Anna Proclemer: che non sia un ricordo in formato Ridotto
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Oggi le intitolano il “Ridotto”, l’ampia mansarda con uso di confronto del Teatro Sociale. Le dedicano il Ridotto un po’ tardivamente, ma meglio che mai. Anna Proclemer – signora di un teatro con tutte le lettere maiuscole - se n’è andata ormai da cinque anni: nel 2013, quando di anni ne aveva 89.
Il Ridotto è uno spazio “diverso” dal palcoscenico. Ma è uno spazio che il palcoscenico lo completa. Il Ridotto ospita – (ad ogni spettacolo e per tutta la Stagione della prosa del Centro Santa Chiara) – un utile, istruttivo e spesso intrigante “a tu per tu”. Al Ridotto tra attori, a volte registi e pubblico non c’è linea di separazione.
Chi lo frequenta per gli incontri di approfondimento sugli spettacoli non ha il solo applauso per sintetizzare il suo giudizio, manifestare la sua emozione o evidenziare la sua delusione. Insomma, il “Ridotto” è a suo modo una quinta che spesso svela quello che la scena lascia solo intuire. E’ un luogo dove si spiega quello che è bene sapere sul teatro e sull’arte: i perché e i per come di un testo, di una scelta registica, di un’interpretazione. Le gioie e le paure del teatro e dell’arte.
Ebbene, nel nome di Anna Proclemer il “Ridotto” del Teatro Sociale evocherà il magnetismo, la forza e la fragilità di una donna e di un’attrice che ha dato lustro alla città e alla provincia. Un personaggio che ha offerto del Trentino una vista meno angusta di quella costretta dalle montagne.
Dare il suo nome ad un luogo di approfondimento teatrale è la scelta più logica, (anche giusta) - che il Centro Santa Chiara poteva fare per ricordare Anna Proclemer. La sua lunga e catalizzante militanza di palco – infatti – è un affascinante libro di storia professionale e umana. Ma è anche un libro per molti ignoto. E’ un libro che Trento – la sua città – ha per troppo tempo sfogliato con approssimazione, vuota ritualità e distrazione.
Meglio tardi? Sì, ma meglio – umile consiglio per il Santa Chiara e per le istituzioni, (Provincia, Comune) – immaginare che il ricordo della Proclemer non si limiti alla celebrazione. Se un ente culturale vuol ricordare un passato glorioso può farlo stimolando il presente: un concorso di recitazione o di testi, ad esempio. Un offerta “mirata” alle scuole, ad esempio. Un po’ di creatività, ad esempio. Quel che si vuole, purché sia cultura. Con le targhe si fa ricordo il giorno in cui si “scoprono” con solennità, così come succederà oggi. Ma la cultura è altro.
Quella di Anna Proclemer non è stata solo storia – gran bella storia – di scena e di sipario. Una storia di acuti e di sussurri, di dosaggi sapienti della voce e dei movimenti, di personalità indubitabile. Una storia d’attrice nella storie dei classici che le hanno dato gloria e consensi. Un’attitudine d’attrice anche negli azzardi artistici. Ma la storia di Anna Proclemer è più di tutto una storia di fierezza: nel lavoro come nella vita.
Quella vita che fu esemplarmente intensa anche nei momenti più grami. Anche quando per il doloroso e per lei inaccettabile avanzare degli anni e dei problemi fisici chiese al “suo” Giorgio Albertazzi l’atto d’amore più grande: aiutarla ad abbandonare la scena di un'esistenza che le pesava troppo perché ormai governata da “altro" . Un "altro" che annulla la capacità di controllo, di memoria, di vitalità.
Albertazzi, compagno di palco e di sentimenti forti, non se la sentì. “Per egoismo – disse poi – perché volevo continuare a vederla”. Quella di Albertazzi verso Anna Proclemer deve essere stata una gelosia comune ai grandi nomi del teatro e della cultura che hanno segnato la strada di attrice di una trentina senza accenti e senza provincialismi.
Sessantasei anni di teatro, oltre 150 spettacoli, quattro regie e alcuni film: chiamarlo curriculum – quello di Anna Proclemer – è piuttosto riduttivo. Lo è ancor di più quando la sua biografia artistica incrocia nomi che del teatro, de cinema e anche della Tv che aveva un senso sono pietre miliari: Strehler, Squarzina, Gassman, Missiroli, Calenda, Ronconi, Rossellini. Per la Proclemer non furono incroci casuali. La cercarono, la vollero protagonista, ne esaltarono le doti in un teatro che quando tiene in equilibrio la tecnica e l’anima è un miracolo di gioventù e di freschezza indipendentemente dalla longevità e dall’apparente anacronismo dei titoli e degli autori.
Oggi di Anna Proclemer parleranno – nell’intitolazione del Ridotto, (alle 17.30), le autorità: sindaco, assessore. Se dicessero solo “grazie” – nulla di più – l’attrice che non amava i pistolotti e la retorica manderebbe un cenno di gratitudine dal cielo. Parlerà anche la figlia Antonia, avuta dallo scrittore siciliano Vitaliano Brancati, l’estremo nord e l’estremo sud uniti in matrimonio. E nelle parole della figlia la Proclemer donna si prenderà la scena.
Parlerà il Centro Santa Chiara – il direttore Nardelli per conto di un cda che ha deciso l’omaggio dell’intitolazione del Ridotto: il teatro a bisogno di simboli, Anna Proclemer è stata ed è un simbolo del teatro. Ma Anna Proclemer oggi si potrà anche sentire, risentire e rivedere: gli spezzoni delle sue commedie, dei suoi film, e le parole di tanti: la Piccolo, Costanzo, Vanoni, Zanetti, Lavia, Ozpetek.
Parole di amici. Parole di stima e di nostalgia. Accadrà nel docufilm di Franco Delli Guanti che stasera verrà proiettato in anteprima, (alle 21) al cinema Astra. “La tigre di carta” – così si chiama il lavoro – è il parallelo tra l’attrice-roccia e la donna esposta a tutti i venti di una normale umanità: dubbi, incertezze, la contraddizione tra immagine pubblica e immagine privata, tra il successo e la tensione di una vita il successo non appaga mai del tutto. Ma che proprio per questo è “vita vera”.
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