Gioiosa è la ricerca della felicità per due amici di lunga data che vogliono mettersi in gioco, il tragitto tormentato della corsa all’oro in Alaska di Belli e Giovannini nel film di Carletti
Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore
I sogni son desideri di felicità. Non si può negare a nessuno di sognare. Nel documentario in concorso al Trento Film Festival “The valley” di Nuno Escudeiro, giovane regista portoghese, di sogni l’emigrante che ci guarda all’inizio chissà quanti ne ha.
Migranti in fuga dalla guerra e dalla povertà sperano di trovare un luogo dove vivere. La strada che hanno percorso è lunga dall’Eritrea, l’Etiopia, il Sudan, alla Libia. Ora sulle Alpi francesi in una zona di confine tra Italia e Francia, vicino a Mentone, si ritrovano con la popolazione della Valle di Roya. Tra strade e sentieri di montagna la gente è sensibile ai loro problemi e incredibilmente li aiuta.
Anche questa popolazione durante la guerra è stata trattata come straniera nella sua terra vivendo fra i fuochi tedeschi e quelli americani. “I confini non esistono” dice un testimone delle sofferenze dei migranti. E Cedrac, residente nella valle, cerca di risolvere il grosso problema che da tempo affligge la popolazione, vuole dare loro un punto di riferimento. Cedrac organizza assemblee, consegna ai migranti fotocopie di loro foto e delle loro origini, si sostituisce allo Stato per far valere i diritti della democrazia.
L’uomo verrà arrestato, perché l’accoglienza ai migranti privi di documenti è un reato penale. Anche una famiglia che aveva ospitato degli eritrei con un bimbo piccolo cerca ed ottiene, dopo una lunga trafila, la richiesta di diritto d’asilo.
La solidarietà messa in atto da Cedrac riesce a coinvolgere schiere di migranti. Dalla sua abitazione sul confine si ferma una fila quasi interminabile di ragazzi in cerca di un lasciapassare. Le autorità locali però falsificano i documenti, retrodatando date di nascita, per rendere i giovani maggiorenne e dunque niente status, respinti alla frontiera.
Alcuni avvocati chiamati dalla gente solidale riusciranno a far valere i diritti di accoglienza e di democrazia. “E’ una guerra senza nome, che sfiora il genocidio” si dirà. Un documentario, senza veli, che denuncia la disumanità e la violazione dei diritti umani. Sembra una fiction ma è realtà, in concorso “Sing me a song” di Thomas Balmés ci mostra persone e luoghi che cambiano con l’avvento di internet. Una splendida fotografia ci immerge nelle montagne del Bhutan dove il piccolo Peyangki studia tranquillamente in un isolato monastero, perché lui vuole diventare Lama.
In Bhutan le nuove tecnologie sono arrivate nel 1999 ed hanno stravolto gli usi locali come un fiume in piena. L’era del web ha coinvolto anche i giovani monaci. Si abbandona lo studio per i videogiochi o per le armi con cui si simula la guerra. Peyangki, diciottenne prorompente, si innamora così di una cantante conosciuta in videochat. La sua vita cambia, la vuole raggiungere in città e li troverà delle sorprese. Riuscirà a realizzare i suoi sogni? Ma quali sono or i suoi sogni? La preghiera nei monasteri dialoga con il cellulare, stravolgendo ogni canone, religioso e pure sociale.
Già in “Happiness” il regista aveva affrontato il problema delle nuove tecnologie. Questo documentario, curato nelle immagini, efficace nel montaggio ed esteticamente bello nelle inquadrature, ci lascia inaspettatamente sorpresi.
Potrebbe essere uno dei premiati.
Più gioiosa è la ricerca della felicità per due amici di lunga data che vogliono mettersi in gioco. Nella sezione Alp&Ism viene presentato “Alaska, cercatori di avventure” regia di Gabriele Carletti. Maurizio Belli e Fulvio Giovannini vogliono ripercorrere il tragitto tormentato della corsa all’oro, quella febbre alla fine dell’Ottocento, che ha immortalato nel nostro immaginario collettivo Charlie Chaplin nel suo esilarante “la febbre dell’oro”.
Sembra che da un momento all’altro arrivi proprio l’orso del celebre film o che un esploratore si trasformi in gallina nei tetri momenti notturni. Un percorso di vita per esserci e condividere assieme per 55 giorni la voglia di viaggiare e di sognare. I due avventurieri hanno utilizzato due intriganti slitte con le rotelle, progettate per l’occasione dall’Università di Trento.
Il Festival è in fase finale, rimangono delle perplessità: perché la presenza femminile (meno male che c’è “Cholitas”), anche nella regia rimane un evento speciale? E come ha fatto ad essere ammesso in concorso un film come ”Noci sonanti”? Tra non molto si sapranno i vincitori di questa edizione, ristretta solo per la durata.