Le elezioni comunali sono lontane. Ma l’autolesionismo si prende per tempo e il centrosinistra è già pronto a dividersi
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
“Una donna o un uomo con una certa esperienza, ma non troppo, per evitare l’accusa di far parte del vecchio: una persona alla mano, che non abbia un approccio intellettuale”. Così – via quotidiano – parlò, recentemente, Paolo Serra.
È il capogruppo Pd in consiglio comunale. Un consiglio, quello di Trento, dove anche il soggetto meno anonimo deve mostrare la carta d’identità per farsi riconoscere. Financo dai parenti. Si inizia, dunque, ad armeggiare in prospettiva delle prossime elezioni comunali. Si vota a maggio 2020. Sembra una scadenza ancora lontana. Al contrario, è lontana uno sputo o poco più.
Iniziano i giochi. Sottotraccia. E sottobanco. Iniziano, è meglio dire, i giochetti poiché una politica dal respiro corto in fatto di visioni e conseguenti progetti per il futuro della città si condanna inesorabilmente al piccolo cabotaggio. Un centrosinistra ormai solo nominale ha governato il capoluogo affidandosi alle mani giunte e agli occhi socchiusi del sindaco Andreatta. Il centrosinistra a variante autonomista (cioè compreso il Patt) esiste solo sulla carta. Ma è carta straccia.
Crescono le fisime in un momento che richiederebbe unità nella qualità di proposte e di azione. Si ignora beatamente, scelleratamente, la rapida involuzione culturale abbinata al penta-leghismo. Un’involuzione interclassista che si traduce in una società sempre più avara di giustizia, solidarietà, diritti. E buonsenso.
Il Patt, gli autonomisti, dichiara le mani libere sperando di poter avere un domani le mani in pasta barcamenandosi tra un’alleanza e il suo opposto. Lo faranno fino all’ultimo istante utile perché tenere sulla corda i “fu” alleati in Provincia ha pur sempre il sapore di una rivincita sui “rossi che fecero fuori Rossi”.
Anche i “mazziati” lavorano in proprio. Ufficialmente sono ancora centrosinistrorsi. Ma tra mille distinguo. Di fatto sono felicemente immersi in un guado che non lascia intravvedere la direzione che sarà presa. Approderanno ad una riva o sulla riva contraria? Dopo le elezioni provinciali dall’esito scontato per tutti meno che per i miopi presuntuosi, il sindaco Andreatta puntellò sé stesso e la sua amministrazione. O almeno credette di farlo accentuando il suo isolamento fatto delle solite mani giunte e delle gote “ancor più rosse”.
Del rimpasto fece le spese il vicesindaco Biasioli: amministratore che ha sempre tradotto in forza il suo stare di lato. Sbiadito sì, ma onnipresente. E tempo- resistente. A Biasioli – regno di Sardagna e Sopramonte – Andreatta indicò la porta. Il collega Robol, invece, la porta se l’era chiusa in faccia da solo quando con i tormenti del condannato a morte amministrativa, accettò di farsi lanciare nel vuoto dal Pd. Un lancio senza paracadute nelle elezioni provinciali d’ottobre.
Nel “ciaone” a Biasioli le gote del sindaco che si accesero ancor di più. E le sue mani giunte si strinsero a morsa in una preghiera di presunta sopravvivenza. Gli occhi del sindaco quasi si chiusero. Con gli occhi semichiusi chi governa può forse intravvedere qualcosa dell’oggi ma certo non il domani.
La storia recente dell’amministrazione Andreatta assunse una dimensione ipoteticamente Futura con il repentino giuramento di fedeltà di chi fino a cinque minuti prima di saltare su un paio di assessorati aveva orgogliosamente rivendicato il ruolo di fiero oppositore. In una maggioranza – quella comunale - di strategie incerte ma in compenso impelagata dentro un’infinità di personalismi. Politica e coerenza di ideali non fanno quasi mai rima. Il “volemose bene” in politica è un’eresia.
E per quanto il sindaco sia cattolico è dura credere che creda davvero all’ipotesi che interlocutori trattati a pesci in faccia possano davvero “porgere l’altra guancia”. Nessuna sorpresa, dunque, nel veder nascere immediatamente dopo la defenestrazione quel “In-movimento” che mette insieme Biasioli, l’ex assessore Robol e un paio di sempiterni del “fateci posto”. In vista delle elezioni comunali prossime “In –Movimento” dichiara di voler dialogare sia di qua che di là: un po’ a sinistra, un po’ al centro e un po’ a destra. Non c’è da stupirsi. Una volta la discriminante tra una politica e l’altra erano alcuni valori forti identitari, non trattabili. Oggi il barcamenarsi in attesa degli eventi rischia di essere – o forse è già – l’unico ideale.
