Il futuro dell'ex Lettere tra bando di idee e la visione (confusa) dell'amministrazione comunale
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
'Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è quindi eccellente'. Mi scuserà il buon Mao Tse-tung se ci si permette di dissentire. E di manipolare, nel contempo, una delle sue massime più note. 'Grande è la confusione - dico dunque - e la situazione non è per nulla eccellente'. Anzi, a dirla tutta è un tantino rischiosa.
La situazione in questione è quella del futuro dell’Ex Lettere. Trattasi della 'fu' facoltà che si erge a lato del Centro Santa Chiara. Il Comune se la immagina come una grande, ambiziosa e innovativa fucina cultural-creativa. In effetti l’Ex Lettere grande lo è davvero. Se non altro per volume: quattro piani.
La partita appare intrigante. Per molti versi è affascinante. E’ una partita che l’amministrazione comunale – l’assessorato alla cultura a fare da traino – ha deciso di giocare secondo regole non consuete. L’amministrazione, infatti, ha avviato un largo, (apprezzabile) processo di partecipazione. Un processo aperto alle numerose realtà culturali cittadine in un mix ancora piuttosto acerbo tra istituzionale e non. Il Comune, cioè, ha scelto di raccogliere le idee altrui. Fino ad ora lo ha fatto senza metterci le proprie. Trenta e più – più o meno articolate - sono così le proposte arrivate all’assessorato alla cultura. Le hanno offerte le associazioni più diverse per campo di interesse e dimensione dell’attività. Un caleidoscopio di vivacità. Un labirinto di eterogeneità.
Il Comune – per l’assessore Andrea Robol è ormai un mantra - cercava una 'visione'. Chiedeva, cioè, una visione culturale della città di domani. Scordandosi tuttavia dell’utilità di radiografare l’oggi. Il Comune sperava in una visione coraggiosa del rapporto tra cultura e lavoro: tra cultura, aggregazione, occupazione e sostenibilità economica. Si aspettava, inoltre, una visione delle possibili, indispensabili, sinergie tra diverse le discipline artistico-creative e tra i soggetti che le praticano. A volte innovando. A volte sperimentando. Ma tante altre volte con l’unico respiro – corto – dell’autoreferenzialità. Le sinergie tra chi fa cultura all’oggi non sono affatto scontate: un problema che certo non è risolvibile per decreto.
Agognava, il Comune, pure una sorta di visione finanziaria. La matassa della ristrutturazione e della trasformazione di Ex Lettere è già intricata di suo. Potrebbe diventare un ginepraio nel momento in cui si dovesse stabilire chi e come – tramite bando - si assumerà l’onore e l’onere di gestire un immobile di oltre 4.000 metri quadri.
Ebbene, già leggendo gran parte delle proposte rese pubbliche dall’assessorato alla cultura con benemerita trasparenza emergeva più 'suddivisione' che 'visione'. Molti hanno comprensibilmente concentrato attenzione e desideri sugli spazi, immaginandosi già dentro Ex Lettere con la loro piccola o media metratura. Un puzzle di esigenze legittime nei campi di attività più disparati: musica, teatro, cinema, danza, arti visive e performative, spettacolo, formazione, start-up fino al benessere psicofisico o alla cucina.
Il bello – nel processo che dovrà portare prima o poi ad una scelta – è venuto qualche tempo dopo il 'bando delle idee'. Qualche settimana fa, per due maratone di seguito, l’assessorato alla cultura ha convocato i protagonisti delle proposte. Di fronte ad una platea tanto incuriosita quanto eterogenea si è affidato ad 'facilitatore'.
Il professionista della sintesi doveva facilitare la definizione di un disegno minimamente condiviso sui contenuti della futura 'fabbrica delle creatività'. Ebbene, a conti fatti si è usciti dalle due maratone di confronto molto più smarriti di come si era entrati. Così almeno penso io che notoriamente sono tardo.
