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Gli itinerari de L’AltraMontagna: tra pianura e mare, immersi nell’Appennino Ligure

Sulla grande e poderosa piramide del Monte Tobbio, che si alza inequivocabile tra Gavi e Ovada, dove perdersi in un giro d’orizzonte a 360 gradi

di
Luigi Dodi
29 marzo | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

La sua mole si distingue da lontano, arrivando da Gavi in direzione di Voltaggio, dove le colline di questo angolo sudorientale del Piemonte cedono il passo ai primi rilievi dell’Appennino Ligure (che qualcuno chiama anche, forse impropriamente, Appennino Alessandrino). È il Monte Tobbio, una montagna di 1092 metri di altezza, molto conosciuta in quest’area appartata dove il Piemonte si avvicina alla Liguria, fuori dai grandi circuiti escursionistici, ma che sa regalare, soprattutto nelle mezze stagioni, e ancor più nelle terse giornate invernali, grandi emozioni e, soprattutto, immensi panorami. Siamo all’interno del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, tra le valli del Gorzente e Lemme, nel massiccio del Monte delle Figne, del quale il Tobbio rappresenta l’ultima grande elevazione settentrionale. Tubiu in dialetto basso-piemontese, tuggiu in ligure, il toponimo sembrerebbe derivare da un termine germanico (tug) che indica forse la presenza di un riparo sulla cima, dove oggi c’è la chiesetta di Nostra Signora di Caravaggio, risalente al 1892, e un piccolo ricovero del Cai di Novi Ligure, utile in caso di maltempo. Toponimi e luoghi sconosciuti ai più, magari abituati a nomi – e quote – ben più altisonanti, ma non per questo privi di fascino, di attrattive anche per l’escursionista esigente. E soprattutto luoghi del cuore per chi abita queste terre, e che riconosce la familiare sagoma piramidale del Tobbio da lontano. In fondo le montagne italiane sono anche queste, cime e valli un po’ dimenticate, così piacevoli da ri-scoprire, immergendosi in una natura ancora intatta e nelle tante storie che la abitano, da tempi immemori.


La prima parte della salita. © Federico Bellinvia

Radi boschi nel vento
Per un attimo, studiando la cartina, siamo tentati dalla salita diretta da Voltaggio, con un lungo percorso sulla dorsale nordorientale della montagna, che richiede, a occhio e croce, almeno 3 ore di cammino, nonostante il dislivello non superi gli 800 metri. Ci teniamo questa possibilità per la prossima volta, le giornate non sono ancora lunghissime e il sole è già sorto da un pezzo, quindi preferiamo continuare in auto fino al Valico degli Eremiti, a 559 metri di quota a nord di Voltaggio. Rimaniamo leggermente stupiti dalla presenza di tanti escursionisti (riusciamo a trovare ancora posto per l’auto, nonostante i parcheggi siano limitati): in effetti ci saremmo aspettati di essere quasi soli, ma evidentemente ci sbagliavamo, segno che questi luoghi sono molto amati. Certo, non è l’affollamento che si trova nei luoghi iconici delle Alpi in piena stagione, ma se pensavamo di camminare in solitudine, eravamo fuori strada! La strada da seguire, invece, è ben chiara, non solo per l’ottima segnaletica, ma soprattutto per i tantissimi passaggi, che, insieme alle precipitazioni e ai fenomeni erosivi, hanno reso la mulattiera più che evidente, e a tratti molto sconnessa (ce ne accorgeremo più in alto…). Scambiando qualche parola con alcuni “locali”, ci confermano che questo percorso, soprattutto nelle mezze stagioni, è molto frequentato, tanto che il Parco ha svolto negli ultimi anni un intenso lavoro di segnalazione e ripristino delle tracce, con una contestuale opera di sensibilizzazione per convincere gli escursionisti a rimanere solo sui sentieri ufficiali, senza seguire le tante scorciatoie possibili o “inventare” nuovi tracciati, con i conseguenti rischi.
Ci incamminiamo anche noi, seguendo la segnaletica (n° 401 o tre bolli gialli pieni, in direzione del Passo della Dagliola) e l’ampia traccia che sale in un rado bosco di pini, cullati da un vento che siamo sicuri ci darà del filo da torcere più in alto. Potremmo anche seguire la cosiddetta “Diretta” sul versante nord (n° 401A), come stanno facendo diverse persone, che insieme al precedente sono gli unici due percorsi per salire sul Tobbio, ma ci teniamo questa possibilità per la discesa (ci accorgeremo solo allora che forse sarebbe stato meglio usarla per la salita…), e con un lungo traverso ascendente, che taglia il fianco nordest della montagna e incrocia il sentiero proveniente da Voltaggio, arriviamo al Passo della Dagliola (856 m), sella erbosa aperta sulla cresta est del monte. Il bosco ha ceduto il passo a pendii erbosi sferzati dal vento, l’ambiente circostante è senza dubbio particolare, di una bellezza quasi aspra, sincera, e sopra di noi si allunga la ripida dorsale che conduce in vetta. Il panorama inizia ad aprirsi, e se a nord si intuisce la pianura, a sud la vista è oscurata da un selvaggio intrico di valli, creste, cime tondeggianti. Qualcuno si ferma qui, soddisfatto dell’escursione e dei panorami, ma in molti proseguono, e noi con loro.


