Music Arena, la musica è (finalmente) cambiata? Dai pasticci dello scorso anno alla nuova rassegna, forse, è davvero qui la festa
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Lo scorso anno e l’anno prima si sparsero “fiumi di parole” - i Jalisse sono vivi e lottano, vanamente, per una resurrezione a Sanremo - sulla Music Arena. A Trento sud. Uno spazio – l’area San Vincenzo – che nelle priorità di un presidente di Provincia in versione organizzatore di eventi è parsa venire prima delle file e delle ingiustizie nella sanità (chi paga si cura, gli altri schiattino). Prima del lavoro e prima della casa. Prima di qualsiasi altra emergenza sociale del bel Trentino. Tra i portatori sani di acqua critica (e anche non poco scandalizzata) c’eravamo anche noi de il Dolomiti: senza pentimento postumo.
C’era anche un sottoscritto che di tutto può essere accusato meno del fatto di non avere a cuore da tempi purtroppo immemori (l’età, eh l’età) il diritto di Trento e del Trentino di non essere solo spettatore migrante degli “eventi” musicali. I grandi eventi che fanno aggregazione, intreccio di comunità e pure cultura. Senza rinvangare polemiche oggi più dimenticate che metabolizzate, s’azzarda una sintesi rubando il titolo di un programma (brutto) di Giletti per adattarlo artatamente alla situazione trentina: “Non è l’Arena”. O meglio “Non fu l’Arena”.
No, quella imposta da un Fugatti che vantava la sua formazione rockettara (e questo, sinceramente, è un suo pregio) non era una vera arena per musica e dintorni. La San Vincenzo è stata un costosissimo capriccio di sua Presidenza. Un capriccio pagato con pubblico denaro (una montagna) che dopo il colpaccio di Vasco - (colpaccio sì, ma per il suo management che a Trento ebbe coperte perfino le spese del caffè - deragliò in presunti festival raffazzonati. Furono appuntamenti con seconde e terze file di quella musica “trap” che fa tendenza tra gli adolescenti sia nel bene che nel male. C’è tanto di genuino e di ingenuo ma c’è anche tanto di sgamato, specie nel caso in cui i trapper si barricano dietro il disagio per propinare palate di sesso, sostanze, bande e machismo nelle rime ad alto tasso di bassi(fondi) del buongusto.
La memoria non è mai un esercizio inutile. Chi ha memoria ricorderà anche che il “Love fest” del 2023 si coprì le pudende con la minuscola foglia di fico della solidarietà con gli alluvionati della Romagna. Nulla più di un insulto visto che tra cantanti solidali solo con sé stessi (tutti a cachet), biglietti a prezzo simbolico e grosse spese di organizzazione presentate da chi gestì l’evento agli alluvionati andò una miseria (a proposito, quanto? Ancora non si sa). Questo – volenti o nolenti – è un passato tutt’altro che remoto. Da non archiviare. Pur pasticciata e anche un poco arrogante di fronte a contraddizioni palesi, l’idea di dotare la città capoluogo di uno spazio adeguato all’intrattenimento a “grandi numeri” non fu tuttavia peregrina. Di questo e solo di questo a Fugatti va dato atto, anche se resta un certo orrore per il metodo usato.
Inutile senno di poi? Se il governatore avesse buttato lì un progetto chiaro su quel progetto avesse aperto un confronto, se il progetto fosse stato trasparente, condiviso e non improvvisato con milionarie forzature, beh lo avremmo applaudito. Bene, ora il progetto Music Arena sembra essere meno vago grazie al passaggio della competenza sull’area al Centro Santa Chiara. Un mandato che non può essere solo organizzativo. C’è dunque aspettativa sul passaggio dell’Arena all’ente funzionale (culturale) finanziato della Provincia che nessuno ha mai capito perché fosse stato lasciato in disparte nell’operazione Vasco per dover fare poi l’ufficiale pagatore di privati chiamati ad allestire il caravanserraglio del primo “Love fest”.
Al Santa Chiara è stato assegnato (finalmente) il compito di “gestire” l’area San Vincenzo per dare all’Arena che non c’era una dimensione credibile tanto nella logistica quanto, e soprattutto, di contenuto nella programmazione estiva. Il Santa Chiara ci sta provando armeggiando tra diversi fattori a partire da una strutturazione meno dispersiva che prevede spazi modulabili, tribune oltre al prato, allestimenti fissi, dimensionamento meno faraonico, eccetera. Ma la prima e più importante discriminante pare essere l’esclusione dei voli pindarici e delle promesse che non si possono mantenere. Nel complicato contesto dei grandi appuntamenti musicali nazionali ed internazionali il Trentino può entrare solo a piccoli passi, ragionando necessariamente su tempi lunghi.
