Gloria Zeni: quando si può andare in pensione cantando Vittoria
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Nel rito dei commiati la retorica è d’uso. Spesso è anche abuso. “Se ne va una colonna…”, eccetera. L’allergia al luogo comune consiglia di svicolare. Meglio dunque limitarsi a dire che da settembre Gloria Zeni potrà smettere di sciropparsi i quotidiani tornanti che portano da Spormaggiore a Trento. E ritorno. Basta allora un augurio: “Buona pensione”.
Tutto qui? Tutto qui ma anche no. Per la quiescenza di Gloria Zeni pare fallace la definizione della Treccani. Il suo difficilmente potrà essere “uno stato di riposo e di inattività”. Va in pensione Gloria Zeni, mica si ritira da sé stessa. Mica si ritira dal suo mondo di passioni.
Conoscendola e mettendo in fila quel che di lei dicono con affetto gli amici più cari si può buttarla su un altro detto famoso. “Si chiude una porta e si apre un portone”: sarà anche un motto infido, ma a lei potrebbe calzare. Un calzare più attillato delle larghe, zingaresche ma orgogliose reminiscenze estetiche da fricchettona per nulla anacronistica. Stile libero per Gloria Zeni. Lo stile che veste sia il corpo che l’anima.
La libertà – non solo quella creativa – può essere un abito tagliato a pennello. Ecco, appunto, il pennello (e la matita, e i colori). Ecco, appunto, tutti gli altri strumenti che segnano la vita “vita fatta ad arte” della Zeni. Strumenti artigiani: mola, forno e cuoio protettivo.
Al “Vittoria” – oggi liceo delle arti di Trento – Gloria Zeni è docente da quasi da sempre. Con la pensione forse il suo tempo sarà meno assillato. Potrebbe essere un tempo a scorrimento normale anche per continuare a sperimentare idee e forme dentro il suo laboratorio a Spormaggiore. La sua è una bottega d’arte nella terra di quegli orsi che ama. Che a volte sogna. Un contesto, il suo paese. Un paese al quale Gloria Zeni ha dedicato pure un librone “di famiglia”: deferente inchino ai valori di un territorio.
Chi dovesse o volesse fermarsi ad osservare le sue opere di vetro o i suoi mosaici, nello studio – (officina, emporio) scoprirà come tecnica e fantasia possano trasformare un cucchiaio in uccellino. Chi percorrerà il tragitto d’alberi e di odori che va dal parco faunistico del paese a Castel Belfort, si accorgerà che l’arte può saltare di ramo in ramo con spirito agile e leggero. Nell’ideare e curare quel percorso la Zeni si è concessa “grignalibri”, colate di vetro, castelli di legno strappato all’abbandono a scopo nobilitante.
Buona pensione, allora, per Gloria Zeni. Che sia una pensione allegra, intensa, piena. Ma che continui ad essere piena dell’arte più difficile e più rara - ricchissima al borsino dei sentimenti - che è l’arte di sapersi far benvolere, di farsi stimare, di aggirare lo “stacco generazionale” senza fare ipocritamente “l’amicona” dei suoi studenti.
È qui che il saluto a Gloria Zeni deve per forza tornare sui banchi, nei corridoi e nei laboratori del “suo” Vittoria”. È una scuola che vista da fuori fa “pietà logistica”. Vista da dentro, vissuta come è capitato a chi scrive, è una scuola di vita bella. A volte più bella che altrove. Perché? Perché lì si insegna come materializza l’immaginazione.
Il Vittoria ha visto Gloria Zeni protagonista per decenni. Come insegnante – certo – ma più di tutto come instancabile paladina di cause multiple. Cause legate ad un’idea non trattabile: la scuola deve far maturare virtuosamente sia gli studenti che i docenti dentro una coraggiosa “comunità creativa”. Se al Vittoria ci hai studiato. Se al Vittoria sei tornata subito dopo l’Accademia e tutto il resto che fa curriculum ed esperienza, il Vittoria non può essere solo un luogo di lavoro. Deve per forza essere una casa dove coltivare amicizia, scambio, magoni, a volte liti ma anche tanti slanci. Specie slanci di affetto che nel tempo si fortificano come quelle canzoni senza tempo degli anni Settanta che per Gloria sono una perenne colonna sonora.
