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Gli itinerari de L’AltraMontagna: in alta Valmalenco, di fronte al Disgrazia

Risalendo la lunga e solitaria Valle del Muretto, fino all’omonimo passo sul confine elvetico, sulle orme di commercianti ed eserciti

di
Luigi Dodi
05 luglio | 17:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

I valichi alpini sono utilizzati da secoli, a volte da millenni, per mettere in comunicazione l’Italia con i territori del Nord, dalla Francia alla Germania, passando per Svizzera e Austria. Si cercavano ovviamente le vie più agevoli, almeno in estate, anche se non mancano arditi esempi di ostici percorsi a quote elevate, dove far passare le rotte commerciali e spesso anche gli eserciti. Come nel caso del Passo del Muretto, in alta Valmalenco sopra Sondrio, raggiungibile con una facile mulattiera, che sul versante opposto cala, altrettanto agevolmente, in Engadina all’altezza del Passo del Maloja. Utilizzato probabilmente già in epoca preistorica, e sicuramente dai Romani, come testimoniato dal ritrovamento di monete nei pressi del valico, il Passo del Muretto venne molto frequentato a partire dal Medioevo, soprattutto per scambi commerciali a carattere locale. È però nel 1618 che il passo diventò tristemente famoso, quando una spedizione di soldati elvetici della Lega Grigia (i Grigioni, protestanti e con giurisdizione sulla Valtellina cattolica) lo valicò per calare in Italia e rapire Nicolò Rusca, arciprete della parrocchia di Sondrio. Portato a Thusis e processato da un tribunale speciale, lo Strafgericht, morì dopo sotto tortura il 4 settembre, suscitando l’indignazione della popolazione cattolica valtellinese, che sfociò in una sanguinosa ribellione contro i protestanti della valle, passata alla storia come il “sacro macello valtellinese”.


Il versante nord del Monte Disgrazia (3678 m). © Giorgio Rodano

Alle spalle, i ghiacciai
Con questi pensieri in testa, risalgo tutta la Valmalenco, superando il centro turistico di Chiesa e anche Chiareggio, ultimo abitato della valle, fino al termine della strada a Pian del Lupo. L’aria è ancora fresca, sono le prime ore del giorno, e mi dico di aver scelto bene il periodo: siamo a inizio estate, c’è ancora poca gente in giro, e mentre mi incammino dal parcheggio, intuisco solo le alte cime che mi circondano. Sono ai piedi del Disgrazia e a breve distanza dal Bernina, e seguendo la comoda sterrata entro nel bosco e guadagno lentamente quota. Ecco, basta salire un po’ e subito la corona di cime prende forma di fronte a me: ecco la Val Sissone e l’omonimo monte, il Disgrazia, con la sua grande parete nord e il tormentato ghiacciaio, il Pizzo Cassandra, le Cime di Chiareggio. Saranno le mie compagne durante tutta la salita. Volgendo decisamente a nord, con continue svolte nella vegetazione raggiungo l’Alpe dell’Oro (2010 m), splendido terrazzo panoramico, dove la vista si apre ulteriormente, e dove incrocio l’Alta Via della Valmalenco, grandioso itinerario in quota che compie il periplo di tutta la valle. Proseguo sulla comoda e larga traccia, che in breve esce dal bosco e mi svela tutta la lunga Valle del Muretto, con il valico là in fondo. Sembra quasi vicino, ma so per esperienza che le distanze, insieme all’euforia data dal cammino e dall’ambiente circostante, sono spesso ingannevoli in montagna. Non ho fretta, la giornata è ancora lunga, e continuo lentamente sulla bella traccia, realizzata dal Genio militare tra il 1935 e il 1940 con intenti difensivi (come testimoniato dalla “trincea” di osservazione che supero dopo poco), fino a 2115 metri di quota, dove devo abbandonare per un tratto il percorso storico, interrotto da una frana, seguendo un tracciato poco più basso.


In arrivo al Passo del Muretto (2562 m). © Luca Gaggi

Un affaccio verso l’Engadina
L’ambiente circostante è davvero bello, silenzioso, selvaggio e solare allo stesso tempo. La valle è un solco quasi perfettamente rettilineo, chiuso da ripidi versanti e aperto verso sud sulla Val Sissone e il Gruppo del Disgrazia. La mulattiera, a tratti perfettamente conservata, sale con pendenza costante, senza strappi, attraversando magri pascoli e alcuni ghiaioni. Supero una conca, la Zoca Granda, e l’aria quasi immobile comincia a farmi sentire un certo caldo. La mia meta, ora, si è decisamente avvicinata, la vedo a destra di una caratteristica formazione rocciosa tondeggiante, la Bala del Müret. La pendenza, nella parte terminale, aumenta decisamente, e la mulattiera a tratti si perde tra le rocce, ma la direzione è evidente, impossibile sbagliare. Vinco un breve salto e mi porto alla base del corridoio terminale, che non si affronta direttamente, ma salendo prima a destra, poi traversando per tornare al centro dell’ultima valletta, che mi conduce direttamente al Passo del Muretto (2562 m), dove mi accolgono solo alcuni ometti di pietra e il rumore del vento. Mi affaccio verso l’Engadina, lasciandomi alle spalle il mondo del Disgrazia, e allungando lo sguardo a nord, sulle Alpi svizzere che si alzano sopra il Maloja. Mi torna in mente quando, un autunno di parecchi anni fa, da qui proseguii alla capanna del Forno, dove pernottati nel locale invernale, in completa solitudine sopra la lunga colata del Ghiacciaio del Forno, per poi rientrare in Valmalenco, il giorno seguente, attraverso il Passo del Forno. Un anello di una bellezza selvaggia, non banale, ma dalla grande soddisfazione. Senza accorgermene, faccio qualche passo in quella direzione, poi mi ridesto e sorrido. Mi tolgo lo zaino, mi siedo su un masso e mangio qualcosa. Mi concedo una lunga sosta, avvolto dal silenzio della quota, prima di tornare sui miei passi.

 

 

IL PERCORSO
Regione: Lombardia
Partenza: Chiareggio (1612 m)
Accesso: da Sondrio, in Valtellina, si sale a Chiesa in Valmalenco e si prosegue sull’unica strada fino al suo termine
Arrivo: Passo del Muretto (2562 m)
Dislivello: 950 m
Durata: 3 h
Difficoltà: E (escursionistico)

 

Immagine di apertura: l’abitato di Chiareggio (1612 m), punto di partenza dell’escursione, con, da sinistra, le Cime di Chiareggio (3107 m e 3093 m), il Monte Sissone (3328 m) e la Cima di Vazzeda (3300 m). © G. Carapella

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