Va da sé che quest’anno, questa estate, per la Music Arena sarà ancora un anno di di test, di sperimentazione utile a capire che spazio può ritagliarsi il piccolo bacino d’utenza del Trentino e quanto il Trentino potrà competere con le piazze più rodate del Veneto e della Lombardia (il nord, oltre l’Alto Adige, fa partita a sé). Comunque sia l’estate della Music Arena che comincia con i tre giorni di “Trentino, musica e spettacolo” (un titolo che pare però il frontespizio di un documento burocratico) sembra aver trovato una certa fisionomia e forse anche un piccolo accenno di filosofia dello spettacolo. Nelle varie tappe della programmazione (da oggi a settembre) si punta infatti ad attirare pubblici che sono agli antipodi l’uno dell’altro. E questa – ci si sbilancia – è una scelta giusta indipendentemente da quelli che saranno i riscontri.
Nei tre giorni iniziali (da oggi al 13) di rap, trap e pop dei giovanissimi Amici della De Filippi (con Amici pare si vada sul sicuro se è vero che 3 mila biglietti sono stati già venduti in prevendita) si conferma e si rafforza l’attenzione verso un pubblico adolescenziale (appena post ma anche pre puberale). È un pubblico potenzialmente ampio, curioso, vitale, folto e soprattutto in credito di occasioni che non siano solo virtuali (i video divorati sui social). Mida, Clara, Dillionaire, Nerissima Serpe, Silent Bob, Tony Boy e gli altri di un palco affollato per tre giorni sono acerbi apostoli di un vangelo che in qualche caso può sembrare sacrilego. Ma è un vangelo al quale i giovanissimi si ispirano senza porsi alcun problema sul linguaggio crudo e a volte non poco scostante. I ragazzi hanno fede nei giri di parole. Fede nei ritmi computerizzati. Fede nei messaggi che spesso nascono dentro mondi ai margini e cercano riscatto anche con la rabbia e con voluta ineleganza. Quando è così non c’è da scandalizzarsi ma occorre, semmai, cercare di capire.
Diversa faccenda è, però, quando nel nome del disagio si incidono solo furbate che fanno vendere anche le parolacce. Tuttavia quel mondo esiste così com’è e conoscerlo è perfino un dovere se si vuole provare una connessione con una generazione connessa sì, ma altrove dagli adulti. Il compito del Santa Chiara sarà semmai quello di selezionare il più possibile onestà e qualità dentro un magma musicale che in ogni caso è il presente della musica e del mercato. Non è un compito facile ma un ente culturale ci deve provare. L’Arena, si diceva, dovrà cercare frequentazioni agli antipodi tra loro. Come? Senza troppa puzza al naso, par di capire. Ed ecco allora i Pooh, la Mannoia e Tozzi. Perché? Perché anche gli artrosici hanno i loro diritti e perché certa musica è tempo resistente. Chissà, forse un giorno il Santa Chiara riuscirà a far duettare Tozzi con Tony Boy. Quel giorno la Music Arena farà anche sociologia oltre che musica. Ma per ora ci si può accontentare.
Così come pare un passo avanti l’altro festival estivo che porterà alla San Vincenzo Margherita Vicario, I Santi Francesi, Ariete, Fabrizio Moro e altri. Musica giovane sì ma già adulta nei testi di un cantautorato contemporaneo che rielabora e reinventa molte lezioni del passato. E anche stavolta il pubblico sarà ancora una volta diverso. Peccato solo che quel festival continui ad essere chiamato “Love fest”, richiamando la beffa solidale dello scorso anno. Ma tant’è. E di nuovo diverso per nostalgia, sciatiche e ricordi sarà il pubblico che accorrerà – quello sì anche da oltre confine (del Trentino) - a sentire i redivivi Europe che a settembre faranno tappa a Trento in un tour mondiale.
Certo, gli Europe di “The final countdown” non sono gli Stones ma nemmeno sono i Cugini di Campagna (con tutto il rispetto). E soprattutto potrebbero essere un’indicazione verso quei “grandi concerti” che per arrivare in Trentino abbisognano di un lavoro oggi per domani, anzi per dopodomani. Calcolando al centesimo uscite ed entrate economiche perché mica sempre Pantalone/Provincia può sborsare a piè di lista. Nell’allestire l’estate alla San Vincenzo il Cento Santa Chiara non fa e non può e non vuole fare da solo. Collaborerà con privati già da tempo “dentro” i circuiti nazionali ed internazionali con indubitabili risultati (il duo Barbacovi/Raffaelli ad esempio). Anche qui, tra i collaboratori, la selezione legata alla qualità sarà fondamentale. Tuttavia la titolarità delle scelte (economicamente e culturalmente) farà capo all’ente e quindi negli anni il calendario dovrà essere sempre meno collage di proposte altrui e sempre più progetto del Santa Chiara.
Sarà così? Si spera. Se così fosse, non oggi ma nemmeno in un tempo troppo lontano, al “Non è l’Arena” si sostituirebbe un “Dov’è l’Arena?” con accenti non solo trentini. E allora sì che l’epoca dell’improvvisazione improvvida sarà andata in archivio.