Caro Bisesti, se il ruolo di assessore ti sovrasta, non insistere. Per il tuo e per il nostro bene
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Caro Bisesti. Ti do del tu. Come a volte i semi anziani fanno con i semi giovani. Sai, un codino non toglie gli anni e la maturità che si dovrebbe pretendere da un trentaduenne. Lo so. Non dovrei darti del tu. Di persona non ci conosciamo. Ma se è vero che l’età si accompagna spesso ad una certa impertinenza, con te mi permetto la confidenza. Che non ho. Caro Bisesti, dunque. Ti ho letto un paio di giorni fa su un quotidiano locale. Da assessore provinciale a istruzione e cultura, parlavi di scuola. Lo facevi in un momento in cui fare scuola – senza le scuole - è poco più che un’ipotesi. Un’ipotesi alquanto complicata: buoni docenti e buoni studenti la stanno praticando. A distanza.
È un esperimento emergenziale che attualizza, e nemmeno poco, un’antica e per nulla ricomposta frattura sociale. La frattura, cioè, fra chi “ha i mezzi” e chi non li ha. I mezzi? La tecnologia: non solo computer e dintorni ma anche la “costosa” fibra internet. Ma anche gli spazi dove potersi concentrare in questa improvvisa carcerazione collettiva. Una sconosciuta promiscuità casalinga accomuna in luoghi stretti genitori, figli di ogni età, cani e gatti. Eppoi i soldi: per dotarsi di quel che serve a non rimanere isolati da maestri e maestre, professori, compagne e compagni. (Caro Bisesti, non equivocare, i compagni e le compagne di cui si parla sono definizioni scolastiche, non politiche. Stai sereno).
Nell’evanescente leggerezza dei tuoi “faremo” tu, assessore provinciale all’istruzione, ti sei perso le priorità. Il “pc”, computer, per chi ne è sprovvisto? “Faremo”. Ma un “faremo” senza calendario è vaghezza. Sarò sicuramente becero, ma qualche riga dopo le tue rassicurazioni poco rassicuranti di fronte a guai che hanno una data di scadenza ravvicinata, credo di aver capito quale sia il cruccio che ti tormenta. Tu temi il “sei politico”, aborri la prospettiva del tutti promossi per causa di forza maggiore. Non so se sai degli slogan del Sessantotto. Leggendoti, ho imparato che almeno uno lo conosci: “No pasaran” (che per altro non è propriamente sessantottino, ma vabbè).
Tu sei l’assessore, qualcosa devi pur dire. Il problema è quel che dici. Dire – ad esempio – che per decidere promossi o bocciati ci si potrebbe fermare a quel che i ragazzi hanno fatto fino a marzo è bestemmiare. Contro il diritto e contro la logica. Il diritto di ogni studente di usare tre mesi per recuperare dove deve recuperare. Il diritto di ogni studente di migliorare dove può migliorare. Caro Bisesti, non so tu. A me a scuola dicevano il classico “È bravo ma non si impegna”. Tu la scuola l’hai finita. Forse, da assessore all’istruzione, è il caso che ti impegni almeno a “studiare” meglio la materia per la quale anche io ti pago lo stipendio.
Impegnarsi, caro Bisesti, vuol dire prima di tutto non distrarsi. Se posso un consiglio, suggerirei di rimanere sul “sei politico”. Pare che ti sconfinferi. Però con una variante: “Dai sei politico” al “Sei un politico”. Ecco, caro Bisesti, volente tu e nolente io, tu “Sei un politico”. Seppur esteticamente atipico per via del codino, tu “Sei un politico”. Teoricamente dovresti dare buoni esempi. E i buoni esempi per te dovrebbero essere doppi se è vero che governi questa nostra provincia in due settori non proprio inutili per il presente e per il futuro.
Se “Sei un politico”, se sei un assessore, se rappresenti comunque anche me che non ti ho votato, dovresti smettere di specchiarti nei social. Dovresti invece rispecchiare, (almeno un po’, mica si pretende il genio), le regole di un ruolo pubblico.
Quando condividi – come hai appena fatto – lo schifo di chi anche in questa tragedia virale trova il modo di dividere e di spargere veleno, il tuo “ruolo pubblico” sprofonda nel pattume. Attaccando partigiani, le sardine, le Ong e quant’altri si stanno dannando nella solidarietà allo stesso modo con cui si dannano leghisti, destri, sinistri e centrorsi, manifesti una strabica e malata idea di Patria. Il tuo profilo si riempirà magari di “like” ma rimarrà un profilo drammaticamente basso.
Caro Bisesti, il profilo istituzionale si vede sempre anche su Facebook. Non ti è concesso di distinguere il primo dal secondo - strumentalmente - quando qualcuno te lo fa notare. Hai mai sentito parlare del “privato” che in politica è pubblico? Io credo di sì, anche se dalle tue arrampicanti giustificazioni non si direbbe. E allora insisto. In privato potrai anche considerare Sgarbi il più grande intellettuale che la storia abbia prodotto dai tempi di Platone. In pubblico non puoi difenderlo, (e nemmeno distanziarti, senza spostarti in realtà di un millimetro). Il “tuo” presidente del Mart fa il bullo contro medici, virologi, infermieri che combattono una doppia battaglia: quella contro un virus letale e quella contro la letalità di chi contesta insieme alla terribile verità del virus anche chi di virus muore.
Un profilo istituzionale non permette mediazioni. Per Sgarbi prevede l’indicazione della porta, magari con richiesta di danno per il Mart, la Provincia, il Trentino, i trentini. Caro Bisesti, se il ruolo di assessore ti sovrasta, non insistere. Per il tuo e per il nostro bene. Ma se davvero vuoi insistere, imponiti almeno quel “Sei un politico” di cui sopra. Fallo recuperando buon senso e studio dei dossier. Fallo spegnendo il tuo divisivo volto “social” per accendere un più accettabile volto sociale. Perché davvero – e non solo per quel che ti riguarda – non se ne “post” più di partigianerie, odio, ricerca di nemici e soprattutto scemenze. (Ocio caro Bisesti, parlo di partigianerie e non di partigiani)
Se per salvarci la pelle e per salvare il futuro oggi siamo più o meno tutti in quarantena. Potrò pur chiederti di mettere in quarantena le stupidate, i copia - incolla mefitici, e le condivisioni del becero. Se ti va, caro Bisesti, rispondimi. Ma fallo tu.
Non vorrei mai che mi replicasse il tuo collega in consiglio provinciale e presidente del tuo partito, il “vendicator” Savoi. Perché? Perché per confrontarsi bisogna parlare e temo, invece, che il ''vostro'', al massimo, accetterebbe di rispondermi con il suo ''marchio di fabbrica'': il dito medio. È un poco per imbastire un confronto. Sarei un po’ a disagio.