Ottocento firme a tempo record, il Pd saprà leggere quanto avviene o si avviterà nel buio?
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
“Ma una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale. Come una freccia dall'arco scocca. Vola veloce di bocca in bocca”. Lo diceva Faber, Fabrizio De Andrè. Lo diceva in “Bocca di rosa”, un pezzo dell’infinito vangelo laico che da sempre ispira il “Fantacandidato” alle elezioni provinciali d’autunno.
“Fantacandidato?". Forse era così fino a qualche giorno fa. Adesso no. Adesso Paolo Ghezzi è tutto meno che un ologramma brizzolato e di bella presenza che porta scompiglio in un campo – il centrosinistra-autonomista trentino – infestato per troppo tempo dalla presunzione e dall’aridità.
La notizia è corsa di bocca in bocca? Di più. La notizia vola di firma in firma. Ottocento e più sono i nomi e cognomi segnati a tempo record sotto un appello che lancia Ghezzi (Qui articolo). Non lo lancia come “L’anti-Rossi” ma come “L’oltre-Rossi”.
Eccola la notizia. Per restare a De Andrè è una "Buona novella". Certo, è una Buona novella il candidato che si materializza. E che materializza un “popolo” fin qui sottotraccia. Ghezzi ci prende gusto. Ci crede. Adesso, perfino, ci prova.
Ma la vera Buona novella non è solo Ghezzi. La Buona novella vale più di Ghezzi. La Buona novella è che un centrosinistra c’è ancora. C’è e fa ogni giorno la sua parte nella qualità del proprio lavoro, delle proprie competenze, dei propri ideali.
La Buona novella è che questo “popolo” forse ha capito che non è più tempo di consolarsi nel “privato” o di isolarsi nel solo lamento.
La Buona novella è che quelle firme potrebbero voler dire partecipazione, azione, collaborazione, confronto tra chi al Trentino può dare molto ma si è ridotto – per scelta o per costrizione - a spettatore. Sono gli spettatori imbarazzati di una politica che al Trentino ha garantito buona amministrazione senza mai costruire una visione.
Le firme pro-Ghezzi non sono firme contro Rossi. Le firme pro-Ghezzi sono – dovrebbero essere – firme che cercano il garante di una politica che sappia abbandonare l’autoreferenza per ridare fiato a chi della libertà ha una visione gaberiana: “Libertà è partecipazione”.
Partecipazione non vuol dire occupare poltrone, assicurarsi qualche posto al sole delle istituzioni, salire la scala di poteri a volte miserandi e molte più volte ben retribuiti. Partecipazione può voler dire semplicemente che chi sa - chi è credibile nel proprio lavoro come nel proprio impegno quotidiano nelle mille situazioni del sociale – viene messo nelle condizioni di “dare”. Di contare senza presentare conti.
La rivoluzione? C’è chi è delegato ad amministrare ma l’amministrazione vera di una terra che può e deve crescere ancora (e meglio) è un’amministrazione collettiva.
Un’amministrazione che fa dei valori di giustizia, equità, convivenza, realismo e insieme sogno la principale chiave di lettura e di modificazione delle realtà. Quando serve. Amministrare collettivamente non è né anarchico né utopico. Amministrare collettivamente è capitalizzare le competenze ma anche gli entusiasmi. E’ metodo. E’ sostanza.
Le corsie preferenziali di cui il Trentino ha bisogno estremo sono corsie preferenziali per le idee. Le idee che non hanno tessera ma che sanno aggredire le contraddizioni del presente senza negarsi una proiezione nel futuro.
Le idee che sanno contrastare la deriva egoistica e le paure con un’etica che non può essere né predica ideologica né etichettatura (razzisti, fascisti). Così – etichettando - forse ci si distingue ma certo si lascia immutata ogni divisione, ogni incomunicabilità.
Le idee abbisognano anche di linguaggio. Di semplicità. Di vicinanza. Di presenza. Quello della politica è un linguaggio antico anche quando mette piede goffamente nella presunta modernità dei social media.
Chi ha firmato per Ghezzi di sicuro non ha tutte le ricette ma probabilmente nomi e storie molto diverse tra loro potrebbero trovare un denominatore comune dentro “Agorà” informali e permanenti in cui misurare esperienze umane e professionali per troppo tempo ignorate o mal sopportate. Per coltivarle e farle fruttare.
Ottocento firme (ma tra qualche giorno saranno molte, molte di più) non sono né un partito né un movimento. Sono però una “voglia”. Anzi sono un bisogno.
E’ la voglia grande – sorprendentemente variegata – di contribuire. Di non stare alla finestra. Parlando d’amore come solo i poeti sanno parlare De Andrè diceva: “Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”. Ecco, in quelle firme chi scrive – che a sua volta ha firmato convintamente – incontra chi è stanco di “farsi scegliere”.
Scegliere Ghezzi non è una taumaturgica. Non né una scelta di rottura. E’ una scelta di apertura ad un più incisivo protagonismo singolo e collettivo nella gestione della cosa pubblica e di un Trentino meno disattento e meno “seduto”. Per risvegliare il buon senso e le migliori doti di questa terra tanto nelle città come nelle periferie del Trentino.
Domani, lunedì il Pd sceglierà a sua volta. O, come sempre, si attorciglierà nei propri personalismi che stanno alla politica come la Nutella sta agli sgombri. Il maggior partito della coalizione del centrosinistra autonomista dovrà prima o poi – (per ora è stato solo uno snervante ed insulso poi) – decidere.
Dovrà decidere se leggere quel che di nuovo gli sta accadendo intorno (e forse dentro) o continuare a brancolare nel buio di convenienze più amicali che elettorali.
Strana bestia il Pd. Alla fatica ma anche alla felicità del “capire” preferisce quasi sempre il giudicare. E così agli ottocento pro-Ghezzi chi oggi guida un Pd senza bussola ha tolto la nobiltà di “popolo” immaginando che chiamarli populisti possa depotenziarli.
Gli aggettivi fanno guadagnare tempo. Usare lo stesso aggettivo per sentenziare su fenomeni agli antipodi l’uno dall’altro è un esercizio che manifesta debolezza. Tuttavia ci sono mille Pd. Se si tesserassero liti e gelosie non ci sarebbero tessere abbastanza.
Gli ottocento e più pro-Ghezzi al Pd chiedono un’opzione che è solo apparentemente difficile. Al contrario è la più semplice di tutte perché il Pd – come tutti – dovrebbe aggrapparsi allo spirito di sopravvivenza. Davanti alla sede del Pd trentino chi scrive suggerisce di piazzare un solo cartello. Con scritto: “Smettetela di farvi male. Smettetela di farci male”.
Non è detto che smettendola di farsi male e imboccando una strada diversa dall’”usato sicuro” solo per chi non lo ha mai messo in discussione il Pd vinca le elezioni d’autunno assieme ad una coalizione forse diversa ma certamente meno fraintesa. E’ sicuro però che proseguendo così non perderà solo le elezioni ma anche gran parte dei suoi interlocutori per cultura e ideali.
Ne vale la pena? Dicono che per le primarie (di coalizione) non c’è tempo (e non c’è voglia). Ma l’impaccio-pasticcio è tale che il Pd (e pure l’Upt) non hanno altra via d’uscita dell’azzardo. Una volta l’azzardo delle primarie si chiamava democrazia.