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Oggi si torna finalmente in scena. Ottimismo? Forse, ma anche legittima rabbia per una lunga condanna ingiusta

Pergine da stasera con i muri da abbattere e Villazzano da giovedì con la fame compulsiva e il pubblico seduto sui divani sul palco. Si ricomincia dopo l'arte della sopravvivenza caricata sui portali ma drammaticamente distante. Lo spettacolo da osservare sarà quello del pubblico che ritrova un'indispensabile dimensione collettiva di scambio e di emozione. Che conta più di ogni proposta
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 04 maggio 2021

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d'infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere”. Gran bella considerazione quella dell’inarrivabile Gigi Proietti. Considerazione generosa: il gigante celebrava non sé stesso ma tutti quelli che – bravi o no conta nulla – scelgono di comunicare in pubblico. Con o senza copione.

 

  Ma la poesia di Proietti all’oggi suona strana, beffarda, amara. Macché repliche: un anno e più di buio in sala. Ma non il buio che precede la scena. Buio e basta. Nei cuori e nel lunario da sbarcare. Durante il calvario pandemico di ringraziamenti verso Iddio – il Dio laico dell’arte varia – hanno lasciato giocoforza spazio a più che legittime maledizioni. Dalle repliche – dimensione che un anno di stop ha trasformato in paleontologia - si è giocoforza passati alle suppliche. Per altro, suppliche inascoltate da chi governa in nome di priorità che relegano l’anima - lo stimolo crescente alla collettività che dà scopo alle arti - in fondo alla classifica.  Le suppliche sono state perfino troppo contenute ed eleganti rispetto al dramma umano, culturale ed economico nel quale si sono ritrovati migliaia di protagonisti dello spettacolo.

 

 Protagonisti tutti – belli e brutti – di quella cultura diversa per forma ma comune nel regalare momenti utili di vita a “tu per tu” con il vicino di poltrona in platea, sul palchetto, nel loggione o in uno spazio aperto all’amplificazione delle emozioni.

Teatri chiusi, cinema chiusi, piazze chiuse. Certo, si è provato ad ovviare con l’espediente tecnologico emergenziale. Ma con una sensazione di imbarazzo. Con la fame di fisicità che anziché placarsi cresceva. E mica poco.

 

 Ci si è adattati alla prosa di sopravvivenza. Alla musica di sopravvivenza. A tutte le sperimentazioni di una sopravvivenza artistica aggrappata alla tecnologia della distanza. E dunque snaturata, depotenziata, irreale. L’arte nonostante: importante, obbligata ma spesso perfino imbarazzante. L’arte da “scaricare” da portali vecchi e nuovi. Arte per modo di dire, di testimonianza, nonostante l’impegno caparbio a marcare la presenza. Arte sì, ma sideralmente lontana da quell’emozione prima fisica e poi mentale che è il senso vero dello spettacolo, indipendentemente dalla qualità dello spettacolo.

 


 

 

 Oggi, a passi piccoli e circospetti, si torna a praticare una parvenza di normalità. I teatri riaprono. I cinema riaprono. I musei riaprono. Eccetera. Lo spettacolo riconquista vita, seppure in apnea. Si torna alla scena e si torna al pubblico. Oddio, santo Iddio: si torna a mezzo pubblico e anche meno. I conti non torneranno per chissà quanto. Le abitudini muteranno, per chissà quanto ancora.

 

 A teatro, in pochi e sicuramente buoni, sul presto. A teatro per non più di un’oretta e qualche spicciolo perché sennò tra sipario, chiacchiere a commento e coprifuoco c’è uno sputo che potrebbe costare caro. Un teatro obbligatoriamente ristretto negli spazi e nelle proposte che non possono permettersi se non un atto unico di durata minima. Eppure non è detto che sia un male. Non è detto che la sintesi limiti l’impatto della creatività. In ogni caso è sfida, una nuova sfida, per chi alla sfida del “fare di necessità virtù” non si è mai sottratto.

