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Elvis Presley tra fragilità e genialità: il re di Baz Luhrmann è sorprendente, un mito che non si esaurisce in centosessanta minuti

DAL BLOG
Di Alda Baglioni - 02 luglio 2022

Appassionata di arte e cinema con Chaplin nel cuore

Grande musica per il grande schermo. E’ quella di Elvis Presley e del biopic “Elvis” diretto da Baz Luhrmann.

 

Il regista australiano, affronta nuovamente il musical, vedi “Moulin Rouge”, ora con la vita di Elvis Presley. Incondizionata la rilevanza della colonna sonora.

 

La musica dei neri che si ritrovano nelle chiese e nei locali per cantare e ballare il blues. Elvis bambino, anni quaranta, ne è affascinato. Ogni ritmo gli entra nella pelle come un’espressione sacra. Un’attrazione fatale che lo porta sul palcoscenico a cantare e muoversi come un nero.

 

L’adorata madre muore presto, sarà devastante per lui. Il padre è inesistente, l’amata moglie (Priscilla-Olivia de Jonge) è troppo giovane per imporsi. La figlia Lisa Marie è l’unico tocco dolce della sua esistenza.

 

Un film adrenalinico grazie al montaggio e all’interpretazione dell’attore, il californiano Austin Butler che si è calato totalmente nel personaggio.

 

Molto bello Austin, forse troppo, sa muoversi e sa cambiare con il passare del tempo. Il corpo ingrassato, il viso consumato dai farmaci. Convince meno la figura del cinico colonnello Tom Parker, un’ambigua persona che plagia la famiglia, compreso Elvis.

 

Interpretato dal premio Oscar Tom Hanks, trasformato in grasso e vecchio truffatore, il colonnello ha un passato misterioso che non scopriremo. Tom Parker vuole chiarire la morte improvvisa dell’artista, attribuita anche a lui.

 

Nessun chiarimento ma tante ipotesi sospese. Una vita per la musica quella di Elvis e per la famiglia di cui si sente l’assoluto responsabile. Morirà a soli quarantadue anni.

 

Tra country e rhythm and blues, le origini gitane, la casa a Tupelo vicino al quartiere abitato dalla comunità afroamericana, lo portano ad apprezzare i bluesmen come B.B.King e Little Richard, a Beale Streeet a Menphis nel Tennessee.

 

Presley compone, canta, suona la chitarra ed il piano, si muove come i suoi “amici” neri e diventa famoso.

 

La sua residenza ora è Graceland, è il 1957 e diventerà monumento nazionale, seconda casa più visitata d’America, dopo la Casa Bianca.

 

I politici americani non gradiscono i suoi movimenti “osceni” sul palco. Bisogna frenare quest’ondata di musica frenetica che eccita il corpo e la mente di ragazze e donne di ogni età.

 

E poi quella brillantina e quelle basette stanno diventando una moda. Ma il rock and roll non si frena, i favolosi anni cinquanta della coca cola e dei juke box, lo consacrano The King.

 

Elvis vuole viaggiare, visitare altri continenti, ma il colonnello, manager corrotto dai debiti per il gioco d’azzardo e non solo, sa come convincerlo a non spostarsi dall’America. Mai uscito dagli Stati Uniti, una sorta di “Truman show” allargato, Presley grazie alla televisione, diviene un oggetto di culto. Las Vegas è la sua seconda dimora.

 

Un film che lascia in sospeso alcune cose. Per esempio il fatto che Elvis non si sia reso conto di essere un riferimento per le nuove generazioni influenzando i musicisti di tutto il mondo, come in Italia. Trentasei le canzoni presenti nella colonna sonora, da “That’s all right” a “Can’t help falling in love”(accompagna la scena fondamentale che segna definitivamente il declino di Elvis)

 

Tanti i cantanti che lo imitano, come Jimmie Rodgers (interpretato da Kodi Smt mcPhee, già apprezzato ne “Il potere del cane”), per finire con “The King and I” interpretato da Eminem e la rock band italiana, divenuta la più famosa al mondo, i Maneskin (protagonisti al 75esimo Festival di Cannes dove il film è stato presentato) nella colonna sonora con “If I can dream”.

 

Tante le leggende metropolitane sulla scomparsa di Elvis. Anche la sua origine aliena. Un mito che non si esaurisce in centosessanta minuti. “Elvis”, un film da vedere assolutamente al cinema.

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