Music Arena, quando nemmeno l'autotune basta a raddrizzare una storia che racconta di un fallimento politico
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Nemmeno Andy Hildebrand potrebbe fare miracoli di fronte alle stonature del governatore che governa e probabilmente sgovernerà ancora la Provincia autonoma di Trento. L’ingegnere elettronico di cui sopra nel 1997 inventò l’autotune. Lavorava nel campo petrolifero ma diventò famoso intuendo che gli algoritmi da lui sviluppati per scovare giacimenti di oro nero potevano venire utili al mercato musicale. Come? Col trucco che fa arricchire a dismisura chi cantando prevalentemente scemenze è portato a steccare.
Con la tecno modifica della voce si va meno in difetto (quasi lo si annulla), tanto che i Sinatra o gli Albano rischiano di passare per poveri illusi del bel canto. Camuffare, evitare le storpiature: il più evoluto degli aututune non riuscirebbe a rendere melodiose le panzane con cui Fugatti insiste a voler convincere i trentini che il pubblico denaro si può anche buttare. Come? Organizzando s/concerti dal costo esorbitante. Per una resa tutt’altro che garantita. Il recente “Love fest” che per tre giorni ha animato l’incompiuta (o meglio, l’improvvisata) che in Provincia ostinano a chiamare “Trento music Arena” è l’ennesimo paradigma. Il paradigma di un’aspirazione al capriccio del governatore dai trascorsi nostalgicamente rock. Quella di Fugatti è un’attitudine al capriccio che non scandalizzerebbe più di tanto - la politica, a destra e a sinistra, ci ha abituato a non raggiungere mai il limite del peggio - se non facesse della sproporzione una disarmante filosofia amministrativa.
La sproporzione del “Love fest” – il Dolomiti lo aveva già vanamente scritto, ponendo precise domande senza uno straccio di risposta – è ancora più grave per via della variante piuttosto ipocrita che l’ha caratterizzata. La Provincia ha investito 500 mila euro magnificando con impudica immodestia (…il più grande di sempre) un evento che avrebbe dovuto raccogliere fondi da girare agli alluvionati della Romagna. Come faranno i soliti rosiconi – devono aver pensato Fugatti e la corte geniale che ne esegue i desiderata da rockettaro dell’urna – a criticare la solidarietà? Ma se la solidarietà è farlocca, se altro non è che la maldestra copertura dell’ennesimo pasticcio, polemizzare diventa un obbligo. Così come è un obbligo chiedere oggi un bilancio trasparente e dettagliato di un’operazione priva di buonsenso.
A conti fatti, basandosi su quel poco che è dato sapere rispetto al troppo che forse non si saprà mai, si può calcolare in circa 24 mila euro l’assegno che potrebbe andare alla Romagna (A chi? Per cosa? Prima o poi lo diranno). È questa l’unica cifra fino ad oggi nota. La si deduce dall’ufficialità certificata della vendita dei biglietti da 2,50 euro cadauno che nella tre giorni di “rap-trap-hiphop” e dintorni sono stati 13 mila. Tolte Siae e Iva (circa il 25 per cento a biglietto) ecco una solidarietà fatta di soli spiccioli: si riduce a triste barzelletta una causa nobile. È qui, proprio qui, che la sproporzione irrompe con tutto il suo carico di assurdità e di presunzione. Per richiamare all’area San Vincenzo 13 mila anime “giovani” si sono investiti 250 mila euro da utilizzare per pagare un esercito di artisti ai quali non risulta sia stato chiesto di esibirsi gratis (per la causa) come è successo e succede altrove (vedi Campo Volo, Italia loves Romagna, con un palco pieno di big).
Oltre ai cachet dei protagonisti, via montagne di soldi (pubblici) per il palco da 24 metri con annessi e connessi tecnici di primordine, un numeroso apparato per la sicurezza e l’emergenza, personale di servizio e quant’altro messo in campo con perizia indiscutibile da Edg Spettacoli, privati che nell’occasione hanno faticato tanto (gli va riconosciuto). Tuttavia alla Edg (...stiamo chiudendo i conti: ci hanno detto) ancor più faticheranno per fornire al Centro Santa Chiara (ufficiale pagatore della Provincia che in quanto ente funzionale ha scarsi margini per porre questioni ai desiderata fugattiani) il conto da saldare a “piè di lista”. La Provincia ha poi speso altri 250 mila euro per noleggiare indispensabili sistemi di illuminazione, di transennatura e altro per rendere possibile l’utilizzo sicuro dell’area San Vincenzo.
Attenzione al termine noleggio, illustrato dal dirigente provinciale come se fosse una normalità, un fatto scontato e naturale. Dove sta la normalità nel noleggiare oggi, magari anche domani (ad agosto sono previsti altri tre giorni di festival, stavolta senza solidarietà, sempre affidato alla Edg) quello che l’anno prossimo si annuncia di voler acquistare (non saranno noccioline i costi) per un allestimento definitivo? Davvero non si potevano posticipare le iniziative a quando l’area sarà completata? Ah no, che stupida domanda. Ad ottobre si vota e dopo Vasco c’era il promettificio di Fugatti (…vi porto il mondo a Trento) che faceva acqua, rischiando di finire allagato nell’ironia e nella delusione di chi ci era cascato.
Gira che ti rigira, girate la frittata come vi pare, il piatto piange. Lacrima il piatto di una Autonomia che non può significare autonomia nell’uso legittimo ma spregiudicato delle risorse pubbliche. Il governatore si dichiara “uomo del fare”. Ma fare è un verbo che ha bisogno di un semplice avverbio per essere credibile: l’avverbio bene. Fugatti è convinto di aver fatto bene (anzi meglio) con il “love fest” e con la sua fissa di un’Arena che per mille ragioni dimostrabili avrà un futuro complicato. Nelle tre giorni qualcosa di buono, in effetti, si è visto. Si è visto sotto il palco nella conquista di una allegra e rumorosa visibilità di una generazione (quella dei giovanissimi) che è certamente in credito di occasioni. Si è visto meno sopra il palco da cui rapper, trapper e altri rimatori seriali hanno fatto cantare in coro anche non poco turpiloquio insieme alle rielaborazioni fintamente avanguardistico provocatorie del classico cuore/amore.
Ecco, al netto dello sconforto irritato per l’autotune politico che lascia immutate le stonature, il “love fest” ha posto (senza saperlo, senza volerlo) un tema: c’è un mondo di ragazzi e ragazze che si riconoscono anche in chi canta “Entro violento sul beat, entro violento su di lei”. Di Fugatti a questi ragazzi frega poco (così come di tutti gli altri politici di ogni latitudine). Ma Fugatti (e tutti gli altri) potrebbero però interessarsi davvero di loro, delle loro speranze deluse, confuse e giustamente arrabbiate, della loro contraddittoria cultura dentro un futuro che non è gramo per colpa loro. Ma attenzione, se questa è la strada un concerto è una scorciatoia. Il protagonismo giovanile non può durare solo tre giorni di troppi soldi spesi male.