Verso la cima del Monte Tobbio dal Passo della Dagliola (856 m). © Federico Bellinvia

Su e giù per le creste
La pendenza aumenta, alcuni tornanti aiutano a prendere quota in questo paesaggio brullo, quasi lunare, tra erba e rocce affioranti, e dopo poco riusciamo già a scorgere la chiesetta sulla cima, una macchia bianca che luccica sotto il sole. Il vento non è diminuito, anzi, e sul ripido sentiero dal fondo instabile ci sembra di camminare piegati dalle raffiche, con il sibilo nelle orecchie. Non è una sensazione spiacevole, anzi, tutto sembra così naturale, e anche questo vento va a comporre un quadro particolare, dove ogni elemento è inserito armoniosamente nel contesto generale. Un traverso sul ripido pendio, e ci riuniamo con il sentiero della Diretta, poco prima delle ultime svolte che ci permettono di uscire sulla spoglia cima, con la piccola chiesa e uno strano traliccio di metallo di cui non capiamo bene il senso. Insieme agli altri escursionisti, cerchiamo riparo dal vento, chi dentro la chiesa, chi nel piccolo ricovero, noi semplicemente addossati al muro. Paradossalmente c’è silenzio, si scambiano solo poche parole (anche perché il vento le risucchia lontano), e si ammira il panorama, grandioso. A sud, oltre i Laghi del Gorzente e le cime dell’Appennino Ligure, si vede il mare, e dicono che a volte si scorga la Corsica (eccola! Ma no, non è lei… O forse sì?). A nord, l’arco alpino si distende in tutta la sua ampiezza, a circondare la pianura con un abbraccio di roccia. Le Marittime, il Monviso, sempre inconfondibile, il Monte Rosa, quelle devono essere le Retiche, e più in là ancora lo sguardo si perde in lontananza, chissà su quali montagne da qui irriconoscibili.
È giunto il momento di tornare a valle, e decidiamo di affrontare la ripida discesa per il versante nord. Ripercorriamo l’ultimo tratto di sentiero in comune, quindi prendiamo a sinistra (n° 401A, cerchio giallo barrato) e dopo un valloncello roccioso e leggermente esposto, ci buttiamo a capofitto sul costone (evitando le scorciatoie, come ci è stato raccomandato). Il sentiero è ripido, il fondo è decisamente instabile, e la discesa si rivela non particolarmente agevole, a tratti faticosa. Bisogna prestare attenzione, a non smuovere materiale e soprattutto a non scivolare, ma si perde rapidamente quota, e rientrati nel bosco, non rimane che affrontare gli ultimi traversi per tornare al Valico degli Eremiti. Sono quasi tutti andati via, il sole è già basso sull’orizzonte, e anche il vento sembra essere sparito, almeno qui in basso.

 

IL PERCORSO
Regione: Piemonte
Partenza: Valico degli Eremiti (559 m)
Accesso: da Gavi, portandosi a Voltaggio
Arrivo: Monte Tobbio (1092 m)
Disilvello: 550 m
Durata: 1 h e 45 min
Difficoltà: E (escursionistico)

 

Immagine di apertura: il Monte Tobbio (1092 m), con il versante di salita dal Passo della Dagliola.

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