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"Il senso della vita di Emma", tre ore che non sono tempo perso

Il debutto al Cuminetti del lavoro di Fausto Paravidino fa fare un ulteriore salto di qualità al progetto della Compagnia Regionale di teatro. Scrittura veloce e contemporanea per una recitazione corale e "democratica" che annulla le differenze tra attori rodati e giovani scelti dopo il bando di Centro Santa Chiara e Stabile di Bolzano. L'autore e regista recita "alla pari" con tutti. Il copione è un fatto di  doti e caratteri. La storia è tante storie in cui riconoscersi. Un teatro quasi rap tra volti, voci e maschere. Che dire? Andate a vederlo
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 02 novembre 2017

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Primo tempo: 90 minuti. Intervallo: 20 minuti. Secondo tempo: 90 minuti. Totale? Inquietudine. "Il senso della vita di Emma"? Potrebbe essere un dilEmma. Di resistenza fisica.  Preoccupazione per l’abbiocco: e se russo? Preoccupazione per la prostata: quante volte farò alzare il vicino di poltrona? Ma questo succederà prima. Prima che s’apra il sipario.

 

Tre ore e mezza dopo, quando il sipario si chiude, (in realtà non accade, è una fine a scena aperta), hai fregato il sonno e l’orologio.   Sei sveglio.  Sei sveglio e divertito. Più di tutto, sei stupito.

 

Sei piacevolmente stupito di un’eternità teatrale che è corsa via. Portandosi via ogni patema. Ecco: le considerazioni su “Il senso della vita di Emma” potrebbero anche finire qui. Sottolineando, semmai, un applauso lungo. Caloroso e convinto.

 

Un applauso per nulla liberatorio. Un applauso di gratitudine – meravigliata - per un teatro che si prende tutti i rischi del tirar tardi in prosa. Curandosi, però, di chi quei rischi li accetta sedendosi in platea.

 

Ha molto da dire il lavoro che Fausto Paravidino ha scritto e diretto sul palco nella “prima” di martedì al Cuminetti. Un “registattore” , Paravidino, dal dna democratico. Attore tra gli attori e le attrici. Uno di loro. Protagonista sì, ma alla pari. Se è davvero  Compagnia il teatro fa più compagnia. E’ così, con una coralità  felicemente inedita, “Il senso della vita di Emma” da un senso compiuto ad una prosa ad alto tasso di comunicatività. E di intensità. E di allegria.

 

Un tasso alto anche nel sentimento. Quel sentimento che nella commedia fa la sua brava e coinvolgente parte. Accade tanto nei dialoghi quanto nell’originalità scenografica che alterna immagini a maschere, volti di carne e volti di cartapesta.

 

E’ un lavoro che parla “Il senso della vita di Emma”. Un lavoro che parla tanto e che tanto mostra. Il copione odora di fresco. Di contemporaneo. La messa in scena è seriamente giocosa. Tanto che lo sfondo  è tutto meno che uno sfondo. E’ un teatro che pesca oltre il teatro: nell’arte visiva, nel videoclip e perfino nel cartone animato.

 

Proiezioni ma anche “quadri umani”, facce e voci comicamente deformate a contrasto di facce e voci normalmente espressive. Scena e parole si fondono. Ma non si confondono.  Il ritmo, quello narrativo e quello scenico, è quasi musicale. E’ un teatro rap,  o giù di lì.

 

“Il senso della vita di Emma” è un moto continuo: questa la sua forza. E’ una continua alternanza tra leggerezza e profondità. Così come leggera ma allo stesso tempo profonda è la storia. Anzi le storie che si intrecciano senza che l’una prevalga sull’altra.