Gli amici di Gloria Zeni sono stati, sono e probabilmente saranno un gruppo di colleghi insegnanti: colleghi e artisti. Non c’è spazio per i nomi che non sono pochi. Ma c’è uno spazio comune di contiguità anagrafica e di contiguità ideale. Vecchia guardia? Non sognatevi di dirlo che la rischiate. Con un gruppo amicone di colleghi insegnanti Gloria Zeni ha condiviso tutto il condivisibile: entusiasmi e tristezze, gioie e rabbie, adrenalina e stanchezza, sudore e calli. Lo ha fatto dentro e fuori i muri di quell’Istituto d’Arte che un tempo era ai Cappuccini e che da più di 30 anni sta in via Zambra. Una scuola, il Vittoria, che è una metafora della contraddizione. È gettonata, vanta successi didattici a valanga ma è Cenerentola per una politica cieca, muta e bugiarda al punto che Pinocchio al confronto non è nessuno.
La nuova sede? Un’eterna e beffarda promessa? Andrà in pensione anche la Sciarelli di “Chi l’ha visto” prima che qualcuno la veda sorgere a Maso Ginocchio. Miserie.
Il Vittoria tuttavia è stato ed è qualcosa di più di una scuola. Lì dentro - non sempre ma spesso - il rapporto tra gli insegnanti come la Zeni e gli studenti mette invidia. Quel rapporto è un paradigma, un marchio di fabbrica costruito dalla generazione di docenti un poco utopisti che con Gloria Zeni hano condiviso tanti percorsi di impegno. Dentro e fuori la scuola.
Quello tra Gloria Zeni e le generazioni di studenti che aspirano all’arte pare sia stato – così la raccontano – un rapporto da manuale. Un manuale della difesa, del rispetto, della soddisfazione di poter ringiovanire grazie ai ragazzi che crescono nelle personalità prima che nelle tecniche. Ragazzi spesso da aiutare, ma non per principio preso o per stupido giovanilismo. Semplicemente, ragazzi nei quali val la pena di credere e di investire senza guardare ai piercing, ai capelli multicolore o ai calzini spaiati.
Va da sé che il ruolo di Gloria Zeni al Vittoria non poteva essere un ruolo secondario. A lei si devono “decinaia e decinaia” di progetti che hanno saputo far conoscere e affermare la scuola all’esterno. Lei è stata la coordinatrice storica di un extrascolastico che dagli anni ‘90 porta le classi sul territorio trentino donando colore e bellezza ai posti più impensabili, anticipando di quasi vent’anni una didattica diventata obbligatoria con l’alternanza scuola-lavoro.
Parchi, ospedali, case di riposo, commesse artistiche con enti pubblici e privati, concorsi nazionali d’arte vinti, la gestione di fruttuosi e longevi gemellaggi all’estero: dove c’è stato il Vittoria c’è stata Gloria Zeni. Dove ci sono stati la Zeni e i suoi sempre disponibili si è imposto un metodo, si è forgiata l’identità del liceo Vittoria.
Dove c’è stata la Zeni ci sono stati i “colleghi amici”, gli “studenti amici”: tutti imbragati sulle impalcature, tutti sporchi di colore fin dentro le mutande. Tutti stanchi ma, volendo, anche felici. Tutti accomunati, perfino “ereticamente” paritari.
Non è un modo di dire. In fondo, è l’essenza dell’arte. La sua pratica. L’arte che non può rintanarsi dentro lo spazio protetto di una scuola. Per l’ arte la curiosità è una regola, il confronto una necessità, la sfida la più sana delle patologie. Nella scuola d’arte Gloria Zeni ha fatto la sua parte. Ha battagliato al femminile senza demonizzare il maschile. Lei e il solido gruppo dei “tira-carretta” negli ultimi anni hanno dovuto spartirsi anche la tristezza, l’amarezza, il disorientamento di dover sopportare la cappa di una burocrazia che in una scuola artistica è la tragica palla al piede di ogni idealità, di ogni progetto, di ogni scommessa.
Andrà via, Gloria Zeni, un po’ prima del suo tempo (di lavoro, per il resto lunga vita). Forse va via prima anche per questo imbarazzo che recentemente rendeva più pesanti i tornanti da Trento a Spormaggiore.
Gloria Zeni andrà via ma resterà. Orpo, anche questa è una terribile frase fatta. Ma se non la si applica solo ai cosiddetti “grandi”, beh diventa perfino credibile.