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E se con il coronavirus le campagne elettorali si trasformassero in campagne 'espettorali' (almeno un giorno alla settimana)?

Per non bistrattare il vocabolario, forse sarebbe meglio definirle “espettoranti” ma con o senza neologismo il significato sarebbe quello di dare al senso civico che anima ogni candidato un senso di inedito, creativo, coraggioso e utile servizio alla comunità in questo momento di paura e tanta, troppa, confusione
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 04 marzo 2020

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Pare che a Trento – (per la verità anche in tutto il Trentino) – a maggio si voti. Pare siano avviate – (per la verità ancora piuttosto in sordina) – le campagne elettorali nei grandi come nei piccoli Comuni. Gli aspiranti al consenso di tutte le latitudini politiche s’attrezzano. S’arrabattano. Per ora si studiano l’un l’altro così come succede nel primo quarto d’ora di una partita di calcio dove non si affonda e non ci si scopre nell’inevitabile noia della tattica. Ma la campagna elettorale stavolta è un inedito assoluto. Cade in un periodo di marasma che scombina, forse vanifica, ogni parametro collaudato del vivere comune. E dunque anche di una politica che mira ai Comuni.

 

La campagna elettorale cade in tempo virale. Difficilmente riuscirà a distogliere l’attenzione dalle inquietudini crescenti. I programmi, le proposte, le analisi, le beghe, i colpi bassi e i tentativi di volare alto, i gazebo, gli incontri, i confronti, gli scontri, i riti e le estemporaneità, le biografie, le discese in campo inaspettate, gli immarcescibili: cronache di un mondo alieno. La realtà di questi e dei prossimi giorni parla e parlerà d’altro. Altro che urbanistica, altro che sicurezza, altro che welfare, altro che servizi, altro che cultura, altro che di eccetera eccetera. La realtà oggi parla di starnuti e di colpi di tosse. Lo fa, ormai anche quando è sana, con il respiro affannato dell’incognito. La realtà parla e troppo spesso straparla di paure per le quali è stabilito un inizio – i positivi, gli ammalati - ma non è dato sapere la fine.

 

La realtà oggi è un’incertezza interclassista che rischia di ridurre ad anacronismo, se non a fastidio, tanto la pugna quanto le pugnette elettorali. La realtà è l’abbondanza travolgente, devastante, di informazioni che deformano: sulla carta, in Tv, sui social dell’asocialità. La realtà è il paradosso delle maratone televisive che fanno più audience di Sanremo e che per tirarla lunga fanno cantare un esercito di scalzacani. Cosicché i politici si mettono il camice senza aver mai studiato una cippa e sparano scemenze a raffica in un coro stonato di improvvisatori della più insana delle sanità. Cosicché gli opinionisti – (la compagnia di giro che accumula gettoni passando da un programma all’altro, da un editoriale all’altro) - vomitano una, cento, mille opinioni. Sono opinioni più contrarie che uguali: prese una alla volta hanno perfino un senso, tutte assieme procurano più angoscia e disorientamento dello stesso calcolo in continuo aggiornamento dei problemi.

 

Cosicché i medici, i virologi, gli scienziati, gli esperti si smarriscono nel vociare delle incompetenze e del “soubrettismo”, contribuendo all’isolamento progressivo di una nazione intera nel buio pesto della confusione. Li chiamano ovunque gli esperti. Sarebbe un gran bene se è vero che l’oggettività della scienza dovrebbe finalmente prevalere sulla soggettività degli ignoranti che si piccano di scrivere ricette per malattie che non conoscono. Ma piazzati dentro il caravanserraglio dell’emergenza che si vuol raccontare in ogni dettaglio senza mai spiegarla per davvero gli esperti sono condannati a fare le comparse. Quando invece dovrebbero essere gli unici protagonisti. In questo disastro del “fai da te” emergenziale che spazio potrà mai avere una campagna elettorale? Un qualsiasi posto del capoluogo e della periferia è animato da un sentimento totalizzante e unificante, trasversale alle età e allo status sociale: l’inquietudine, appunto.

 

Un disagio più che una paura. Ma il disagio generalizzato, penalizzato dall’impossibilità di distinguere vero e falso, non è meno pericoloso e meno paralizzante. Non c’è destra, non c’è sinistra, non c’è centro, non ci sono cespugli. C’è il virus. C’è il genitore che si domanda quante volte le scuole saranno aperte, chiuse, riaperte e richiuse. C’è il lavoratore che si chiede se, quanto, come lavorerà. C’è chi si ancorerebbe al suo bisogno di normalità – un viaggio, una visita, una festa, un aperitivo – ma sente che la normalità oggi può essere scambiata per negligenza da “untore”. E rinuncia.

 

C’è chi ha memorizzato centinaia di consigli igienici, migliaia di norme di prevenzione e quando si tratta di applicarle a sé stesso e agli altri si inchioda davanti ai dubbi. “Faccio bene? Faccio giusto? Esagero? Minimizzo?”: eccetera. Se questo è il quadro forse non è eretico suggerire ai candidabili – (da quelli che vogliono fare il sindaco in giù fino all’ultimo dell’ultima lista d’appoggio) – di farsi protagonisti di una “campagna espettorale”. O meglio, per non bistrattare il vocabolario, “espettorante”. Si tratterebbe di dare al senso civico che anima ogni candidato un senso di inedito, creativo, coraggioso e utile servizio alla comunità.

 

In un giorno alla settimana di qui al voto tutti i contendenti potrebbero per esempio accordarsi per portare nelle strade, nelle piazze, nelle sale, nei capannelli della campagna elettorale gli argomenti della scienza e della medicina: sul virus vero e sui virus ancor più letali indotti dalla confusione sul virus. Argomenti, disposizioni, informazioni, consigli da non “interpretare”. Argomenti da divulgare con la stessa passione, la stessa abnegazione, con la quale si divulgano i programmi di questo o di quel partito, cercando di guadagnarsi fiducia e consenso.

 

Nella “campagna espettorale, espettorante'', si potrebbe contribuire al consenso e alla fiducia per un’informazione medica, sociale, comportamentale non inquinata, non deformata, non strumentalizzata. Utopia? Certo che sì, ma benedetta l’utopia di fronte ad un andazzo distopico. Un andazzo che cerca di ingabbiare perfino i virus a qualche misero tornaconto, nella polemica “cancrenosa” di una politica che non smette di essere piccola anche quando le questioni da affrontare sono grandi, enormi. Nella “campagna espettorale” centinaia di candidati continuerebbero a distribuire i loro volantini, continuerebbero a cercare un contatto tra distratti, frettolosi e soprattutto preoccupati. Ma sui volantini non ci sarebbero simboli di partito, obiettivi e promesse.

 

Ci sarebbero solo le “informazioni incontrovertibili” sul virus, su cosa temere e cosa non temere, su come tutelarsi e come non farsi prendere dal panico e dalla psicosi. Si sa, una “campagna espettorale” non ci sarà mai. Si sa, queste righe saranno tacciate nella migliore delle ipotesi di follia e nell’ipotesi più comune alla politica di “rompimento di scatole”. Ma se la politica, a destra come a sinistra passando per il centro, sposasse per una volta un’idea di inedito, maturo e unificante “servizio”? Se i gazebo, (tutti), si trasformassero in punti informativi: neutri e formativi? Ci si pensi: altro dal “il Dolomiti” non si può e non si vuole chiedere.

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