Freddo, fame e buio in Ucraina e noi siamo sempre più insensibili e ci illuminiamo col Natale: perché non ''rinunciare'' a 5 minuti di luminarie?
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Anche se bipedi e senza campanaccio al collo non è che poi siamo così dissimili dagli artiodattili. Non dissimili, cioè, dai quadrupedi che hanno lo stomaco provvisto di rumine, reticolo, omaso e abomaso. Eh sì, noi umani – spesso nulla più che una fattispecie della peggior specie animale – ruminiamo. Mastichiamo e rimastichiamo tutto – ma proprio tutto - l’indigesto quotidiano. Lo facciamo per sopravvivenza: la nostra sopravvivenza di esseri comunque privilegiati in un mondo dove per troppi la sopravvivenza non è nemmeno una teoria. Mastichiamo il peggio. Abbiamo l’attitudine all’assuefazione. Digeriamo l’impossibile di una cronaca ogni giorno più malaugurata e di una incultura ogni giorno più invadente e cafona.
Sì ruminiamo. Sì rimastichiamo. Sì, buttiamo giù: per impotenza ma anche per comodità. Certo, se c’è da commuoversi alle disgrazie altrui non ci tiriamo indietro. Certo, ci mobilitiamo con nobiltà d’animo e con trasporto. E poco conta se – nell’agire solidale - separiamo il bianco dal nero con un’ipocrisia sempre latente quando la solidarietà rischia di essere più moda che coscienza. Tuttavia ci siamo. E nonostante tutte le contraddizioni quest’indole altruistica è un bene che fa bene. Il problema è che siamo spesso disponibili “a tempo”. È il tempo della grande generosità materiale che svuota gli armadi dai capi che la panza o l’addome rendono ridicolmente inadatti ad un fisico accettabile solo qualche mese o anno prima. E’ il tempo di un’accoglienza che improvvisamente archivia i “se” ed i “ma” solo perché la guerra a tiro di confine fa paura più della stessa guerra (gli stessi morti, gli stessi profughi, gli stessi derelitti) che si svolge in un altro emisfero.
Il tempo – dicono – è tiranno. Il tempo, diciamo con umile convinzione, è un inganno. In un tempo troppo breve ci abituiamo ai volgari gargarismi di una politica senza arte, parte ed anima. E’ la politica che annulla le latitudini partitiche e sprofonda gli ideali nell’indistinto. Un indistinto trasversale e maleodorante. Col tempo ci adattiamo all’idea che l’indecenza può essere Tale e Quale alla decenza: originale e triste imitazione non hanno differenze. Il tempo del ruminare è inesorabile. All’inesorabile, rapida, trasformazione di ogni anormalità in normalità non sfuggono nemmeno le cannonate, i razzi che squarciano palazzi e vite, i traccianti che mentre illuminano spengono le speranze.
Nell’inesorabilità dell’abitudine rischiano di essere immolate tanto la carneficina ucraina quanto gli spari e le botte fatali contro le donne che svelano un Iran libertario e democratico. L’abitudine spegne la sveglia delle coscienze assopite se non dormienti. Con l’abitudine la sveglia dell’impegno singolo e collettivo non si punta. O si punta poco. Per questo anche i piccoli atti simbolici possono venire in aiuto. Prendiamo il Natale. A Trento come altrove il Natale è più luce – tanta più luce, una sbornia di luce - del resto dell’anno. Se non automaticamente almeno metaforicamente la luce porta calore. La luce procura ai cuori quel calore che vorrebbe (dovrebbe è una parola grossa e tutta da dimostrare) bruciare gli egoismi e le chiusure mentali.
In Ucraina una guerra tecnologicamente medioevale sta spegnendo ogni luce, sta congelando i corpi con la missione perversa di gelare e paralizzare la volontà. Lì, nelle città e nei villaggi, un buio ed un freddo che sono l’ultimo stadio della depravazione e l’ennesimo stadio di un’inenarrabile privazione. Qui luce in abbondanza. E abbondante fumare di brûlé. E vociante fregola commerciale che tra un po’ farà incominciare Natale a Ferragosto con i gelati al posto delle grappe.
Chi pensasse che questi ragionamenti nemmeno troppo ragionati sono l’ennesimo deragliamento ideologico, beh si sbaglia. Nulla contro il Natale delle luci che abbagliano e probabilmente emozionano anche i ruvidi. Tuttavia un gesto, un bel gesto, aiuterebbe a tenere un poco più lontana l’abitudine e l’assuefazione al peggio. È semplice il gesto che ci permettiamo di proporre ad un’amministrazione comunale sulla cui sensibilità non abbiamo motivo di dubbio. Si spenga il Natale, lo si silenzi per cinque minuti al giorno: ogni sera dal primo al 25. Quel buio non sarà mai quello terrificante dell’Ucraina ma nel buio improvviso e imprevisto (non la stessa ora, non gli stessi luoghi) ci sarà vicinanza vera (disagevole, imbarazzante, inquietante) alle sofferenze di chi in tutto il mondo vive senza che una luce gli prospetti un futuro.
Questo invito è per il sindaco, la giunta, tutto il consiglio comunale ma anche tutta quella città che accendendo il Natale pensa legittimamente a qualche ricavo. Vendere, anche nel buio, consapevolezza: eccolo il guadagno per tutti. Forse l’Avvento di un evento che costa solo la volontà di farlo potrebbe essere un argine – seppur di qualche minuto a sera – al pericolo di abituarsi ad ogni “peggio” passando con drammatica celerità dalla commozione al fastidio. E in ogni caso ecco come fare per sostenere la popolazione piegata da questa guerra infame (QUI ARTICOLO).