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Un luogo da esplorare, tra trincee coperte e ricoveri dei soldati: il Monte Faè, osservatorio sulla Vallagarina

La rubrica “Camminando nella Grande Guerra”, tenuta da il Dolomiti in collaborazione con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, continua il suo viaggio fra gli itinerari del primo conflitto mondiale in Trentino rimanendo in Val di Gresta. Questa volta si va alla scoperta del Monte Faè, caposaldo austro-ungarico e nodo di collegamento fra la Vallagarina e l’Alto Garda, in cui è possibile passeggiare fra i reperti e i manufatti costruiti dalle truppe imperiali. Il tutto con un vasto sguardo sulla sottostante Vallagarina

di
Davide Leveghi
28 agosto | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

 Data la posizione, il Monte Faè svolse durante la guerra differenti funzioni a seconda della spostamento del fronte. Prima linea nei primi mesi del conflitto, ospitò poi, dopo l’offensiva austro-ungarica della primavera del 1916 (QUI un approfondimento), ricoveri, posti di medicazione ed ottime postazioni d’osservazione, dominanti l’intera Vallagarina. L’avanzata imperiale sugli Altipiani, infatti, costrinse il Regio esercito ad arretrare anche sulla destra dell’Adige, determinando un dislocamento a sud della linea del fronte.

 

La vicenda di questo luogo nel corso della Grande Guerra, dunque, seguì gli andamenti del conflitto. Nondimeno, questa rientra nei profondi sconvolgimenti che interessarono la zona, battuta dalle artiglierie italiane e coinvolta direttamente negli scontri. La Val di Gresta, di cui il Monte Faè fa parte, fu infatti territorio di prima linea, rimasto sempre sotto controllo austriaco per tutto il corso della guerra con l’Italia, scoppiata nel maggio del ’15 e conclusasi dopo 4 terribili e sanguinosi anni nel novembre del ’18.

 


Le frecce gialle indicano il percorso da seguire. La cartina illustra l'organizzazione del caposaldo del Monte Faè durante la guerra

Le frecce gialle indicano il percorso da seguire. La cartina illustra l'organizzazione del caposaldo del Monte Faè durante la guerra

 

Prima di calarci in questo luogo e nella sua storia, però, è bene come da programma illustrare i dettagli tecnici dell’escursione. La visita al Monte Faè (950 metri) può essere fatta da diversi punti di partenza. La prima opzione, unica che preveda del dislivello, è di partire dall’abitato di Nomesino, raggiungibile dalla strada di Loppio che sale verso la Val di Gresta. Da Valle San Felice bisogna proseguire per Manzano e da lì a Nomesino, ubicato a 776 metri sul livello del mare. Una piacevole salita di 174 metri di dislivello permette attraverso la strada asfaltata di raggiungere la selletta del Faè. Da qui – seconda opzione – è possibile partire per la visita, effettuabile in qualsiasi mese dell’anno ed adatta anche ai meno esperti.

 


Il paese di Nomesino e la vista sul basso Trentino. Sulla destra il bivio alla selletta del Monte Faè, dove comincia l'itinerario

Il paese di Nomesino e la vista sul basso Trentino. Sulla destra il bivio alla selletta del Monte Faè, dove comincia l'itinerario

 

Quella sul Monte Faè, dunque, è un’esplorazione di un luogo del fronte. Lungo i margini della cima, infatti, sono visibili e visitabili i manufatti dello schieramento e della difesa austro-ungarici, restaurati dall’associazione culturale e ricreativa Castel Frassem di Nomesino. Si possono incontrare postazioni di artiglieria, trincee in roccia, aperte o coperte, e i segni di una rete trincerata che al tempo della guerra era difesa da reticolati e mitragliatrici. La linea difensiva, nei primi mesi di guerra, passava come detto anche da qui: da Rovereto risaliva il Monte Faè, per poi abbassarsi gradualmente al Nagià Grom (QUI l’articolo) e al Passo San Giovanni. Nello scacchiere del conflitto, pertanto, il Faè ebbe funzione di caposaldo e di punto di collegamento, offrendo inoltre un ottimo osservatorio sulla Vallagarina.

 


L'osservatorio sulla Vallagarina

L'osservatorio sulla Vallagarina

 

Caposaldo d’artiglieria assieme al sovrastante Monte Biaena, il Faè svolse un importante ruolo di fiancheggiamento per il fronte dello Zugna, proteggendo sul lato destro le truppe impegnate in marce e battaglie al di là dell’Adige. Nondimeno, la sua posizione permetteva anche la copertura del fondovalle e del Monte Altissimo, occupato dal Regio esercito nei primi giorni di guerra e per molto tempo ultima propaggine della linea italiana.

 


Il fronte e le linee italiana (in rosso) ed austriaca (in blu) (Credits to Museo della Guerra di Rovereto)

Il fronte e le linee italiana (in rosso) ed austriaca (in blu) (Credits to Museo della Guerra di Rovereto)

 

Fu nella primavera del 1915 – come testimoniato anche da una scritta scolpita nel cemento, in una delle trincee del caposaldo – che il Monte Faè venne interessato dai febbrili lavori in vista della guerra. Rientrando nella Tiroler Widerstandslinie (la “linea di resistenza tirolese”), sulla cima i militari dell’Imperial-regio esercito realizzarono un sistema di trincee difese da più linee di reticolati e collegati da camminamenti. Le fotoelettriche illuminavano gli obiettivi dei bombardamenti, effettuati con cannoni ed obici in caverna.

 


Le trincee, aperte e coperte

Le trincee, aperte e coperte

 

Se il limitare del Monte si sviluppa fra trincee e punti d’osservazione utilizzati dai comandi – raggiungibili seguendo le frecce gialle sparse in tutto il Monte – le retrovie, al sicuro dai tiri nemici, ospitavano invece i servizi. Dei baraccamenti per truppe e comandi, degli accantonamenti, dei depositi, dei magazzini, delle cucine, delle docce e della stalla poco è rimasto, ma la loro originaria collocazione è indicata dalla segnaletica.

 


I cartelli indicano la collocazione dei manufatti del caposaldo

I cartelli indicano la collocazione dei manufatti del caposaldo

 

Come accennato, inoltre, l’offensiva di primavera del 1916 cambiò non poco la funzione del Faè. Lo spostamento della linea del fronte più a sud, infatti, determinò la scelta dei comandi austro-ungarici di ritirare gran parte delle artiglierie, facendo del Monte un luogo privilegiato per l’osservazione della vallata sottostante e per la cura dei feriti. La posizione riparata garantì anche la possibilità di tornare a coltivare i campi, sostenendo i rifornimenti del fronte.

 


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