Gli itinerari de L’AltraMontagna: tra Alpi e Lago Maggiore, affacciati sulla Val Grande
Sulla Cima della Laurasca, splendido belvedere sul mondo selvaggio della Val Grande. Una cima iconica e frequentata, che in autunno si trasforma in una meta silenziosa e dal grande fascino
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Mattina presto, autunno inoltrato. Percorro la Val Vigezzo e a Malesco svolto per risalire la Val Loana sulla piccola rotabile che conduce a Fondo Li Gabbi, punto di partenza della mia escursione alla Cima della Laurasca. Le prime luci del giorno si insinuano tra i larici e l’aria è pungente, carica del profumo della terra bagnata e delle foglie cadute. Il sentiero che mi aspetta mi porterà su una delle vette più celebri e belle della zona, a 2195 metri di quota su quella Cima della Laurasca che sovrasta, imponente, la Val Grande. Già, la Val Grande, un luogo che evoca fascino e mistero, anche se per certi versi, negli ultimi decenni, è stata “addomesticata”, facendo storcere il naso ai puristi, quelli “della prima ora”. È conosciuta come l’area wilderness più vasta d’Italia, un territorio aspro e selvaggio, una riserva naturale in cui la natura ha riconquistato il suo spazio. Uno spazio dove i segni dell’attività umana sono ormai sovrastati da foreste selvagge, valli impervie e torrenti incassati, in uno dei parchi naturali più intatti e suggestivi del nostro Paese. La Cima della Laurasca, con la sua forma piramidale, è un punto di osservazione privilegiato per abbracciare con lo sguardo questa meraviglia della natura e al contempo sentirsi parte di essa.
Antiche tracce umane
Mi avvio sul sentiero n° M14, che parte direttamente dal parcheggio, e inizio a risalire la valle, immerso in un silenzio totale, avvolgente. La mia meta si profila all’orizzonte, e i colori dell’autunno rendono l’atmosfera quasi magica, una tavolozza che trasmette un senso di pace e, al contempo, di potenza, come se la montagna mi ricordasse di essere solo un visitatore. Dopo poco attraverso il torrente Loana e arrivo ai resti delle antiche fornaci per la calce, che raccontano un’epoca passata, quando la vita era scandita da ritmi di lavoro e fatica. Osservando le fornaci, immagino le mani callose degli uomini che qui lavoravano, nel tentativo di trarre dal territorio i materiali necessari alla costruzione di case e stalle. Oggi, questi resti testimoniano l’incredibile capacità umana di adattarsi e vivere in armonia con la natura, un’armonia che però non ha retto all’arrivo dell’industrializzazione, costringendo alla fine gli abitanti ad abbandonare queste valli isolate. È uno dei tratto distintivi della Val Grande, ma che accomuna quasi tutte le Alpi: antichi alpeggi, segni tangibili e silenziosi di un tempo che fu, quando ogni fazzoletto di terra, ogni prato e ogni bosco, veniva faticosamente “sfruttato” per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti.
Il sentiero sale ora con un ritmo costante tra faggi e larici, offrendo alcuni scorci panoramici sulla valle sottostante. Più in alto raggiungo l’Alpe Cortenuovo, a quasi 1800 metri di quota, e il paesaggio inizia a cambiare, con gli alberi che si diradano, lasciando spazio a praterie alpine che si estendono verso l’Alpe Scaredi, mia prossima meta, una radura che funge da ingresso alla Val Grande per chi proviene dalla Val Loana.
Sospesi sopra le valli
L’Alpe Scaredi, a 1842 metri di quota, è un luogo speciale: un altopiano isolato e aperto, circondato da una bellezza quasi primordiale. Qui sorge anche un piccolo bivacco, ricavato in una delle baite, che molti escursionisti usano come punto di ristoro o di pernottamento. Mi fermo un momento ad ammirare il panorama, il cielo che si apre all’orizzonte rivelando la maestosità delle Alpi e la sagoma lontana del Monte Rosa. È un paesaggio che non stanca mai e che, al contrario, invita a rallentare, a fare un respiro profondo e lasciare che gli occhi si riempiano di tanta vastità. Dall’Alpe Scaredi il sentiero prosegue in direzione sudest, passando vicino a piccoli laghetti alpini che in questa stagione iniziano a mostrare i primi segni del freddo imminente. Sono sul confine dell’area protetta, che si distende con un mare di vegetazione sul versante opposto, tra profonde valli, misteriose e all’apparenza impenetrabili, circondate da versanti ripidissimi. Proseguo tra rocce e pendii detritici, salendo verso il crinale che mi condurrà sulla vetta. I tornanti si fanno più ripidi e richiedono una certa attenzione, soprattutto nei tratti più esposti. Alcune catene metalliche agevolano il passaggio nei tratti più ostici, dove il sentiero si fa impegnativo e si percepisce la verticalità della montagna. Ogni tanto mi fermo per guardarmi intorno e lasciarmi sorprendere dalla grandiosità della Val Grande sotto di me. A ogni metro di salita, il paesaggio svela nuovi angoli di wilderness, tanto aspri quanto affascinanti, che ha saputo respingere la modernità, preservando un’anima selvaggia e potente, che colpisce chiunque vi si addentri.
Sono passate oltre tre ore dalla partenza quando arrivo finalmente in vetta. Mi siedo su una roccia, lo sguardo spazia dalle cime innevate delle Alpi al Lago Maggiore, visibile in lontananza. Il vento è freddo e pungente, ma la vista ripaga di ogni sforzo. Qui, in cima, mi sento parte della montagna, e la fatica della salita svanisce, lasciando spazio solo alla meraviglia. C’è una strana intimità che si crea in questi momenti, una sorta di connessione con l’ambiente difficile da spiegare. Non ci sono rumori, solo il vento e il richiamo di qualche rapace che vola in lontananza, e tutto appare chiaro, limpido, come se il mondo si fosse fermato per un istante. Mentre scendo, il pensiero corre alle storie che queste valli nascondono, alle vite di chi, per secoli, ha vissuto tra queste montagne. E l’escursione diventa un ritorno alla natura più autentica, a quella wilderness che qui, sulle montagne della Val Grande, sopravvive intatta, ricordandoci la bellezza e la fragilità del nostro ambiente.
IL PERCORSO
Regione: Piemonte
Partenza: Fondo Li Gabbi (1256 m)
Accesso: da Domodossola, o da Cannobio, sul Lago Maggiore, si sale verso la Val Vigezzo fino al paese di Malesco, dove si prende la piccola rotabile che risale la Val Loana
Arrivo: Cima della Laurasca (2195 m)
Dislivello: 950 m
Durata: 3 h e 30 min
Difficoltà: EE (escursionisti esperti)
Immagine di apertura: la croce di vetta della Cima della Laurasca (2195 m); sullo sfondo, il Lago Maggiore. © Philippe Noth