Nel "Sociale al contrario" il fascino raddoppia
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Nacque (idea benedetta) nel mentre la pandemia ancora limitava i movimenti e la serenità. Ma solo un po’ meno e già pareva la Liberazione. Sembra un secolo fa. Sono invece pochi anni. Nacque per dare finalmente lavoro a chi aveva dovuto mettere in lunghissima e snervante quarantena la creatività e il reddito da palcoscenico. Fu ossigeno per le categorie dello spettacolo (mica solo gli artisti ma l’esercito di competenze che permette la scena). Fu ossigeno per un pubblico al quale le salvifiche mascherine erano l’accettabile compromesso per il ritrovato godimento delle arti ma ancor più degli incontri prima negati.
Nacque nel coraggio di un’intuizione solo apparentemente semplice: se il teatro al chiuso è vietato (per indubitabile tutela sanitaria) si può però trasformare una piazza, l’aria, in platea. Si può fare del Sociale (storia e fascino financo nel loggione) uno strumento di riscoperta socialità. Di socializzazione, insomma, prima e più dell’offerta culturale.
Eccolo il Capovolto, espediente per il quale vanno ancora oggi ringraziati l’ex direttore del Centro Santa Chiara (Nardelli), una meteora all’assessorato comunale alla cultura (Bungaro) e tutti quelli che lavorarono per concretizzare l’idea. Il Teatro Capovolto, il Sociale capovolto che si apre su Piazza Battisti, è una magia scenografica che suggestiona. Ed è una suggestione forte e perfino indipendente da chi recita, balla, suona e via animando.
Via animando, cioè, il “palco al contrario”. Le estati del Capovolto, dunque, si caratterizzano per un rapporto tanto inedito quanto inscindibile tra proposta culturale e contesto. Se il Capovolto prese vita nell’emergenza oggi il Capovolto è un “volto” di Trento da far invidia. Un Volto sul quale investire senza tema per quanto affascina. Sarà forse esagerato ma anche solo sedersi e guardare il “dentro” del teatro Sociale da fuori è un’esperienza che lascia segno. Se poi nel Capovolto si fa spettacolo la suggestione raddoppia, forse perfino triplica.
Lo spettacolo, gli spettacoli, che il Sociale al contrario - (ehi general Vannacci, guarda che c’è un contrario positivo, altro che le tue becere e malsane teorie) – proporrà da luglio in avanti è stavolta il trionfo del “locale”. Pare non sia un caso dettato dalle risorse. Pare, anzi è sicuro, che si tratti di “scelta” non casuale, non obbligata dal budget. E' - pare - una nuova politica dell'ente culturale che varrà anche in futuro.
Sul palco/piazza si alterneranno quindi le potenzialità artistiche del Trentino in quantità, continuità e varietà mai vista prima. Nello spiegare la scelta l’attuale direttore del Santa Chiara – Massimo Ongaro – ha gioco facile: “C’è tanta qualità in questa terra. Semplicemente, merita spazio. E il Centro Santa Chiara c’è anche per questo”. Ha gioco facile, Ongaro, anche nel richiamare il ruolo che la Provincia che “caccia il denaro” ha affidato al Santa Chiara (l’assessora Gerosa ribadisce): valorizzare il più possibile anche i “nostri”.
Ebbene, i “nostri” nel fitto programma multidisciplinare ci sono tutti o quasi. Ci saranno i comici, quelli che se ne chiami uno non puoi escludere l’altro: Gardin, Cont, Cagol. Ci saranno i soggetti (i team) che hanno saputo costruire credibilità, solidità e professionalità con ormai non più piccole e marginali esperienze che si sono affermate dentro e fuori il Trentino nella ricerca di innovazione e contaminazione nel campo teatrale. E’ il caso di Aria Teatro (Pergine), del Fantasio e del suo festival delle diversità registiche in un concorso ormai antico ma di anno in anno originale, della compagnia Perquod, della emergente Compagnia Universitaria, Evoè.
C’è chi fa musica partendo dal Trentino per non fermarsi (per fortuna) al Trentino: la New Project Orchestra, l’Orchextra terrestre, gli Ziganoff Jazzmer che praticano l’est a tutto ritmo, l’immancabile Haydn ma anche i redivivi (per Trento città) Bastard e quegli immortali del rock dialettale che sono gli Articolo3ntino (per l’occasione aggregati alla Banda di Lavis).
Ci sono – nel programma che messo lì adesso con tutti i nomi e tutte le date lo si dimentica – anche i poeti: lo slam che vuol dire gara e che miracolosamente spopola perché intrigano le rime e le improvvisazioni vestite di modernità. C’è il beat (ritorna il mini festival che debuttò lo scorso anno): tutt’altro che demodè per energia e colori sonori. C’è la danza delle scuole (la Federazione) e quella fisicamente circense di una ragazza (Miriam Nardelli) alla quale la borsa di studio dedicata alla memoria di Aurelio Laino ha permesso di specializzarsi anche all’estero. Ci sono, infine, le invasioni di sassofoni di un congresso europeo che farà tappa in città. E c’è il cinema.
Ma il “nazionale” o l’internazionale che negli anni scorsi non è mai mancato al Capovolto (Suzanne Vega, tanto per dirne una)? Presenti, ma non troppo: spiccano solo la chitarra doc di Marc Ribot e gli C’Mon Tigre. Forse si poteva lavorare ad un equilibrio tra “i nostri” ed i “foresti”. ma tant’è.
Forse, al contrario, garantire una situazione di fascino e prestigio ai locali senza usarli come tappabuchi del calendario può essere sia un riconoscimento di quel che fanno (e che il pubblico ha dimostrato sempre di gradire) che uno stimolo ad innalzare ancora di più la qualità in sinergia sempre più programmatica con il Centro Santa Chiara.
Chi vivrà, vedrà? Ma no, per il “Sociale al contrario” vale il conio “Chi non vedrà, vivrà peggio”. Sì, perché val la pena di sbilanciarsi: uno spettacolo al Capovolto, quale che sia, è anche un trip estetico. Provare per credere.
Se poi si riuscisse finalmente a non avere come costante e scostante colonna sonora di ogni evento il vociare scomposto dei bar a fianco del Capovolto sarebbe il massimo.
Ma questa pare un’altra, irrisolvibile, storia. Una storia in bilico tra cultura (l’offerta, il calendario) e l’incultura di chi brinda gridando. Lo spettacolo, si sa, deve continuare. Con un poco di moderazione ciarliera, però, continuerebbe meglio.