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Di Vasco ''tempesta'' e ''augelli che odo far festa'' di gufi e pavoni ora di quel prato (che qualcuno chiama Arena) cosa facciamo?

All’indomani di un concerto bello ma sconcertante per troppi aspetti che nulla hanno a che vedere con l’arte di Vasco era prevedibile un cicaleggio estasiato. I promotori hanno cantato le lodi (di sé stessi) ma tuttavia hanno di corsa iscritto l’evento dei 120 mila alla categoria dell’irripetibile
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Di Carmine Ragozzino - 01 giugno 2022

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

“Passata è la tempesta, odo augelli far festa”. Eh sì, su Trento è davvero passata una tempesta, seppure allegra, canterina ed energetica. Una tempesta di cuori Vascolarizzati nell’entusiasmo collettivo. Giacomino Leopardi ci scuserà per l’appropriazione indebita di un suo incipit poetico tra i più famosi. All’indomani di un concerto bello ma sconcertante per troppi aspetti che nulla hanno a che vedere con l’arte di Vasco era prevedibile un cicaleggio estasiato. I promotori hanno cantato le lodi (di sé stessi) ma tuttavia hanno di corsa iscritto l’evento dei 120 mila alla categoria dell’irripetibile. È ben vero che il presidente della Provincia insiste nell’ottimismo. “Se ci chiedono un altro concerto da 80 mila spettatori – dice egoicamente - perché dire no?”. Lo si lasci pur sognare assieme alla sua pasdaran Dalzocchio, ma difficilmente Trento potrà sopportare di nuovo il raddoppio dei suoi abitanti per un concerto.

 

Il ridimensionamento delle rischiose ambizioni numeriche non è solo il frutto (tardivo) di un rinsavimento logistico. Con quei numeri infatti un concerto dovrebbe essere di nuovo rubricato come emergenza, come calamità. Solo considerando Vasco alla stregua di una “disgrazia” (che curiosa contraddizione per una festa) una Provincia autonoma dal senso della misura nell’uso del pubblico denaro ha potuto aggirare gli obblighi. Niente bandi per i lavori all’area San Vincenzo, mobilitazione eccezionale delle risorse (la Protezione Civile) che dovrebbero invece far fronte ad eventi imprevedibili e spesso dolorosi, l’uso smodato di tutta l’apparto della pubblica amministrazione (civile, sanitaria, ecologica) con relativi costi per la turnistica, i permessi, le ferie, eccetera.

 

Se la Corte dei Conti c’è, forse batterà un colpo. Ma anche se no, l’irritualità della Provincia che si fa manager musicale e toglie ai privati quasi tutti i rischi resta una stonatura che nessun cinguettio post concerto riuscirà ad armonizzare. Ecco, il cinguettio. Un cinguettio che ha coinvolto “augelli” di ogni tipologia e piumaggio. È prevalso un incontenibile “cu cu” verso presunti gufi. Pavoni dalle ruote sgonfie ma piuttosto tronfi hanno tacciato e tacciano come gufo chi ha contestato non il Vasco, non il concerto, ma lo sconcerto. Lo sconcerto, cioè, di una Provincia che si è assunta tutti i costi che altrove (ovunque) sono a carico dell’imprenditoria musicale. Si è pure giocato, maldestramente, alla peggio politica. I buoni? Gli organizzatori del concerto, la giunta di destra in primis. I cattivi? Tutti gli altri, per lo più di una sinistra per altro pallidamente critica e non poco imbarazzata nell’affondare i colpi.

 

Ma siamo seri. I dubbi e le inquietudini rispetto al mastodontico impegno/esborso pubblico non hanno avuto nessuna precisa colorazione politica. Le perplessità erano trasversali e legittime tanto quanto gli entusiasmi. Sono parsi dunque una piccinità tanto prevedibile quanto intellettualmente misera i troppi toni da rivincita. È misero, infatti, liquidare come “guastatore” chi semplicemente ha provato ad evidenziare gli arroganti eccessi di sicumera “governativa”, chi ha posto domande puntuali che mai hanno avuto risposta se non le pernacchie o la stizza. Si è perfino tentata la teoria ridicola dei “pro” e dei “contro” Vasco. Laddove i pro sarebbero stati quelli che cantano Alba Chiara anche a notte fonda e i “contro” quelli che storpiano ad uso demolitorio “C’è chi dice no”.

