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Dalla rissa in Parlamento alle risse nei talk show: quando il politico ''sale in classifica'' se fa il contrario di quanto l'articolo 54 della Costituzione impone

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 14 giugno 2024

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Quelli che se c’è una rissa tra adolescenti si strappano le vesti anche se sono in doppiopetto. Quelli che gridano alla decadenza dei costumi, sbraitano contro una gioventù bruciata (da manganellare) della quale, però, non conoscono né l’indirizzo né gli indirizzi ideali. Quelli che, allora, promettono solenni provvedimenti. Quelli che con carta, penna e tonnellata di analfabetismo fanno “valere il ruolo”. Quelli che, in un ruolo che dovrebbe essere importante, fanno peggio. Loro interrogano, scrivono mozioni, teorizzano, trasudano di inconsistenza sociologica quando s’affannano a predicare le loro tiritere nel calvario di dibattiti infiniti.

 

Ecco, quei dibattiti della politica che di politico non ha più nulla: indurrebbero anche Giobbe a ribaltare il tavolo (altro che pazienza). Ma “quelli” comunque hanno sempre la parola in canna. Da parlamentari straparlano dei problemi di una società che prima del voto era il loro primo pensiero ma che una volta conquistato lo scranno chissenefrega. Quelli che sì, i cellulari porteranno alla rovina. Sono quelli che nell’aula non smettono di armeggiare con il cellulare nemmeno al momento del bisogno (piccolo o grande, in bagno). Sono quelli che dovrebbero dare l’esempio. Dovrebbero farlo in nome di una Costituzione (articolo 54) che li obbliga ad espletare la loro funzione pubblica con “disciplina e onore”. Macché esempio. Macché Articolo 54. Per troppi di loro il 54 è nulla più che un numero di un elenco della democrazia scritto in un’era paleontologica. Non li riguarda: è solo materia per nostalgici.

 

Per alcuni di loro probabilmente il 54 è solo il ricordo (per altro vago) del nome di una mitica discoteca di New York diventata poi teatro a Broadway. E qui si gasano. Discoteca? Teatro? Ma sì, che si porti finalmente lo spettacolo anche in Parlamento. È inutile scandalizzarsi. È perdita di tempo cercare di distinguere i buoni dai cattivi, i seri dai guitti. L’Italia di chi il pane se lo suda non distingue più. Si domanda solo come possa essere che Camera e Senato siano frequentemente ridotte ad un ring. Un ring dove tanti “suonati” dall’incultura istituzionale se le suonano. Sono peggio delle bande della più complicata delle periferie. Almeno lì, nei territori del disagio, alle botte si trovano almeno delle spiegazioni.

 

A Montecitorio e a Palazzo Madama non ci sono né ragioni né spiegazioni plausibili quando gli eletti strapagati (da voi, da noi) fanno gli hooligans. Lo fanno con una foga tale che gli ultrà veri, quelli che dalle curve ammazzano il bello del calcio (e di quando in quando s’ammazzano), sembrano chierichetti. Se mai ci fosse una differenza tra troppi parlamentari di una Repubblica che per disperazione ed impotenza vorrebbe emigrare e i bulli invasati degli stadi, beh la differenza sembra ormai solo estetica. In Parlamento non vanno ancora a torso nudo e tatuaggio in mostra. Ma chissà, presto anche questo dettaglio sarà superato. Occhio che qui non si generalizza. Sia alla Camera che al Senato l’eccesso non è – per fortuna – abitudine di tutti. C’è certamente chi ancora coltiva caparbiamente un minimo di serietà. C’è chi studia. Chi argomenta senza affidare i suoi argomenti al pugno, alla spallata e perfino allo sputacchio.

 

Ma la serietà è già, purtroppo, nel dimenticatoio. Espulsi o non espulsi dall’aula, sospesi o non sospesi, i protagonisti del manesco escono felicemente dall’oblio. Succede anche perché un’informazione piuttosto confusa si precipita a cacciare il microfono davanti alle loro bocche, alle bocche di chi li difende e a quelle di chi li condanna. Anche stavolta Kafka se la gode. Tutto sarebbe più semplice, più trasparente, più onesto e soprattutto più utile se dopo una rissa come l’ultima vista alla Camera, la notizia fosse data in altro modo. Con altro coraggio. E cioè con una foto dei pugili incravattati ed una banalissima scritta in sovrimpressione in tutti i tiggì: “Non fatevi più vedere in Parlamento, ma prima restituite il maltolto: i soldi che avete guadagnato scambiando un emiciclo teoricamente nobile per un’arena”.

