modi che nodi. Il “su e giù” degli occhiali e il disequilibrio studiato delle intonazioni: partono distratte e soffici per poi crescere fino al martirio della giugulare. E di ogni buon senso. Questa sera si replica a soggetto? Non se c’è Vittorio Sgarbi: può sembrare che improvvisi un urlo o una bestemmia. Non è così. Non improvvisa. Semmai travisa, confonde e si confonde: ad arte. Nel suo monologo che da decenni titola “siete teste di c..” cambiano solo le comparse. Sono politici, amministratori, soubrette, professionisti, poveri cristi di passaggio che non lasciano segno tra i tanti che albergano negli studi televisivo-radiofonici. Ma anche in quella cloaca massima del pensiero a perdere che sono i “social”.
Con loro “Sgarbi uno” va a nozze. Fa pesare il mestiere. Non ha nemmeno bisogno di impegnarsi per mantenere saldo il primato del re dei provocatori. Una folla di epigoni prova ogni giorno ad imitarlo intingendo la penna nel vomito. Niente da fare: comparse restano i Feltri, i Belpietro, i Giordano e i Del Debbio, le Santanchè e le d’Urso, gli Adinolfi, gli Storace e non posso mica elencarli tutti perché non ci starebbero in questo mio articolo su il Dolomiti. Adesso nel copione di “Sgarbi uno” è entrata anche la povera Silvia Romani. Lei non era una comparsa. Era scomparsa non per sua volontà. Nel riproporsi commentatore incommentabile Vittorio Sgarbi ha recuperato il suo copione.
Quel suo monologo che a forza di repliche tutte uguali virava verso il comico, stavolta è diventato un horror. L’accusa di terrorismo islamico alla ragazza “velata” non fa solo paura. Procura anche pena per un attor-tragico che ripete sé stesso quando invece potrebbe cambiare registro come “cultura comanda”. Sennò non è cultura. Se l’alterEgo, se SgarBino, non è stata una mia illusione, spero si divincoli presto dai ceppi. Che torni a stupirmi. Chissà che il copione, finalmente, non possa cambiare.
Su Silvia, ad esempio, SgarBino non avrebbe recitato – malissimo - la parte del bullo. Non avrebbe istigato orde di decerebrati e pericolosi imitatori perfino più feroci di lui. Forse SgarBino avrebbe semplicemente parlato così: “La sua fede religiosa? E’ affare suo. Mi spiace solo che abbia scelto di farsi simbolo estetico di una fede in un aeroporto. Mi spiace che così abbia facilitato gli ululati di chi non sa e non vuole distinguere tra esteriorità ed interiorità?”. Così se ne sarebbe potuto discutere. Io, almeno, ci avrei discusso. Ma ora sono in crisi. SgarBino – quello della mia telefonata – forse è una mia allucinazione. Forse è una mia speranza. Dovesse ricapitarmi, a “Sgarbi uno”, original, glielo chiederò. E gli riproporrò una supplica, lo stesso appello che gli rivolsi umilmente in quella telefonata: “Signor Vittorio - la prego – per una volta cambi copione”.