Gli itinerari de L’AltraMontagna: sulle creste dell’Alpago
Una lunga cavalcata in alto sopra pascoli e boschi, sospesi tra le rocce dolomitiche del Col Nudo. Una proposta estiva per chi cerca emozioni intense in un mondo selvaggio
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
A volte le apparenze ingannano, e durante il viaggio non puoi ancora sapere cosa ti aspetta più avanti. In fondo, è una delle cose belle dell’andare in un posto nuovo, sconosciuto. Nelle settimane precedenti studi la cartina, scruti le curve di livello, segui i tracciati dei sentieri, leggi il territorio, osservando dove finisce la vegetazione e iniziano le praterie, e dove queste lasciano spazio alle rocce. Ti documenti, insomma, anche sul web. E decidi il percorso da fare a piedi, compatibile con il tempo a disposizione, con le immagini che iniziano a delinearsi nella mente, in una sorta di aspettativa fantastica. Poi arrivi e tutto prende forma, una forma reale questa volta, che da una parte esalta il percorso immaginifico dei giorni precedenti la partenza, dall’altra lo stravolge, riportandoti alla solida realtà montana. Ecco la strada tra i prati, che attraversa piccoli paesi e boschi, fino al parcheggio del rifugio che si raggiunge in due minuti a piedi; lassù la cresta che si deve seguire, fino alla cima che sembra apparire in lontananza (sarà davvero lei?), sulla destra il vallone dove scendere. Tutto torna, e tutto sembra così diverso. Siamo in Alpago, quella grande conca che chiude a sudest la provincia di Belluno, sul confine con il Friuli, dove è adagiata la celebre foresta del Cansiglio. La corona di montagne che circonda l’Alpago rientra nelle Prealpi Bellunesi, la roccia è la dolomia, e le cime superano di poco i duemila metri, quindi bisogna venirci in estate, culminando sui 2471 metri del Col Nudo. Ed è proprio questa la nostra meta.
Sospesi nel vuoto
Lasciamo l’auto al parcheggio del rifugio Dolomieu al Dolada, intitolato al celebre Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, il geologo francese, vissuto sul finire del Settecento, dal quale prende il nome la roccia dolomitica. Dolomiti, sì, perché anche se siamo distanti dai Monti Pallidi più celebrati – e frequentati – che si distendono tra Veneto e Trentino – Alto Adige, anche qui la roccia è dello stesso tipo, e non tarderemo ad accorgercene. E dolomitico è anche l’itinerario che ci accingiamo a percorrere, anzi, è un tratto dell’Alta Via delle Dolomiti n° 7, conosciuta anche come Alta Via Patéra, in onore di Lothar Patéra, pioniere austriaco dell’alpinismo di inizio Novecento, grande appassionato di montagne poco conosciute, come lo sono queste cime che stiamo per calcare. Ci carichiamo sulle spalle lo zaino, pesantissimo, perché la scorta d’acqua che dovremo portarci sulle spalle non è indifferente, visto che la conformazione geomorfologica di questo territorio non lascia speranze di trovare una sorgente o un torrente. Dopo un caffè al rifugio Dolada, luogo di culto pastafariano (ma questa è un’altra storia…), ci incamminiamo sul sentiero che sale tra i pascoli, poi nel bosco, e subito ci rendiamo conto della principale caratteristica di queste montagne: la ripidità. Arrivati alla Forcella Dolada (1739 m), dove si mette piede sulla lunga dorsale che chiude a nord l’Alpago, affacciandosi sulla Valle del Piave e sul Lago di Val Gallina, con le vette dolomitiche che appaiono all'orizzonte, il concetto di “ripido” prende forma in tutta la sua potenza. Da qui in avanti, infatti, si segue la stretta cresta erbosa che letteralmente precipita su entrambi i versanti per centinaia di metri. Il sentiero non è difficile, e solo in alcuni passaggi bisogna fare un po’ di attenzione, ma certo non è consigliabile uscire dalla traccia o, peggio ancora, inciampare e ruzzolare verso il basso… In compenso, si cammina quasi sospesi nel vuoto, con la vista che può spaziare libera tutto intorno. Ammesso che le nuvole basse ve lo concedano, perché l’umidità che sale dalla pianura avvolge spesso queste montagne. Un limite al panorama, certo, ma avanzare immersi in un mare lattiginoso ha il suo indubbio fascino. La lunga dorsale prosegue quasi rettilinea, e il cammino è un continuo saliscendi, superando il Col Mat (1981 m), poi la Forcella Gallina (1875 m), quindi poco sotto la Forcella della Lastra (1825 m), senza farsi tentare dalle tracce che scendono da una parte e dall’altra.
