"Ritratto di famiglia con tempesta", dal Giappone con amore ripensando alla nostra quotidianità
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
Chi ama i film di azione non vada a vederlo. E' "Ritratto di famiglia con tempesta" del giapponese Hirokazu Kore-Eda, un regista che i cinefili amano per il suo stile essenziale, apparentemente distaccato, con film come "Our little sisters", tanto per citare il più conosciuto. La storia gira attorno ad un appartamento residenziale nell'hinterland di Tokyo, stesso quartiere dove il regista ha vissuto con la sua famiglia. Non siamo in centro, non si respira il caos della metropoli. Tutto procede con (apparente) pacata tranquillità nella casa di una vedova, quasi rinata dopo la morte del marito.
Tran-tran scombussolato dall'arrivo del figlio Ryota, uno scrittore che dopo il romanzo d'esordio non riesce più a cimentarsi con la scrittura, continuamente alle prese con i soldi, un lavoro da detective, il vizio di scommettere sulle corse di cavalli, i numeri del lotto e la ricerca spasmodica di presunti cimeli di valore tra i rimasugli dell'eredità paterna. Ryota, è un'anima in pena, in conflitto con il mondo, con le cose non risolte, pure con gli affetti. Una famiglia spezzata, separato ma ancora innamorato della moglie, coltiva un amore incompreso per il figlio che vede una volta al mese.
La sua vita è un mentire continuo a se stesso ed agli altri. Tutto sembra banale, tra metafore e allusioni: la madre che parla con le farfalle, gli investigatori che bluffano, la sorella che sfrutta la precarietà. Mentre sulla città sta per abbattersi una tempesta. Un film rigoroso, la storia girata senza eclatanti movimenti di macchina, la teatralità degli attori, ma l'interesse per la vita dei personaggi cresce man mano che affiorano dei dettagli. Cosa c'entra la tempesta? E' il leit motiv che ci conduce al finale della storia creando la tensione dovuta, con sapiente conoscenza dei tempi cinematografici. Tra ruoli e presenze mancate, la moglie con la suocera, il bambino e l'amante della madre. Tutti in posti dove forse non avrebbero mai voluto rifugiarsi, ma ognuno con l'opportunità di ricostruire affetti, recuperare legami.
Affiorano delle riflessioni: in un'Europa ricca di tensioni, dove gli attentati sono all'ordine del giorno, dove anche un solo urlo scatena confusione e panico di piazza, il confronto con realtà di vita come in Giappone potrebbe farci stare meglio? Potremmo non avere i nervi spezzati vedendo come la gente a Tokyo convive il terremoto o le tempeste che immancabilmente fanno parte della loro quotidianità? Potremmo tranquillizzare i nostri figli che non trovano lavoro vedendo come reagisce il capo dell'agenzia in cui lavora Ryota quando scopre che l'ha truffato? Siamo noi che abbiamo perso il senso della realtà o "Più profondo del mare" (questo titolo originale del film, sicuramente migliore del titolo scelto per le proiezioni italiane), è solo una fiction?
Una cosa abbiamo tutti in comune, la globalizzazione insegna: i nonni sono molto importanti, non solo affettivamente. Gli anziani danno un sostegno ai figli, una generazione non autosufficiente, sia emotivamente che economicamente.