Da Rossi a Punzo: Pergine Festival piazza un uno/due che indica la strada (giusta)
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Dejà vu. Un ritorno al passato di irresistibile soddisfazione non solo per un tempo del divertimento di studiata imprevedibilità che un Paolo Rossi in gran forma ha regalato al pubblico. Il fatto è che Pergine Festival (che si insisterà per affetto a chiamare Spettacolo Aperto) lunedì ha rivissuto quel bel clima di un passato che scelte eccessivamente di nicchia e autoreferenziale avevano fatto diventare molto più remoto di quel che segna il calendario.
Coinvolgimento e gratitudine calcolabile in un surplus di applausi per una comicità che con Paolo Rossi ed i suoi musici del Carso non è né sopra né sotto le righe ma semplicemente “è” (nel senso che è la sua, prendere o lasciare, nel denunciare il peggio italico della politica e del costume parlando apparentemente d’altro).
Il clima dello Spettacolo Aperto che fu e che, per fortuna, si attrezza a ritornare mescolando popolarità e ricerca nelle arti di palco e di strada, è una partecipazione del pubblico buona per numero ma soprattutto per attitudine a diventare parte dello spettacolo. Certo, con Paolo Rossi è gioco facile perché il gigante formato mignon che ha mangiato pane e teatro (musicale) assieme a Jannacci, Gaber, Andreasi ed altri inarrivabili è molto più di un suggeritore per chi sta in platea ed abbocca felicemente alle battute e ai ritmi sincopati da punteggiare con i battimani.
Tuttavia l’allegria, la simpatia e l’ammirazione vissuta in teatro è sembrata a lunghi tratti quella che si poteva registrare quando Spettacolo Aperto riempiva l’elmo da spettacolo (ormai dismesso e di triste presenza) che ne ha segnato la lunga e intensa storia nella musica come nella prosa o nel cinema. La partecipazione alla prima proposta in teatro di Pergine Festival 2023 è un buon viatico per il prosieguo (quest’anno e i prossimi) della direzione artistica affidata a Babilonia Teatri.
Rivedere un pubblico numeroso e soprattutto registrarne le sensazione positive durante e dopo lo show “scorrettissimo” (ma solo nel titolo) di Paolo Rossi conferma che è giusta la strada dell’equilibrio tra un passato da non “schifare” ed un futuro da costruire riconquistando fiducia per le sperimentazioni e l’innovazione.
Sulla performance di Paolino Rossi e dei suoi tre musicanti “tutori” (lo riportano in carreggiata quando sbanda ma ti accorgi subito che Paolino sbanda con lo stesso controllo di Werstappen) c’è poco da dire. Intrigante dal primo all’ultimo minuto di un’altalena da una commossa autobiografia (nel ricordo di Fratel Enzo Jannacci) ed una velenosa biografia dell’Italia irrimediabilmente malandata ad opera di malandrini (anzi malandroni) che imperversano nei governi e dentro partiti spesso e purtroppo indistinti.
La forza di Paolino è lo straniamento (finto, studiato, azzeccato ma anche un poco vero) che gli permette di affondare il colpo anche da disarmato. È dura non farsi tirare in mezzo ed infatti il pubblico ci sta. Nel caso dell’onnipresente simpatia svolazzante (negli abiti) ed invadente (nei tempi e nei modi) di Caterina Dominici il pubblico ci sta anche troppo.
A Pergine Caterina (che se non ci fosse andrebbe inventata) si prende la scena con shakespeariano impeto – “essere o non essere" ha gridato ad un Rossi per nulla esterrefatto dal siparietto). Se qualcuno avesse spiegato prima dello show a Paolino che Caterina era detta “La rossa” prima di buttarsi con onestà da pasionaria anche nella battaglia autonomista lo spettacolo probabilmente sarebbe andato oltre le ore piccole.
Si diceva però dell’equilibrio come elemento caratterizzante del nuovo Pergine Festuval. Del popolare e della ricerca, del messaggio sociale che può essere forte e chiaro sia che la si butti in caciara (come fa Rossi in modo mirabile) sia che lo si interpreti secondo canoni e storie del tutto diverse. Bene, questa sera il pubblico di Pergine Festival avrà un’altra occasione tanto ghiotta quanto imperdibile.
Arriva infatti domani alle 20,45 in teatro uno spettacolo che va certamente oltre lo spettacolo per come e per quanto il protagonista /regista ha fatto non solo per l'arte quanto per la decenza, il rispetto, la difesa dei diritti. Si tratta del festival emozionale della Compagnia della Fortezza e del suo fondatore, Armando Punzo, vincitore del Leone d’oro alla carriera della Biennale Teatro 2023.
L’appuntamento è con Il Figlio della tempesta, concerto-performance nato dal desiderio di celebrare la strada compiuta da oltre trent’anni insieme agli ospiti dell’Istituto penitenziario di Volterra. Non volendo bluffare nel raccontare in modo personale ciò che non si è ancora visto ci si limita a riportare quanto scritto con dovizia dall’ufficio stampa del festival di Pergine. “Attraverso uno studio sui caratteri dell’energia e delle frequenze della creazione, Andrea Salvadori, drammaturgo musicale della compagnia, insieme a Punzo porta in scena l’utopia del fare teatro in un luogo lontano anni luce dalla libertà e dall’apertura. Le note della musica riempiono lo spazio, entrano nelle vene e nel cuore, riverberano con le parole e le visioni artistiche che richiamano presenze del tutto speciali, a cui normalmente la libertà è negata, ma che attraverso questo momento possono tornare nella società, ritrovare sul palcoscenico libertà nel movimento, nella parola, nell’immaginazione.
Lo spettacolo cerca di rivoluzionare la percezione più consueta del lavoro estetico e artistico sviluppato in questi anni all’interno della Fortezza per andare oltre l'idea del teatro civile o di servizio, del teatro cosiddetto delle diversità, smentendo l'equivoco che possa trattarsi di beneficenza o condiscendenza, e non piuttosto di una scoperta di sé, che riguarda i drammaturghi, gli attori della Fortezza e infine il pubblico allo stesso grado. Una scelta artistica radicale e unica, quella della ricerca di una verità umana più autentica e sincera”.
Quanto ad Armando Punzo, cha ha fatto del teatro in carcere un luogo di libertà senza retorica e senza mai nascondere contraddizioni e difficoltà, ecco uno spunto, uno tra i tanti, di quel che pensa del suo lavoro e del contesto in cui si è svolto con risultati incredibili: “Quanto è difficile ancora oggi. Siamo nel carcere, il luogo di massima chiusura, e il teatro è il luogo di massima libertà. C’è un continuo scambio e sano conflitto quotidiano con l’idea che rappresenta, ma è stato molto difficile all’inizio. Perché nessuno capiva il perché e anche oggi nella pratica quotidiana trovi persone che non capiscono il perché. Ma per me è uno stimolo: non posso addormentarmi sugli allori”.