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Il duello Renzi e Salvini? Wrestling tra due finti lottatori che recitano a copione e usano solo il pronome ''io''

Erano due copioni opposti, scritti apposta per dare corpo a due monologhi malamente travestiti da dialogo, (confronto è pretendere troppo). Quasi distrutto fin dai primi risolini presuntuosi che sembrano l’unica fatica sulla quale i due sanno concentrarsi, ho violentato la mia pazienza provando a fregarla
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 16 ottobre 2019

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

E sì che le alternative non mancavano. Bastava consultare un qualsiasi elenco di programmi tv all’ora topica del “duello” e avrei probabilmente preso sonno senza la frustrazione di aver concesso altri 75 minuti al masochismo. Su Real Time - il canale di tutto quanto fa inutilità e però ti acchiappa tra chirurgia estetica estrema e accumulatori seriali - potevo alleggerirmi con “Il dottor Pimple Popper: la dottoressa schiacciabrufoli”.

 

Se proprio avessi voluto darmi una scossa bastava “zappingare” su Rai Storia e rinvigorire le mie passioni salvifiche guardando “La fabbrica del rock”. Su “la Nove” si potevano acquietare virtualmente i morsi della rischiosa fame notturna con chef Rubio che ti accompagnava “Alla ricerca del gusto perduto”. E poi, volendo e a pagamento, c’era su Sky un film paradigmatico dal titolo “Destinazione matrimonio” che se applicato con piroetta alla politica attuale fa venire voglia, tanta voglia, di divorzio.

 

Mica è finita qui. Sfuggire al trauma sarebbe stato facile. Su Rai Movie mandavano il film “Smetto quando voglio”. Coincidenza? Certo che sì, ma avrei potuto accogliere al volo l’opzione. Avrei potuto farmi convincere dal simpatico Edoardo Leo che la dipendenza dai giullari di partito è una malattia guaribile. Con un po’ di amor proprio e un telecomando a portata di mano. Invece no. Ci sono cascato ancora. Ho perfino bevuto un caffè fuori orario per combattere il calo della palpebra e il ribollire dello stomaco all’idea di assistere a un incontro di wrestling dove i contendenti se le danno di brutto. Ma per finta.

 

C’è chi si infligge patimenti fustigandosi o tagliuzzandosi. C’è chi si butta sulla bottiglia. C’è chi s’abbuffa di colesterolo dolce. Le vie dell’autolesionismo, si sa, sono infinite. La mia via è Vespa, l’insetto televisivo che punge i poveri cristi – si pensi l’intervista machista e bavosa ad una donna vittima di violenza – ma diventa mosca cocchiera di fronte a chiunque abbia in tasca un po’ di potere. Che sia vero o presunto poco conta.

 

Eccomi dunque al dunque. Inutilmente pentito – bastava evitare – mi sono sciroccato il confronto (?) tra i Mattei. Ne hanno dette di ogni Renzi e Salvini. Ne avessero detta una di nuova – una sola – forse mi sarei detto lasciar riposare il telecomando non era stata poi una cattiva idea. Invece no. Invece è stato, appunto, wrestling. I due bulli uguali e contrari non sanno probabilmente cosa vuol dire “recitare a soggetto”, e cioè mettersi in prosa senza seguire un copione suscitando spesso più attenzione, curiosità e ammirazione.

 

No, i due finto-lottatori non si sono distaccati nemmeno per una frazione di secondo dal copione che l’uno e l’altro ripropongono pedissequamente e senza slanci come accade in quelle recite che nei grandi teatri metropolitani stanno in cartellone per anni. Ovvio, erano due copioni opposti, scritti apposta per dare corpo a due monologhi malamente travestiti da dialogo, (confronto è pretendere troppo). Quasi distrutto fin dai primi risolini presuntuosi che sembrano l’unica fatica sulla quale i due sanno concentrarsi, ho violentato la mia pazienza provando a fregarla. “Vedrai – mi dicevo – che prima della fine uno dimostrerà di aver ascoltato l’altro. Vedrai che almeno una volta usciranno dalla prevedibilità di cazzottate che accarezzano per articolare qualche seppur pallido contenuto”.

 

Illusione. Un’illusione un po’ cretina – la mia – nell’immaginare quello che nella politica di oggi è eresia. Immaginare cioè che Renzi e Salvini – (e viceversa) – possano frenare all’autocelebrazione. Immaginare che due caudilli dell’eloquio narcisista smettano i panni del capo-brigata di una qualsiasi curva calcistica. Renzi e Salvini – (Salvini e Renzi), sono abili aizzatori di umori. Gli umori – però - di chi è già salvinista e di chi è già renziano. Di chi cerca conferme, di chi ha l’attitudine al tifo fideistico, alla mitizzazione di un personalismo spinto oltre ogni confine della più semplice e perfino banale razionalità.

 

Il duello? Il confronto? Macché. Tutto già visto – mossette comprese. Tutto già sentito. Tutto costruito senza nemmeno un accenno di creatività dialettica per mandare in estasi i “rispettivi” acritici. Quelli, cioè, che hanno pesi elettorale attualmente agli antipodi ma che finiscono con il confondersi nel mefitico culto delle due personalità. Mi sono inflitto – mea culpa, mea grandissima culpa- settantacinque minuti di “io”. Del noi – (che esagerando potrebbe dirsi “noi italiani”) – è stato lasciato fuori dalla porta. Anzi, da Porta a Porta.

 

Eppure è di “noi” che abbiamo un disperato bisogno. Un “noi” che per fortuna nella realtà non televisiva si pratica quando persone dalle convinzioni opposte battaglia ma prova a capirsi. Certo, non può essere il trucco del “volemose bene” ma nemmeno può essere incomunicabilità totale tra contenuti e strade per affrontare - e chissà forse provare a risolvere - l’infinità di guai nazionali. Renzi e Salvini – (Salvini e Renzi) – non comunicano. Semmai si scomunicano a vicenda per tirare un po’ più su l’audience.

 

I rispettivi fans questo - e solo questo - cercano. Tutti gli altri, (partitoni e partitini che pure esistono), fanno da comparsa. Tra gli altri – i non inquadrati e i non intruppati, c’è chi ha solo voglia di capire. Che non ha solo voglia di schierarsi.

Porta a Porta la chiamano la “terza Camera”. Dopo 75 minuti di “one man show” moltiplicato per due mi sono accorto – tardivamente e sconquassato dall’esplosione d’ego cui mio sono costretto – che a me di camera ne basta una. Quella da letto. Ovviamente, senza sogni d’oro. Anzi no, sognando Totò e il suo epico “Ma mi faccia il piacere”.

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