Notte in quota
Solo più avanti, sotto il Cimon delle Basilighe, si abbandona la ripida dorsale e, verso destra, si traversa scende su ripidi prati e roccette, in direzione dell’ampio circo detritico dominato dal Col Nudo. Il mondo tutto intorno cambia, i magri pascoli lasciano spazio a grandi lastronate rocciose e vaste colate di ghiaie. Un lungo traverso si intuisce appena in questo anfiteatro maestoso, di un silenzio quasi surreale. Poco dopo si incontra un bivio, ed è qui che prendiamo a sinistra, iniziando a risalire su faticoso terreno detritico in direzione della dorsale superiore. Potremmo anche scegliere di restare sul tracciato principale dell’Alta Via n° 7, che conduce direttamente al Passo di Valbona, incrociando anche il sentiero che scende a valle. Ma la cima è come una calamita, e nonostante il peso dello zaino, che rende l’ascesa lenta e faticosa, seguendo vaghe tracce e qualche ometto, dopo poco sfioriamo la Forcella Bassa del Col Nudo. Prendiamo a destra per rimontare il crestone che, con alcuni passaggi di facile arrampicata, conduce sulla cupola del Col Nudo. Le fatiche sono finite, la soddisfazione è grande, il silenzio totale. Difficile incontrare qualcuno, se non un camoscio che corre via seguendo tracce a noi proibite. Gli occhi possono abbracciare tutto l’orizzonte, dalla pianura alla vicina Schiara – sembra quasi di poterla toccare – fino alle lontane Dolomiti. Vorremmo fermarci qui a lungo, ma le ombre del pomeriggio si allungano, dobbiamo scendere, e per raggiungere il luogo dove pernotteremo seguiamo la cresta che scende a Cima Lastei (2441 m). In realtà, partendo presto al mattino si può rientrare in giornata, ma con una sorta di masochismo alpino, non vogliamo perderci la scomodità di un bivacco in quota. Rocce, ripidi pendii che sembrano precipitare nel nulla, dove ancora una volta serve cautela, e in breve siamo al Passo di Valbona (2130 m). Subito sotto il valico, in versante Alpago, una modesta cavità nella roccia sarà la nostra dimora per la notte: è il ricovero Col Nudo, una grotta dove è presente solo un impalcato di legno, non proprio in ottimo stato, e qualche suppellettile malconcia. L’ingresso non ha alcuna copertura, solo uno steccato per impedire l’accesso agli animali, e dall’interno ci si affaccia direttamente sul grande anfiteatro roccioso. Uno stillicidio di acqua scende dalla volta della grotta, e riusciamo, durante le ore notturne, a riempire una borraccia. Non è proprio il grand hotel, e nemmeno uno dei classici bivacchi a semibotte sparsi sulle Alpi, ma dormire qui ha qualcosa di unico, di appagante, indescrivibile. Non è per tutti, certo, e come detto in precedenza, l’intero anello si può compiere in giornata, anche se richiede molte ore di cammino: sono almeno quattro per salire al Col Nudo, a camminare svelti, e almeno altrettante per tornare al punto di partenza, seguendo il sentiero che transita dal Col di Piero e scende alla Casera Scalet. Servono quindi buone gambe, le stesse che servono per continuare sull’Alta Via n° 7, percorrendo il magnifico sentiero attrezzato Rino Costacurta, che letteralmente taglia la parete nordest del Teverone, e poi lungamente, molto lungamente (quattro giorni, camminando tra le quattro e le otto ore ogni giorno), sulla dorsale che unisce il Crep Nudo, il Capel Grande, il Monte Messer e il Cimone del Cavallo, ormai in vista della pianura veneta. Ma anche questa è un’altra storia…
IL PERCORSO
Regione: Veneto
Partenza: rifugio Dolomieu al Dolada (1494 m)
Accesso: da Conegliano Veneto per Belluno, poi a Pieve d’Alpago
Arrivo: Col Nudo (2471 m)
Disilvello: 1250 m
Durata: 4/5 h; almeno altrettante per tornare al punto di partenza
Difficoltà: EE (escursionisti esperti)
Immagine di apertura: l’ultima parte della cresta che conduce sulla cima del Col Nudo (2471 m). © Jacopo Orsi