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Pergine Festival, l'occhio senza la cataratta dell'autoreferenza

Si cambia direzione, verso e mèta. Grandi nomi (Rossi, Marcorè, Punzo, Pagliai) assieme alla nuova drammaturgia ma soprattutto un ritrovato rapporto con il territorio e la comunità coinvolta nei progetti e nei luoghi. La mano dei due Babilonia punta a tenere in un equilibrio il popolare e la ricerca, la storia della manifestazione più longeva del Trentino, il presente e il futuro.
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 15 maggio 2023

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Occhio vede, cuore duole. La rielaborazione del detto (chiediamo subito venia) è un po’ cretina. Ma forse serve a rendere l’idea. A Pergine nel corso di questi ultimi anni - (non l’ultimo, né il penultimo ma una decina almeno. Che sono davvero troppi) - l’occhio (tanti occhi, quelli del pubblico e più ancora quelli dei perginesi) ha visto la trasformazione involutiva del festival più longevo del Trentino.

 

 Attenzione, sarebbe ingiusto e sarebbe sbagliato parlare di involuzione qualitativa. Prese una per una (anche se certo non tutte) le proposte che hanno animato gli ultimi cartelloni estivi perginesi vantavano un loro “senso”, una loro dignità nel magmatico campo della ricerca e nella contaminazione artistica.

 Tuttavia il consiglio direttivo di Pergine Festival (che qui continueremo per affetto motivato a chiamare Pergine Spettacolo Aperto) ha deciso non senza sofferenza che l’occhio non solo doveva spalancarsi per analizzare le troppe cose che non hanno funzionato ma che si doveva intervenire (anche brutalmente) per evitare che il cuore della manifestazione smettesse di dare quei segni di sofferenza che preludono al collasso.

 

  Pergine Festival 2023 non ha dunque cambiato solo la direzione artistica, passata ora nelle mani culturalmente in pasta (accezione positiva) di una compagnia teatrale dal curriculum indubitabile. Stavolta Pergine Festival sembra aver cambiato direzione di marcia, il verso e pure la mèta.

 Se carta canta (il programma andrà ovviamente verificato sul campo, ops sul palco, ma intriga) si intuisce che nelle scelte di Babilonia Teatro il “come” conta tanto o forse più del “cosa”.

 

  Il come è, ad esempio, una filosofia che (tardivamente ma meglio che mai) torna ad ispirare la programmazione. E cioè, il pubblico non può mai essere considerato una variabile indipendente (se c’è meglio, se non c’è chissenefraga), così come non può essere un optional un rapporto intenso, vitale, di confronto serio con il contesto sociale e culturale che un festival può e deve stimolare ma non può permettersi di ignorare.

  Nel passato recente di Pergine Spettacolo Aperto (ma poi nemmeno tanto se andiamo indietro nel tempo fino al trip per la lirica o quello successivo per l’estemporaneo contemporaneo) si è avuta la fastidiosa e imbarazzante sensazione che l’autoreferenza abbia troppo spesso prevalso. La sensazione, cioè, che ci si crogiolasse negli eccessi di sperimentazione e che la parola “equilibrio” fosse una bestemmia.

 

 Un festival quasi cinquantenne, nato quando il Trentino dello spettacolo era un deserto aridissimo e attrattivo per l’intera provincia per un ventennio almeno, doveva evolvere. Su questo non ci piove e sarebbe stata delittuoso l’adagiarsi sul sicuro di un elmo da spettacolo (il vecchio, glorioso, teatro tenda) quasi sempre pieno.

 Ma se si ha rispetto per una storia importante e paradigmatica bisogna evolvere, bilanciando il più possibile l’impronta “popolare” con lo sconfinamento verso una crescita capace di proporre più riflessione, più curiosità, più ricerca e anche più provocazione. Buttare la bilancia di una sana gradualità e di una convivenza virtuosa tra passato, presente e futuro è stato un errore serio. Di presunzione in buona fede (che a volte è perfino peggio).

 

 A Pergine par di capire che hanno capito. Il festival non fa marcia indietro, non cestina il lavoro trascorso, ma si pone il dichiarato (e condivisibile) obiettivo di ritrovarsi e di ritrovare. Ritrovarsi nei luoghi deputati allo spettacolo (il teatro innanzitutto ma anche il castello, le strade e le piazze) e in quelli da dedicare all’inconsueto (la nuova biblioteca come spazio di rappresentazione e incontro).