Solo un paio di questioni, infatti, sono al momento certe. La prima è la contraddizione seria tra una tempistica pressante - legata alla ristrutturazione - e l’indefinibilità di quelle funzioni che l’intervento edilizio dovrebbe garantire. I soldi messi a disposizione dalla Provincia vanno spesi, infatti, con una certa rapidità. Sono a bilancio. O si va a cantiere o si perdono. Il laboratorio-confronto promosso dall’assessorato alla cultura ha dato un orientamento minimo: intervento leggero, elastico, modulabile. Una ristrutturazione che non vincoli e non limiti lo sviluppo della 'fabbrica creativa' se mai si sarà stabilito che tipo di sviluppo ci dovrà essere. Ma una ristrutturazione – seppur leggera - può diventare un’ipoteca pesante se non è riferita ad una chiarezza sulle funzioni, sulle attività, che dovranno albergare all’Ex Lettere. E al momento di chiarezza ce n’è davvero pochina.
La chiarezza del 'cosa' e del 'come' sarà Ex Lettere diventa una discriminante anche per la complessa questione della gestione del complesso immobiliare. Un gestore unico? Un’associazione tra le realtà che animeranno Ex Lettere? E’ per ora una nebulosa: nebbia fitta. Un a nebbia che difficilmente si diraderà. Sì, perché tolti i soldi - non suoi - della ristrutturazione di Ex Lettere il Comune non avrà un euro da sborsare per far funzionare la fabbrica cultural-creativa. Chi gli euro – e ce ne vorranno tanti solo di spese fisse - fosse disponibile a rischiarli non sarà disposto a fare sola filosofia culturale. Non si farà impiccare a rigidità gestionali o eccessi di condizioni. Cercherà – come è logico – di fare reddito. O almeno di non rimetterci.
Se questo è il quadro – un quadro che per adesso non eccita – sarà forse il caso che il Comune provi a fare il Comune, assumendosi in pieno la responsabilità di un’indicazione precisa. Sarà il caso di non destare troppe attese nell’universo culturale cittadino per poi giocoforza doverle disattendere generando solo frustrazione e sfiducia. Fare il Comune significa uscire dall’utopia di voler assemblare ciò che non è assemblabile. Fare il Comune significa mettere sul piatto un proprio progetto, una propria 'visione', cercando semmai 'poi' condivisioni e collaborazioni tra i soggetti culturali della città. Ex Lettere non può essere immaginata come una panacea di aspirazioni e necessità logistiche che oggi sono troppo distanti tra loro. Occorre scegliere alcuni ambiti culturali e su quegli ambiti provare ad investire per dare concretezza operativa alla partenza di un polo culturale messo nelle condizioni di aprire orizzonti e fornire stimoli contaminazioni. Ma un po’ alla volta perché il 'tutto in una volta' rischia di fare solo danni.
Io, il tardo, mi permetto dunque di suggerire una strada meno in salita. La democrazia partecipativa è una gran cosa se non si perde nell’intreccio delle elucubrazioni. E allora una strada potrebbe essere quella di portare all’Ex Lettere alcune strutture comunali che oggi sono decentrate – ad esempio il Centro Musica e il Centro Teatro – integrando finalmente la loro attività con il Conservatorio che sta ad un passo da Ex Lettere ma che ha chiesto di portare ad Ex Lettere una parte della sua offerta (il polo jazz-pop oggi in via Veneto).
Se si partirà da qualcosa di consolidato – soprattutto per l’aspetto gestionale che sarebbe obbligatoriamente misto, pubblico e privato - sarà più facile 'aggiungere'. E si potrebbero aggiungere molte piccole realtà in grado di praticare sinergie multidisciplinari a partire da una concezione della musica e del teatro che obbliga sempre più alla contaminazione tra le arti e al rapporto con la tecnologia.
Ragionare sulla geografia dell’offerta culturale di Trento, su come e su quanto incide (o non incide) sulla socialità e sulle dinamiche di aggregazione, vuol dire razionalizzare, ottimizzare ma anche specializzare. Un ragionamento su Ex Lettere non sarà mai serio se separato da un’analisi di come e di quanto il nuovo polo si rapporterà – collegamenti compresi - allo studentato di San Bartolomeo, ai teatri di sobborgo (vecchi e nuovi), alla politiche del Centro Santa Chiara, del Conservatorio, delle agenzie di formazione culturale, ai Festival, al Muse.
Sognare ad occhi aperti non è sempre lungimiranza. E nella vicenda di Ex Lettere gli occhi vanno tenuti aperti sì, ma solo per non inciampare in errori che allo stato confuso dell’arte sembrano davvero dietro l’angolo.