 

La verità, incontestabile, è che destra, centro, sinistra si confondono sotto un palco nel godere dell’arte longeva e trasversale del Komandante. Buttarla in politica quando è palese che tra gli spettatori il sudore della soddisfazione accomuna gli opposti è un’operazione dal respiro corto, cortissimo. Non c’entrano allora i pavoni e non c’entrano i gufi. C’entrava prima dell’evento e c’entra ancora – (a cattedrale da spettacolo smontata) - il “cercare un senso a questa storia”. Spendere pubblico denaro per un concerto non è uno scandalo se a sostenere le scelte c’è un progetto culturale (e sociale) chiaro, condiviso e partecipato. Condivisione e partecipazione derivano – così almeno dovrebbe essere in un mondo normale - da un confronto aperto, franco e senza pregiudizi.

 

Che confronto c’è stato nella preparazione/imposizione dell’evento? Si è forse spiegato ad alcuno, cercandone il consenso, la necessità inderogabile di considerare Vasco un’emergenza (la tempesta)? Si è per caso provato a mettere laicamente sulla bilancia i pro (l’immagine che sconfinfera Fugatti e un indotto che in assenza di conti trasparenti è ancora indetto) e i contro di una tangenziale chiusa, di servizi (anche questa è economia) ridotti al minimo per più giorni, di parcheggi collocati quasi all’isola di Pasqua, di una protezione civile armata di pala non per limitare i guai di un’alluvione ma per incombenze improprie (l’approntamento dell’arena)? I fan club di Rossi – quelli che per loro il Komandante è più di Padre Pio e peregrinando da nord a sud per tutti i suoi spettacoli sono titolati ai paragoni – non sono stati teneri nella loro valutazioni sui limiti della logistica e dell’organizzazione. Hanno ironicamente fatto i loro complimenti. Ma alla fortuna. La pubblicità al Trentino che Fugatti mette in testa al suo bilancio gioioso l’avranno certamente fatta anche loro. Ma forse non in positivo.

 

“Odo augelli far festa”. Una festa che a detta della Provincia prevede bis, tris, poker e scale reali. L’Arena musicale a Trento Sud – si giura - è cosa fatta (da Fugatti): un lungimirante investimento e un retro pensiero che che guarda al voto futuro del 2023: “Siamo quelli dell’impossibile”. L’Arena oggi è solo una spianata rinverdita. Il suo utilizzo sistematico per musica e altre forme di spettacolo, anche a numeri molto ma molto più contenuti rispetto a Vasco, impone di non librarsi nel cielo delle suggestioni per restare finalmente con i piedi per terra.

 

Un’Arena per lo spettacolo all’aperto impone scelte strutturali (servizi igienici, viabilità, parcheggi e molto altro che al momento non è nemmeno sulla carta). Non saranno certo scelte che potrà compiere il solo Centro Santa Chiara, l’ente funzionale “dimenticato” dalla Provincia nell’affaire Vasco che ora è stato recuperato nel ruolo improbo di gestore operativo di quello spazio. Quegli albergatori che hanno santificato l’indotto del concerto (che senza dati certi è ancora un indetto) triplicando con scarso senso dell’etica il prezzo di una stanza saranno disponibili anche a spendere oltre che ad incassare? E’ insomma giunta l’ora di aprire quel confronto onesto con la città, con i suoi protagonisti culturali ed economici, con chi mastica per mestiere la materia senza improvvisarsi goffamente quale esperto nascondendo un curriculum non proprio da applausi.

 

Se si vuole davvero dare continuità all’Arena urge mettere sul piatto potenzialità e limiti del Trentino rispetto ai circuiti nazionali e internazionali dello spettacolo. L’Arena vera, quella di Verona, è ad uno sputo dal Trentino e la sua attrattività logistica consolidata rende complicata una deviazione su Trento dei grandi nomi. Lo stesso vale per gran parte del Veneto, la Lombardia, l’Emilia e la loro più semplice e rodata raggiungibilità dei tanti spazi dedicati (stadi, strutture polivalenti, eccetera). C’è pure un fattore climatico da non sottovalutare. Nelle statistiche meteo il Trentino primaverile ed estivo non è esattamente una garanzia di stabilità meteo. Insomma al “si può fare” che nessuno vuole escludere va aggiunto urgentemente un “come fare” comprensibile fin nei tempi, nei modi, nei particolari. A meno che ebbri di presunzione, non si creda davvero che anche la prossima volta ci sarà un’istituzione che si accolla tutte le spese (comprese le accessorie) e tutti i rischi d’impresa lasciando ai privati tutti i guadagni.

 

Scommettiamo che in quel caso si sentirebbe canticchiare “C’è chi dice no” in qualche aula di tribunale?

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