 Ritrovarsi nei rapporti con il pieno coinvolgimento di quell’associazionismo culturale perginese che allontanato da certa “puzza al naso” ha automaticamente allontanato il consenso al festival. Ritrovarsi nei luoghi, nelle relazioni, in un protagonismo della comunità da costruire attraverso gli eventi: prima, durante e dopo gli eventi del festival.

 Eventi che scorrendo con approssimazione il cartellone alternano il richiamo automatico dei nomi noti (Paolo Rossi, Neri Marcorè, Emma Dante, Vasco Brondi, Circo el Grito, Armando Punzo che col su lavoro in carcere trasforma insieme il teatro e i detenuti) a quello su cui investire più energie (anche promozionali) della nuova drammaturgia giovane e degli emergenti (spesso già emersi a suon di premi).

 Ma c’è una ricetta semplice per il cambio di registro che ambisce a riportare Pergine al centro delle peregrinazioni culturali estive di trentini e non. La ricetta è il confronto, quello che Valeria Raimondi ed Enrico Castellani (i Babilonia) chiamano “incontro tra sensibilità e punti di vista che possono non coincidere ma che non si possono evitare né escludere”.

 

 E’ da questo incontro riattivato che nascono i progetti speciali del festival 2023. Il progetto Concentrica che chiamerà a bambini a trasformare la piazza in un immenso occhio che guarda indietro, avanti, di lato. Il progetto che unirà Ugo Pagliai (il teatro che fa storia, il coro Genzianella e una drammaturgia dell’oggi. Il progetto che darà voce a chi vive (?) nelle case di riposo per realizzare un collage di favole senza età curato dal Teatro dei Venti. Il progetto musical creATTIVO con cui i mirabolanti Fratelli della Via e la Banda di Pergine proveranno a trasformare tutta la popolazione in una folla di musicanti di strada.

 Nel programma c’è molto. Qui di spazio ce n’è poco e poi luglio (il periodo del Festival) è ancora lontano. Ci si tornerà con dettaglio ma per ora è meglio darci un taglio per ribadire che il passo fatto a Pergine non ha nulla dell’equilibristico ma, nel contempo, sembra aver messo sul tavolo parecchie buone carte per un pieno rilancio di cui l’assessore alla cultura di Pergine, Betti, si dice sicuro: “Si respira una bella aria, nuova, che va al di là delle proposte e che nasce dalla ritrovata voglia di collaborare al proprio festival di tante realtà perginesi”.

 

 Il simbolo di Pergine Festival (spettacolo aperto) è l’occhio. Un occhio vissuto, anziano, che interpreta il tempo con orgoglio ma non si fa vispo, giovane, quando non si imprigiona alla nostalgia. Forse, vista la portata della trasformazione di cui sopra, lo si potrebbe chiamare anche Festival “a quattrocchi”. Per la riscoperta di alcuni maestri del palco, per la scoperta del nuovo, per gli intrecci ma più di tutto per la voglia di dialogo continuo, vitale, tra le arti e la società che la cultura può migliorare, se vuole.

 Ma l’occhio di chi fa cultura non può auto prodursi la cataratta precoce di chi trasforma il proprio gusto in assoluto, non si mette in discussione e fa spallucce di fronte a “chi non capisce”.

 

 Le “eterne” presentazioni dei festival offrono momenti di inconsapevole umorismo (che non fa ridere). A quella di Pergine Festival un ineffabile assessore provinciale alla cultura, Bisesti, ha esaltato il nuovo corso mentre chi scrive si guardava le note dello scorso anno, quando Bisesti, ugualmente ineffabile, esaltava la filosofia opposta. “E’ la politica, bellezza”, direbbe Bogart.

 

 Ma con Bisesti agli organizzatori è andata ancora bene. Quando i Babilonia hanno annunciato Vasco Brondi, (più poeta che musicista) nel programma sarebbe potuto capitare che al nome di un altro Vasco il buon Bisesti promettesse l’area San Vincenzo. Magari dicendo così, papale papale: “Ostrega, avevamo giurato che sarebbe diventata un’arena musicale con otto concerti all’anno. Naturalmente scherzavamo. Portiamoci almeno questo altro Vasco. Magari con le elezioni provinciali vicine qualcuno ci casca. Di nuovo”.

 

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