Rami Malek porta sul grande schermo gli eccessi di Freddie Mercury ed è già corsa all'Oscar
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
È bastato un nome, “Freddie”, e si è innescato l'effetto “Titanic” (il secondo film più visto nella storia del cinema, mentre il primo è stato “Avatar”). In testa ai box office, con cambi di regia, è Freddie Mercury con la sua storia in “Bohemian Rapsody”.
La gente lo va a vedere più volte ed applaude. Senza fine. È un film che nasce tra certe incomprensioni produttive: Bryan Singer viene allontanato dalla regia, non si sa il motivo, verso la fine delle riprese, ed è sostituito da Dexter Fletcher.
L’attore, Rami Malek, vince il Golden Globe come miglior attore. Un discusso successo anche se spalanca la corsa agli Oscar 2019. Eppure l’interpretazione di Rami Malek, americano di origini egiziane, nei panni della rockstar Freddie Mercury ha troppe esagerazioni, questi denti sporgenti sempre in primo piano (è vero, Freddie aveva quattro incisivi in più) ed un atteggiamento non proprio maschile fin da ragazzo. Che si muovesse in modo molto personale è una constatazione, ma l’ancheggiare continuo è un po’ troppo enfatizzato.
In comune a Freddie, Rami ha l’amore per Mary, l’attrice Lucy Boyton, ora infatti è diventata pure la sua inseparabile fidanzata. Forse per immedesimarsi meglio nel personaggio.
Interpretare una rock star non è facile, tra finzione scenica e sintonia vocale. In “The star is born” Bradley Cooper, ad esempio, non è doppiato. I pezzi ovviamente sono molto coinvolgenti, anche perché “We will rock you” chi non la conosce?
Una narrazione circolare, i gatti, tanti, in tante stanze della villa da star, adorati da lui; tra dettagli continui, forse con troppe licenze poetiche, ridondanti. Comunque come filo conduttore il concerto, quello che lo ha immortalato.
Flash back: la storia della vita di Freddie, ventenne, la sua famiglia, le sue origini indiane, nato però a Zanzibar, e vissuto a Londra, l’amore per Mary Austin (riceverà metà della sua eredità dopo la morte del cantante ed anche le sue ceneri che porterà in un posto segreto), sei anni.
Un gruppo affiatato quello dei Queen, i membri della band sono laureati, Freddie ha studiato grafica e arte, suona il pianoforte e compone. Le tendenze musicali londinesi lo portano a conoscere gruppi consolidati come i T-Rex che hanno segnato gli anni Ottanta con il glam rock. I Queen sono stati un gruppo rock, contaminato dai generi, hard rock, gospel, funk e la musica classica.
La follia dei travestimenti è senza dubbio nella personalità contorta di Freddie. La cura del look esagerato vuole rivelare una vita che non potrà mai essere normale. Una rockstar deve drogarsi, avere rapporti occasionali, morire giovane: così si diventa un mito.
Ci aveva abituato bene Sean Penn, nel ruolo di Cheyenne in “This must be the place” di Paolo Sorrentino (anche lui ha un’amica di nome Mary). Cheyenne è una rockstar attempata che rivendica i soprusi subiti dal padre ebreo.
Freddie suona il piano, compone, canta, si veste da re, anzi da regina, esagera in tutto, sul palco è un incredibile frontman, ma non riesce a fare i conti con la vita privata. La malattia lo obbliga a badare a se stesso.
Ed al Live Aid del 1985, concerto per l’Etiopia al Wembley Stadium di Londra, Freddie Mercury con i Queen esegue la miglior performance della storia del rock, durata venti minuti, con davanti milioni di persone, felici di cantare a squarciagola i suoi pezzi, ancora adesso “We are the champion”. E chi non vorrebbe essere un campione almeno per pochi minuti?
“Bohemian Rapsody”, meglio in lingua originale, si proietta al cinema Modena di Trento.