In questa situazione disarmante – disarmata rispetto ad una destra pigliatutto senza bisogno di dire e fare nulla – il partito nonostante tutto ancora più forte nel fu centrosinistra non trova di meglio che scimmiottare. Non è dato sapere se quella del capogruppo Serra sia “la voce” di tutto il Pd pre-elettorale. Se così fosse, bandiera bianca.
Trovare un candidato sindaco che “non abbia un approccio intellettuale”? Che caspita vuol dire? Che gli intellettuali non sono simpatici? Che non sono empatici? Che non sanno buttarla in caciara, non ruttano sentenze o promesse a torso nudo perché magari consapevoli che la complessità dei problemi non si trasforma in semplicità attraverso una battuta, un selfie o un post?
Contro gli intellettuali la destra pratica l’esorcismo perché all’onestà dei numeri, delle analisi serie, dei ragionamenti preferisce la scorciatoia degli slogan che non richiedono né studio né fatica. Agli slogan basta un bravo web master: le bugie diventano verità. Ma anche dietro una bugia ci può essere un po’ di verità. Negarla – (pensiamo solo alle fobie da insicurezza) – è farsi male. Altro male.
Serra, il Pd, è davvero sicuro che la spasmodica “ricerca del nuovo” dopo anni di autoreferenza e prosopopea sia una scelta credibile? Non passa per la testa al Pd che quel che può essere utile non al Pd ma alla città è il coraggio di “non rincorrere”. Il coraggio di parlare chiaro. Di parlare scomodo. Ma anche e soprattutto l’umiltà di non dividere il mondo tra presunti intelligenti e presunti trogloditi con il risultato che i presunti intelligenti continueranno a consolarsi l’un l’altro mentre i presunti trogloditi governeranno il capoluogo. Sgovernando.
È già tardi, ma è ora di uscire dalla fascia protetta per rischiare l’insulto e l’incomprensione pur di convincere i trentini che quello che già hanno è di più di quello che viene loro promesso. Un “intellettuale” potrà anche essere antipatico ma è proprio non rivendicando (spiegando) “l’antipatia della realtà” che oggi si può e si deve fare politica.
Nel Serra pensiero si invoca anche un candidato sindaco che “abbia una certa esperienza, ma non troppo”. Curiosa teoria. Curiosa e da decodificare. L’esperienza amministrativa del Pd a Trento – gli uomini e le donne del Pd che hanno amministrato – vanno messi preventivamente fuori gioco in nome di una chirurgia plastica della politica. Ma anche certi ritocchi ben fatti cedono e scoppiano. E la speranza vira in tragedia se è solo estetica.
Se fosse accompagnato da una critica, e un’autocritica, su come gli amministratori del Pd hanno amministrato Trento il ragionamento del capogruppo non farebbe una piega. Ma Serra non ha mai perso occasione per elogiare i “suoi assessori”. E dunque siamo alle solite. Bisogna cambiare per difendersi dall’onta del “vecchio”. Bisogna farsi dettare il pensiero da un avversario che ti dà del vecchio solo perché sa che abbocchi.
Eppure non c’è scampo. Le elezioni comunali sono lontane. Ma l’autolesionismo si prende per tempo. L’arida diatriba sul “nuovo” sarà un leit motiv perfino imbarazzante man mano che si avvicinerà l’ora delle scelte sul candidato sindaco. Futura – tanto per dire – farà probabilmente sfoggio di veti. Nell’atto fondativo ha la mistica della società civile e del rinnovamento anche se poi in Provincia ha eletto – forse perfino per fortuna – solo un neofita.
La sinistra più a sinistra seguirà a ruota con la solita ruota sgonfia ma troppo spesso tronfia di inconsistenza. Il Pd proverà a non impantanarsi cercando una via Maestri armeggiando con il Google Map della politica guasto da tempo. Eppure non dovrebbe essere impossibile. Servono quattro, cinque proposte lungimiranti ma non pindariche per una città della quale occorre rivendicare il buono senza negare il cattivo per cambiarlo.
Serve una chiamata alle armi – l’arma potentissima di una democrazia finalmente partecipata – di tutti quelli che hanno a cuore Trento e che per Trento hanno qualcosa da dire per mestiere e per passione. Senza l’obbligo di mostrare una tessera di partito o dichiarare appartenenze.
Serve un’agenda trasparente negli obiettivi, nella tempistica e più di tutto nei metodi per raggiungerli. Immaginando, ad esempio, un’amministrazione “diffusa”, nella quale i forum tematici aperti contino tanto quanto gli assessori. Qualche nome uscirà di certo. Ma vecchio o nuovo non importa. Conta solo che tra sindaco, giunta e città ci sia meno “grado di separazione”. Perché è in quella separazione che la destra sta sguazzando e sguazzerà sempre di più.