Bertrand Russel, il monologo che libera le libertà
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Scommessa. La critica locale con la C maiuscola recensirà più o meno così “La conquista della felicità, dialogo tra Bertrand Russel e Cassiopea”: “Bello, ma da rivedere”. E via sollecitando un piccolo rimaneggiamento del testo e una accurata revisione del ritmo del monologo che ha debuttato mercoledì allo Spazio Off.
Chi scrive la C maiuscola ce l’ha solo nell’iniziale del nome. E nulla più. Pur tuttavia anche io dico “Da rivedere”. Ma in un altro senso. Nel senso, cioè, che vale la pena di vedere più di una volta lo spettacolo che la registattrice Maura Pettorruso ha affidato a Stefano Pietro Detassis calandolo “anima e core” nei panni di un filosofo della normalità: Betrand Russel, appunto.
Da rivedere e da far vedere, in un benedetto passaparola che verrà ripagato da un’ora di intensità tanto godibile quanto “istruttiva”. “La conquista della felicità” – che nel teatro mignon di Spazio Off farà repliche quasi ogni giorno per tre settimane – regala stimoli. A iosa. Rilancia di riflessioni che vengono da un passato nemmeno tanto remoto, ( Russel ha attraversato il 900 con longeva lucidità), e che sono un viatico utilissimo per il presente. Quel presente, il nostro presente, che dal peggio del peggio della storia non ha imparato nulla quanto a conflitti e diritti ignorati o bistrattati.
Russel/Detassis dà corpo e parola ad un lavoro scenograficamente in bilico: l’attore, il protagonista, si muove e si commuove sua una pedana inclinata. Forse significa che nella vita è facile salire ma è altrettanto facile scendere. Forse no.
Certo è che intriga non poco l’equilibrio instabile del Russel che in punto di morte confonde con ironica umanità il pessimismo e l’ ottimismo di una vita da militante. Un militante caparbio nella perorazione dei diritti propri e altrui.
La ricerca della felicità è una ricerca multipla. E’ intima. Ed è collettiva. Nell’uno e nell’altro caso Pettorruso e Detassis fanno emergerea forza di un filosofo che finalmente non filosofeggia. Semmai, un filosofo che "vive" il suo tempo e potrebbe aiutarci a vivere un po' meglio anche il nostro.
La filosofia di Bertrand Russel poggia su concetti che possono sembrare perfino banali: “La contraddizione? Si applaude quando si entra in guerra per perdere tutti. Si balla di gioia quando la guerra finisce”. Sarà anche un pacifismo “terra terra”. Ma è più il vocabolario del buon senso: infinitamente più efficace di fiumi di parole al vento.
Con Russel anche il personale è pubblico. Lui e le donne. Lui e gli amori che come tutti gli amori quando sfioriscono sono guai: “Che si sta insieme a fare quando non c’è più motivo di stare insieme?”. Lapalissiano se guardiamo all’oggi di coppie che possono almeno evitare di scoppiare ancor prima ancor prima di accoppiarsi. Ma rivoluzione – e che rivoluzione – quando di divorzio si parlava, come parlava Russel, accettando il rischio dell’eresia.
Ma mica finisce qui. La felicità è conquista e insieme difesa strenua di tempo. Del proprio tempo. Il lavoro – dunque - non è una perdita di tempo ma nemmeno può essere il “l’unico tempo” che segna un’esistenza. Il filosofo-matematico, (questo e non solo questo fu Russel, dai saggi al Nobel) fa di conto come nessun sindacalista di ieri e di oggi oserebbe: “Bastano quattro ore di lavoro, ma lavorare tutti”. Perché? Perché la felicità è avere il tempo di leggere libri e poesie, andare a teatro, godere della musica, coltivare l’orto e innaffiare l’amore per le persone o per l’ambiente. Eccetera.
Un eccetera che nelle teorie di Russel è pure una pura economia. Un’economia della salute che può diventare capitale. Di produzione e di produttività.
Betrand Russel non è stato solo questo. Ma questi esempi bastano allo spettacolo per proporre una sintesi azzeccata, partecipata, di un pensiero che più contemporaneo non si può. Maura Pettorruso e Stefano Pietro Detassis, (ma anche a Maria Paola Di Francesco e Alice Colla, scene e luci) hanno messo in scena una folgorazione.
Folgorati dalla capacità di Bertrand Russel di stare “in prima linea” nella battaglia per un mondo meno marcio, meno egoista, più inclusivo, meno autolesionista. Folgorati dalla capacità di semplificare i concetti – la morale, l’etica, la libertà al plurale – con la credibilità di chi ha pagato di suo, (con la galera, ad esempio) piuttosto che pontificare dalla “comoda” finestra degli intellettuali.
Questa idea della normalità e del buonsenso che fanno più grande del suo valore un personaggio come Russel sembra dare il carattere allo spettacolo. La recitazione di Stefano Pietro Detassis è un fiume di parole che non affogano il messaggio. Un messaggi, tanti messaggi, che si rafforza semmai in una mimica efficace ma ben controllata.
E' così che nello spettacolo Russel diventa rapidamente “familiare”: in una smorfia, in un movimento volutamente incerto, (l’età del dialogo tra Russel e Cassiopea è un’età artritica), in un cenno di risata. E soprattutto nel preferire il beneficio salvifico del dubbio alla presunzione deleteria delle certezze. Per tutto questo “Alla ricerca della felicità” fa centro. Fa centro perché rispetta e ammira un pensiero. Perchè lo lascia nudo, senza ricamarci ad uso di quel teatro che troppo spesso è abuso.
Di uno spettacolo si può dire tutto e il contrario di tutto. Si può cercare il pelo. O deragliare nell’elogio. Di questo spettacolo resta però, indubitabile, un merito: raro. Lo vedi, applaudi, esci dal teatrino mignon di via Venezia e ti viene una gran voglia di scoprire Bertrand Russel.
“Russeliana”, il pacchetto che Spazio Off ha dedicato al filosofo con 15 repliche, dj set e incontri con esperti è un’occasione. Da raccomandare. Se poi questo libertario “genuino” ispirasse un po’ di umiltà ai libertari da salotto e da talk show…Ma non accadrà.