Il Drive-In a Trento? Guardare un film dall'auto è l'esatto contrario di quel che ci servirà
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
C’è bisogno. Un bisogno urgente. Un bisogno grande. C’è bisogno di ritrovare l’arte. C’è bisogno di praticare – di nuovo – le arti: cinema, musica, teatro, danza. E tutto il resto. Ma attenzione, non c’è solo bisogno di “ritrovare” l’arte. C’è necessità di “ritrovarsi”. C’è urgenza di interazione. Anche attraverso le arti, lo spettacolo. Il ritrovarsi significa vedersi, incontrarsi, scambiarsi opinioni, emozioni, soddisfazioni e delusioni. Le arti sono un mezzo. Un mezzo per la socialità, il più bel mezzo che ci sia. Il mezzo più importante: oggi anche più vitale e più salvifico di ieri. Sono uno strumento, le arti. Certo, hanno anche un fine le arti: irrinunciabile. Il fine di migliorarci, grazie ad un vocabolario poliglotta che abbatte barriere mentali, che intreccia le età, i portafogli, le culture.
Quando si ragiona delle proposte per restituire respiro ad un’offerta artistico-culturale paralizzata dalle chiusure imposte dall’emergenza virus, bisognerebbe tener presenti questi concetti. Infin banali. Quando si propone – in buona ma approssimata fede – di aiutare il cinema, (uno dei tanti settori martoriati) – realizzando a Trento un “Drive In”, beh occorrerebbe considerare che i “contro” sono molto maggiori dei “pro”. La proposta è venuta da Paolo Serra, consigliere comunale Pd. Anzi, capogruppo. A scanso di equivoci, va premesso che è benemerito chiunque si impegni ad inserire nell’agenda anti - emergenza anche il tema dimenticato della cultura. Sempre che la proposta non faccia più danni dei benefici cui mira. Quella del “Drive In” appare come un’ipotesi sbagliata. Proprio per le convinzioni di cui sopra sul rapporto cultura-aggregazione.
Guardare un film - (ma si pensa anche a concerti o altre forme di intrattenimento) - da dentro un’automobile. E’ l’esatto contrario di quel che ci servirà, di quello che ci guarirà, quando sarà allentata la reclusione con il permesso di qualche ora d’aria. Se non sarà qualche ora di vera socialità, seppur condizionata, meglio l’ergastolo. Ci servirà – pane per la mente e per lo spirito – il contatto con gli altri. Un contatto necessariamente distanziato: questo è sicuro. E questo non ci toglie i brividi. Il contatto con gli altri può essere anche sguardo, cenno, voci più alte, pacche sulle spalle e baci “mandati”, figurati. Ma che contatto ci può essere da dentro le lamiere d’automobile? Serra ha una minima idea che ogni proposta d’arte – anche il cinema dunque – prevede “un prima e un dopo” fatto di scambio umano? Scambio, rapporto. E’ per questo che si cerca la cultura, lo spettacolo.
In auto come si farà? Saluteremo con la manina e il finestrino aperto il vicino di parcheggio e poi tutti a casa? E poi non è un bel segnale quello della cultura a motore nel momento in cui il futuro richiederà rivoluzioni culturali, quelle sì, nella mobilità sostenibile che anche il Pd predica. Isolati prima e isolati dopo? Se il Drive In è la negazione della socialità, così come lo è il drive -food, meglio restare al “divano-in”. Un obbligo di sopravvivenza, il divano da soli o in coppia, al quale ci siamo giocoforza assuefatti in questi mesi cupi.
Il punto è questo. Non è nemmeno un problema di soli costi e di sola logistica, anche se costi e logistica non sembrano deporre a favore della proposta di Serra. Se Serra si fosse consultato con “quelli del mestiere” piuttosto che con le sue legittime ma balzane suggestioni, non avrebbe guadagnato i titoli di una cronaca in astinenza da notizie non virali. Ma il suo approccio al problema, e forse la stessa proposta, sarebbero stati certo diversi. Invece, ecco il Drive In. Dove farlo, semmai? Come farlo, semmai? Il consigliere Pd la mette giù a spanne: un piazzale ampio per – dice- 60/70 macchine, lo schermo retroilluminato per non farsi fregare dal chiarore tardo pomeridiano. E le “radioline” - (sì proprio le radioline come in Happy Days senza considerare che Ricky Cunningham è ormai quasi anziano) – per subire un gracchiante sonoro da dentro l’auto. Assieme a qualche altoparlante, suggerisce Serra.