 

Ovviamente non ci sarà alcuna scritta sovrimpressa. Il coraggio? Roba da “Chi l’ha visto”. Tra una settimana o giù di lì si incomincerà ad indovinare la data della prossima rissa, della prossima esibizione muscolare. Che poi a ben guardare, la rissa, il calcio nello stinco, il tentativo di azzannarsi digrignando i denti buoni (la mutua di questi lor signori ti rifà nuovo più o meno gratis) sono solo la punta dell’iceberg. O solo l’atto estremo di un’incultura che avanza anche quando non ci si mena. Le risse hanno un prima e sicuramente avranno anche un dopo perché in Parlamento va così da anni, anzi da decenni (basta una piccola ricerca in internet). Tuttavia mai come ora la degenerazione quotidiana scrive una propria, drammatica, Costituzione (con nostro immenso rispetto di quella vera) dove ogni articolo è uno schiaffo alla decenza.

 

Chi avesse anche una sola una volta bazzicato le noiose dirette dei lavori di Camera e Senato si sarà accorto che l’andazzo magari non è rissaiolo (a meno che non si tratti di risse verbali) ma è alquanto diseducativo. La colonna sonora del Parlamento non è il silenzio attento e rispettoso di un luogo di confronto (in un mondo normale dovrebbe essere così) ma il silenzio dell’assenza. Il vuoto dei banchi accomuna spesso maggioranza e opposizione. Gli Onorevoli sono assenti nell’aula (hanno altro da fare, dicono serenamente) ma sono presenti al momento dell’incasso dello stipendio (esagerato). Quando sono presenti, invece, molti di loro (troppi) sono indaffarati a fare altro: cliccano sui cellulari come ragazzini obnubilati dai social (che tra i parlamentari, per altro, impazzano). Oppure leggono. No, mica leggono documenti d’aula, progetti, eccetera. Sfogliano il rosa dello sport e il rosa della cronaca.

 

Succede tra i banchi del Governo quando non sono vuoti. Succede tra i banchi della maggioranza e pure tra quelli dell’opposizione che però non si oppone mai all’urgenza di un messaggio su Instagram, X o Tic Toc. E poi, ancora, gli sfottò. E poi, ancora, i sorrisini, le smorfie, i gestacci mentre parla un esponente dello schieramento avverso. In una qualsiasi classe di scuola media chi sta agli antipodi dell’educazione forse almeno una nota da mostrare ai genitori la rimedia. Troppi “disonorevoli” rimediano invece una comparsata quotidiana da Vespa, Mentana, Floris, Gruber, Porro, Giordano eccetera. Anche lì, naturalmente, si sfottono, si parlano sopra, si accapigliano quando non fanno di peggio. L’arbitraggio dei conduttori è farlocco. Ad ogni urlo i conduttori chiedono alla regia di ampliare il volume perché per primi hanno capito che la pacatezza (e la serietà) fa stramazzare nel sonno lo spettatore mentre il wrestling lo attizza.

 

Così siamo ridotti. Così è ridotta una politica nella quale più sei bullo (verbalmente ma anche fisicamente) più sali in classifica. Più ti invitano a fare le scenate. Più ti lasciano fare dicendoti “così non si fa” (ma a voce bassa). Se è così - ed è così tra truppe cammellate, manipoli di ritorno, rivoluzionari da strapazzo e sinceri democratici ma solo con chi la pensa allo stesso modo - schernirsi per una rissa in Parlamento sembra un inutile rito. È come meravigliarsi dell’ovvio. È come meravigliarsi se il pantano imbratta. Il fatto è che se mezza Italia sta lontana dal pantano quando c’è da votare, un bel po’ dell’altra mezza cercherà presto di non sporcarsi.

 

Quando in una democrazia il Parlamento si riduce a Casa di Carta Costituzionale straccia (ricordate la disciplina e onore?), beh sono guai grossi.

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