Pergine Festival, il clima vale quanto lo spettacolo
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Quattro pagine fitte per comunicare un menù che pare in grado di far venire l’acquolina artistica tanto a chi è di bocca buona (che non vuol mai dire povertà di gusto) quanto a chi è avvezzo (e quasi dipendente) agli accostamenti e alle mescolanze più ardite.Se quattro pagine fitte raccontano (per altro in sintesi) la quarantanovesima edizione del festival estivo più longevo del Trentino è probabile che l’edizione 2025, quella del cinquantenario, obblighi ai promotori la stesura di un’enciclopedia.
Battute a parte (ci siano concesse, sono benevole e affezionate da lunga frequentazione) non si può non concedere Pergine Festival il beneficio dell’attrattività. Un richiamo che ha fatto e vuol continuare a fare una storia localizzata sì nel centro della Valsugana ma di ampio respiro tanto geografico (il Trentino e non solo) quanto culturale.
Pergine Festival è un conio recentemente nuovo per un’esperienza decisamente antica. Se lo si chiama Spettacolo Aperto tutto diventa più chiaro, più noto, più famigliare ai trentini. Il fatto è (e non è stato un fatto lungimirante) che Pergine Spettacolo Aperto in una fase fin troppo lunga del suo comunque pregevole curriculum era diventato qualcosa di molto simile a Spettacolo Chiuso, Nel senso che nella fregola eccessivamente intellettuale della ricerca di distinzione si era scivolati pericolosamente verso la nicchia.
La nicchia, cioè, di offerte indubbiamente qualitative (chi siamo noi per giudicare l’estemporaneità al diapason?) che tuttavia davano più di una volta la sensazione che il pubblico fosse una variabile indipendente.
Voltata pagina lo scorso anno con l’avvio di una fase che non è né vecchio né nuovo ma semplicemente (ma mica è facile) un dosaggio meditato dell’uno e dell’altro - di popolarità e di ricerca - quest’anno si insiste e si assesta, si va sul sicuro e si azzarda, si decentra più di sempre (le tante diverse sedi della miriade di appuntamenti) e si ci concentra su quella che pare la doppia missione del festival perginese.
E cioè da una parte si mira ad allargare quanto più possibile gli orizzonti della manifestazione in quanto a tematiche (anche le più complicate e scomode, sennò l’arte è Bagaglino) e dall’altra si cerca di praticare (mica solo teorizzare) un rapporto vivo e creativo con il tessuto associativo di Pergine.
Per la seconda volta (buona la prima…) il Festival è affidato alla direzione artistica di Babilonia Teatri (Raimondi/Castellani, coppia veronese che dal 2006 vede lungo sopra e dietro e palchi e per questo vanta allori in serie).
Babilonia non va scambiata con Babele anche se il giochetto un poco calzerebbe. Nel festival che spazia tra teatro, musica, danza, innovazioni, tecnologie applicate all’emozione, circo, immediatezza e sforzo si parleranno tante, ma tante, lingue. Ma se Babele è la metafora dell’incomprensibilità (casino è un termine brutto ma ci sta) nella proposta di Babilonia si comprende (eccome) che anche l’ostico si può decodificare se passo dopo passo, spettacolo dopo spettacolo, i pubblici imparano ad intrecciarsi, a confrontarsi, a misurarsi, ad accettare di scoprire anche ciò che non si conosce.
La chiave (che non si ha in tasca a priori ma che non è vietata a priori) è costruire un clima ancor prima che un programma. Un programma che fa convivere nomi famosi, nomi che famosi non sono ma che hanno un mondo da dire, nomi che famosi diventeranno oltre la fama di cui già godono dentro circuiti piccoli per dimensione ma grandi per intuizione artistica (e sociale).
Il clima si diceva. Ebbene, il clima che Pergine Festival vuol proporre (e perché no, imporre) è quello di una manifestazione che sta davvero dentro la comunità. Dentro per via degli spazi adibiti a spettacolo e incontro: praticamente tutta Pergine, comprese le case private. Dentro la comunità per via dell’alto grado di coinvolgimento al quale la comunità è chiamata: protagonista più che spettatrice.
Cinquanta eventi tra spettacoli, concerti, laboratori, performance urbane eccetera non sono una bazzecola organizzativa. Il volontariato che da sempre è la forza del festival, assieme alle collaborazioni intense con Comune, Aria Teatro ma anche Centro Santa Chiara, Stabile di Bolzano e Artesella rendono probabilmente l’impresa meno improba.
L’impresa di Pergine Festival di quest’anno è un calendario che dal 29 giugno al 13 luglio non lascerà sosta. Tanto e di tutto. Così tanto e così di tutto che naturalmente qui non si farà l’agenda se non per spizzichi e bocconi (ma bocconi abbastanza ghiotti). Tra chi non ha bisogno di presentazioni ecco Lella Costa ed ecco Gioele Dix, tra Giovanna D’Arco e Gaber (l’attualità meravigliosa dell’inattuale). Poi l’interattività dei Malmadur, la delicatezza di una Marino che affronta la depressione, l’altro mondo della Carrozzeria Orfeo (visionari dentro e fuori scena), Aria Teatro tra letteratura doc e decadenza (Il Santo Bevitore) ma anche le cronache calcistiche che danno un calcio ai luoghi comuni nel monologo di Federico Buffa. Dalla prosa alla musica con La Rappresentante di Lista (Al castello, che stenterà a contenere il pubblico) e nella versione reading (che ne chiamerà di nuovo). E nella musica il rap “sociale” di Frankie hi-nrg-mc (che pare uno scioglilingua ma è la lingua di un parlar cantato molto più serio delle furbate dei trapper). A Pergine Festival si danzerà ripetutamente (anche qui programma fitto) sui territori del contemporaneo.
Ma a Pergine Festival – e qui torna l’integrazione con la comunità – una piazza (quella del municipio) chiamerà gli abitanti a fare la loro parte in una parte artistica di gioco intergenerazionale. E tra i giochi dell’edizione quello battezzato “Senti come suona” è quello più intrigante non solo perché punta a creare sintonia tra arti, artisti, sentimenti loro e sentimenti del pubblico ma anche perché alcuni palcoscenici saranno addirittura casalinghi: tra tinelli e giardini, tra dischi della memoria ed emozioni private che – con l’aiuto degli attori ma anche no - diventano pubbliche.
Si è detto poco ma troppo per un articolo.
Quel che si deve ancora dire è che convince la nuova strada imboccata dal festival che un po’ recupera il suo miglior passato di contenitore multidisciplinare e molto si proietta nel presente (e nel futuro). Se come sembra lo farà evitando le tentazioni autoreferenziali (con i soldi pubblici) senza tuttavia evitarsi l’inconsueto di molte proposte, i prossimi anni saranno in discesa.