Beata ingenuità, ma restiamo sul pezzo. Un luogo obbligatoriamente decentrato a nord o a sud di Trento sarebbe un ko inferto al centro città ma anche alla sua più immediata periferia. Centro e sobborghi hanno un sempre più disperato bisogno di vita nel momento in cui la vita dei locali dovesse riprendere. Pur a scartamento iper- ridotto. Una tecnica approssimata per il video e l’audio sarebbe in ogni caso respingente: soldi buttati, buco nell’acqua. Laddove i Drive In esistono e resistono – la Bovisa a Milano per dire – l’investimento è cospicuo. Cuffie d’avanguardia, per dire. Ed è di conseguenza cospicuo anche il prezzo d’ingresso. Ma se nel post virus il Drive In dovesse fornire cuffie che poi passano d’orecchio, non sarebbe un pericolo? Un centinaio di auto, metti 250 persone perché esiste anche il distanziamento intra abitacolo, che introito garantirebbero a chi dovesse gestire il Drive In? E poi i film. La produzione è ferma da febbraio. Sicuri che ci sarebbe la fila, a motore, per vedere pellicole ormai già datate (e viste?). Una fila per altro a motore. Evviva. La difesa dell’ambiente che ha bisogno anche di coerenza e simboli? E poi, ancora, il clima. E di nuovo, l’ambiente. Immaginiamoci l’estate, il caldo si spera.
L’abitacolo? Forno anche a finestrini aperti. Che si fa? Motori accesi e aria condizionata a manetta? C’è di che riflettere prima di proporre. C’è anche di che preoccuparsi leggendo le reazioni in Comune. Si scopre - (Il Corriere del Trentino di oggi) - che l’assessore alla cultura starebbe lavorando all’idea da tre settimane. Se fosse così, caro Bungaro, ingrani la marcia. Ma Indietro. Si concentri nel migliorare quello che “c’era”, con tutte le compatibilità del caso sanitario ma anche con tutta l’energia di scelte coraggiose. Le dovrebbero venire più facili da musicista che certo conosce la valenza del rapporto arte-vicinanza-interazione-fisicità. Per il cinema il cortile delle Crispi non potrebbe traslocare ad esempio in piazza Fiera, in piazza Dante, perfino in una piazza Duomo che non può essere sempre simulacro. O più semplicemente non si potrebbero moltiplicare le proiezioni? Nelle piazze citate ci sarebbe tutto lo spazio per distanziare, raccogliendo comunque centinaia di persone. Ma ci sarebbe quel benedetto “incontro”, quella vicinanza seppur non vicina, senza la quale l’arte è nulla di diverso e limitante rispetto alla fruizione casalinga tra tv e streaming.
Vogliamo davvero prolungare la condanna? Volendo, poi, non tutte le strade della sperimentazione e del coraggio sono chiuse. Non sarà un’estate di grandi eventi, questo è sicuro. Ma se fosse un’estate puntiforme che s’affida alle forze culturali locali per utilizzare al meglio delle possibilità i luoghi meno rischiosi come le piazze del centro, (Fiera, Battisti, Dante, Duomo), il parco delle Albere e quelli anche inusuali delle periferie? Piccoli allestimenti, (come era un tempo Trento Estate), investimento in sedie da piazzare come salute comanda, con il coinvolgimento del volontariato.
Spazio a quell’universo delle realtà professionistiche e amatoriali di qualità che hanno tutte le carte in regola – carte di fantasia, capacità ma anche creatività- per rivisitare i luoghi e costituire un cartellone variegato. Si darebbe fiato e aiuto concreto ad energie in crisi grave. Si darebbe stimolante continuità all’offerta portando all’esterno – certo compatibilmente - esperienze già solide nel teatro, nella musica e in tutto il resto dell’espressività non solo da palco. La Trento ha resistito singolarmente. Ora vuole rinascere: collettivamente. Si adatterà ai piccoli passi, alle piccole conquiste della socialità. Ma cosa ci sarà mai di collettivo, di “sociale”, in un parcheggio?