 

 Sarà un bene? Sarà un male? Il pubblico capirà e darà una mano introitando i limiti e cambiando le abitudini consolidate? Se si capirà, non sarà subito. Oggi prevale l’entusiasmo del riavvio. Oggi si prenota con diligenza e fretta di non perdersi i pochi posti. Che infatti vanno subito esauriti in nome della fuga dall’esaurimento da solitudine davanti ad un pc o ad una tv.

 

 Oggi si va al cinema anche all’alba. Domani? Boh, un’incognita. La voglia, di sicuro, ci sarà. Ma l’entusiasmo non farà ridere i bilanci. Le regole di ingaggio – l’ingaggio del pubblico – sono troppo onerose. Sono regole da perdita certa. Da bandiera bianca.

 

 Tuttavia chi fa cultura, intrattenimento, aggregazione e socialità non può permettersi la resa. Infatti, non s’arrende. Infatti, ci prova. Pergine e Villazzano – i rispettivi teatri con le rispettive gestioni – sono gli avanguardisti della ripresa, della riconquista. Poi arriverà il Centro Santa Chiara che allestendo un supermarket nella platea del Sociale ha attuato la sua provocazione: il cibo per la panza sì, quello per la mente no. Peccato per il ritardo: con qualche mese di anticipo il messaggio avrebbe avuto più efficacia. Poi arriveranno anche gli altri.

 

 Ma intanto onore a Pergine e a Villazzano, che fanno gli apripista al “diversamente normale” della cultura trentina. A Pergine da stasera a domenica prenderà corpo uno spettacolo che ha suo modo è un emblema. Il primo spettacolo “dal vero” di tutta la regione – “Bye bye black bird”, produzione Aria Teatro – è un esempio dello stress pandemico cui sono stati costretti regista, attori, tecnici: stop and go, prova e riprova per un debutto programmato un anno fa e rinviato fino ad oggi dopo una parentesi on line. Spettacolo per due: Denis Fontanari e Christian Renzicchi. Spettacolo sui muri esteriori e su muri interiori. Spettacolo a caccia dell’essere umano e contro ogni etichetta.

 

 A Villazzano il cartello “chiuso” sparirà tra due giorni. Lì – per iniziare come a Pergine un accenno caparbio di stagione, si è deciso di giocare con uno dei simboli della tristezza pandemica: il divano. Chissà, forse per non imporre uno stacco troppo brusco ai forzati della pantofola o forse solo per azzeccata ironia la platea resterà “out” e il pubblico – anche qui poco, anzi pochissimo, potrà sedersi “da congiunto” sui divani portati sul palco a stretto contatto con gli attori di Evoè che reciteranno “Fame”. Sì, divertente e ossessiva fame compulsiva, con i supermercati che in epoca virale sono diventati una chiesa che non benedice nulla se non i trigliceridi.

Uno spettacolo e un altro.

 

 Due avvii di rassegne che a Pergine e Villazzano porteranno diverse proposte da qui all’estate, nella ricerca del tempo e del ritmo perduto. Nell’uno e nell’altro caso sarà il caso di osservare bene il pubblico, registrarne i commenti e le espressioni per una ritrovata “arte dell’incontro” che è arrivata tardissimo rispetto alle necessità ma per fortuna è arrivata.

 

 Mai come questa volta lo spettacolo sarà un fatto collettivo, indipendente dal titolo in cartellone. Sarà scambio emozionale, emotivo, come forse non è mai stato. Certo uno scambio senza abbracci, in mascherina e odore di disinfettante. Ma scambio finalmente vero. Finalmente vivo.

 Ottimismo? Macché, rabbia. La condanna inflitta alla cultura che in fatto di sicurezza non aveva colpe è stata ingiusta. Il risarcimento non sarà mai adeguato al torto subìto.

 

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