 

Certo, la vicenda-non vicenda di Emma – l’assenza che diventa presenza fisica solo nel finale – è il filo che unisce tutto: personaggi, gesti, movimenti, dialoghi e smorfie. Ma è solo e sempre l’insieme, la coralità appunto, a vincere una sfida che deve essere stata al tempo faticosa ed entusiasmante. Ad ognuno dei tredici personaggi – un numero che il teatro in tempi di crisi di soldi ed idee concede solo al dopo lavoro filodrammatico - Paravidino ha dato vita propria. Vita sopra le righe. E vita sotto le righe.

 

Epperò vite dentro le righe sbilenche di quarantennio minestrone più agro che dolce. Epoche all’insegna delle illusioni disilluse che si trasferiscono da una generazione all’altra. Cambiando l’abito, la lunghezza dei capelli e il peso dell’adipe senza tuttavia cambiare il disequilibrio tra idealità e realtà.

 

Se c’è la politica dentro “Il senso della vita di Emma” è una politica “pulita”: reale, senza proclami, interiorizzata nella nostalgia. Ma salvificamente autoironica. Una politica vera nel proporre – facendo sorridere per far pensare – accenni alle tematiche transgenerazionali dell’identità sessuale, dell’ecologia, dei rapporti. Accenni, non insopportabili comizi in prosa. E per questo efficaci.

  

 Di umanità poi “Il senso della vita di Emma” abbonda. E’ l’umanità delle contraddizioni: segnano la vita di coppia, le amicizie, la famiglia, il rapporto-non rapporto con i figli. Sono questioni serie, serissime. Paravidino le affronta con quel ghigno sotto i baffi che mette all’angolo ogni presunzione e lascia spazio alle simpatia, compresa la gigioneria. Ma lo spazio maggiore della commedia se lo prende la misura. Che in teatro come nella vita è una dote. Rara.


Con misura il regista e gli attori – tutti gli attori e le attrici di un gruppo che ci mette poco a farsi amico del pubblico – entrano ed escono dalla storia.  Si capisce, orpo se si capisce, che Paravidino ha lavorato di taglio, cucito e stima sulle parti. Si intuisce che si è fissato sui caratteri dei suoi attori e che i suoi attori hanno capito e condiviso tanto il suo di carattere quanto le sue caratteristiche di artista. C’è un copione. Ma  senza anima la memoria è un esercizio inutile.

 

“Il senso della vita di Emma” è un pieno d’anima che si materializza in ruoli coerenti, aderenti agli attori come un capo di sartoria artigianale. Per questo gli otto giovani selezionati con il bando per la Compagnia Regionale del Centro Santa Chiara e dello Stabile di Bolzano - alla seconda puntata di un percorso triennale coraggioso - non si distinguono per credibilità dai cinque professionisti più navigati scelti in amicizia dal registattore.

 

Il merito? A Paravidino, of course. Ma anche a chi - Stabile e Santa Chiara - gli ha affidato il compito arduo. E si è fidato. In cambio Paravidono ha offerto una scrittura finalmente moderna, essenziale, veloce, “viva” tanto nei dialoghi quanto nei monologhi.  Dialoghi e monologhi senza fiatone. Nonostante il movimento.

 

Il merito di “Il senso della vita di Emma” è nel garantire al pubblico la possibilità di non fare da spettatore nelle storie della storia. Quando ci si può immedesimare, quando ti pare di aver vissuto gran parte delle emozioni sapientemente esasperate dal palco, il teatro ha svolto il suo compito.

 

E non importa sapere di Emma. Non importa la trama che pure intriga.  Importa, invece, poter uscire dal teatro dicendosi “Ma quelli parlavano anche di me.  Del mio passato e del mio presente”.

 

Roba da non credere? Può essere. E allora ecco la sfida: “Il senso della vita di Emma” sarà in replica a Trento fino al 12 novembre. Poi andrà a Bolzano. Poi girerà la regione. Andateci guardando l’orologio all’inizio e poi  alla fine. Senza saper nulla di fisica vi convincerete, anche voi, che il tempo è una convenzione. Quando è ben investito.

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