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Gli itinerari de L’AltraMontagna: nella solitaria Valle di San Lucano

Una facile e rilassante escursione ai piedi dell’Agner e delle Pale di San Lucano, tra fitti boschi e cascate nascoste. Alla scoperta di un territorio antico e selvaggio

di
Luigi Dodi
01 novembre | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

A volte si attraversa un territorio un po’ distrattamente, con lo sguardo e la mente rivolti al percorso che ci attende più in alto. Si passa in auto risalendo una valle, superando paesi, fino all’agognato parcheggio da dove, finalmente, si può iniziare a camminare. È un peccato, perché osservare il paesaggio che scorre dal finestrino non permette di coglierne le sfumature, gli odori e i suoni, i dettagli – naturali e culturali – che solo un lento procedere consente di apprezzare. A volte, però, anche un luogo già visto, perché ci si è passati più volte, può diventare esso stesso il terreno sul quale attivare una ri-scoperta. Magari complice l’inverno alle porte, con le giornate che si accorciano e il freddo pungente che invita a stare alle quote più basse. È così che mi ritrovo a Taibon Agordino, piccolo paese lungo il corso del Cordevole, tra Civetta e Pale di San Martino. Come altre volte, potrei svoltare sulla piccola rotabile che risale la Valle di San Lucano, ammirando le pareti dell’Agner e delle Pale di San Lucano sfilare ai lati della strada, ma questa volta decido di partire a piedi proprio dal paese, senza fretta e senza pormi una meta precisa. Semplicemente risalendo la valle.

 

Nella quiete dei boschi
Parto quindi dal centro di Taibon, da un piccolo parcheggio vicino al torrente Tegnas, nei pressi del centro sportivo, dove i segnavia bianchi e gialli mi indicano la direzione. Mi incammino sulla stradina che costeggia il corso d’acqua, mentre sullo sfondo e tutto intorno si alzano ripidi versanti boscosi, che più in alto diventano nuda roccia. Cammino nel silenzio, costeggiando il bosco su una comoda sterrata, mentre oltre il Tegnas scorrono le ultime case e si allunga la strada asfaltata che risale la valle. I raggi del primo sole filtrano tra gli alberi, supero la località Ai Vanti e in breve mi trovo al Laghetto delle Peschiere, un piccolo e suggestivo specchio d’acqua al cospetto delle Pale di San Lucano, dominato dal Monte Agner, mentre a est l’orizzonte è chiuso dalle Pale dei Balconi e, sul lato opposto, verso la Conca Agordina, si stagliano le cime delle Dolomiti di Zoldo, dalla Moiazza al Civetta, dal Gruppo di San Sebastiano alle Cime di Zità. Fino a qualche decennio fa il lago ospitava un’attività di pesca alla trota, ma oggi è un piccolo santuario di biodiversità, risistemato – non senza alcune polemiche – dopo il passaggio della tempesta Vaia nel 2018. Riprendo il cammino con modesti saliscendi, di fronte si alza la lunga e ripida forra del Boral della Besausega, che sale incassata tra Prima e Seconda Pala di San Lucano. Un sentiero in parte attrezzato, selvaggio e molto impegnativo, saliva questa lunga gola, fino a uscire sui pianori sommitali presso il bivacco Bedin: mi chiedo se è stato risistemato dopo Vaia, o se rimarrà solo un ricordo… Mi inoltro nella valle, avvolto da una quiete profonda e immerso in un bosco che in autunno sembra incendiare il paesaggio, tra sfumature di giallo, rosso e arancio, e il verde intenso delle conifere.


La cascata dell’Inferno. © Claudio Ghizzo

Grandi pareti e piccole cascate
Sul lato sinistro, tra le fronde, si alza il profilo severo del Monte Agner con la sua parete nord, una muraglia verticale che domina la valle con i suoi 2872 metri di quota. È la parete verticale più alta delle Dolomiti e tra le più alte di tutte le Alpi, con il suo vertiginoso Spigolo Nord, vinto nel 1932 da Celso Gilberti e Oscar Soravito, lungo quella che è ancora oggi la via più lunga dei Monti Pallidi, con un dislivello di circa 1650 metri e uno sviluppo di poco maggiore, e difficoltà fino al VI grado. Sul versante opposto ammiro le creste frastagliate delle Pale di San Lucano, montagne meno conosciute e frequentate rispetto alle altre Dolomiti, ma che proprio per questo conservano un fascino selvaggio e intatto. La tradizione popolare racconta che le Pale siano abitate da spiriti e creature misteriose, e in effetti, osservandole, si percepisce la forza silenziosa e immutabile di queste rocce, che sembrano custodire storie dimenticate. Con l’aiuto del binocolo, in fondo alla valle riesco a scorgere, tra le Pale dei Balconi, il Cor, una sorprendente breccia nella roccia a forma di cuore, che risalta tra le altre formazioni rocciose con una simmetria quasi perfetta, unica tra le Dolomiti. Poco più avanti, tra la Seconda e la Terza Pala di San Lucano, si intravede anche l’Arco di Bersanel, un ponte naturale che sembra sospeso tra realtà e leggenda, scolpito dal tempo e dall’erosione. Dopo tanto guardare verso l’alto, mi costringo a volgere gli occhi in basso, guardandomi intorno e camminando tra piccole radure e lunghi tratti nel bosco, superando località dai nomi misteriosi che rimandano a un antico passato: El Caval, Le Borsele, Farsenade, Molin. La segnaletica mi aiuta a destreggiarmi tra le molte piste, diverse delle quali aperte per consentire i lavori di ripristino in seguito a Vaia, e in meno di due ore arrivo a Col di Prà (843 m), una radura incastonata tra le montagne e composta da poche case immerse nel silenzio, dove termina la strada asfaltata proveniente da Taibon. Un luogo dove il tempo pare essersi fermato, dove si respira intatta l’atmosfera di un’epoca passata. Potrei fermarmi qui, a rilassarmi al tepore dei raggi del sole, ma decido di proseguire ancora per un tratto, risalendo brevemente la valle. Proseguo oltre le ultime case e mi incammino sulla vecchia strada militare, risalente a fine Ottocento. Dopo il primo tornante, affacciato sul piccolo torrente Bordina, prendo la deviazione a destra, godendo di notevoli scorci sul corso d’acqua e sulle sue cascatelle (una traccia disagevole, sulla destra, conduce alla cascate dell’Inferno: molta cautela in caso di terreno umido), e poco sopra torno sulla strada. Ancora un breve tratto in modesta salita, lungo la stretta valle, e raggiungo la località di Pont, spingendomi poco oltre, superato il ponticello, per ammirare altre belle cascate incassate nell’alveo del torrente. Acqua, roccia, boschi, antichi segni della frequentazione umana: mi godo in silenzio questo connubio unico, prima di tornare sui miei passi e ridiscendere a Col di Prà e poi a Taibon, questa volta seguendo interamente la strada asfaltata lungo la Via della Dolomia, con un’interessante immersione nella geologia della valle, grazie alle bacheche informative che raccontano la storia e l’archeologia industriale legata alla dolomia.

 

IL PERCORSO
Regione: Veneto
Partenza: Taibon Agordino (628 m)
Accesso: dalla Valbelluna si segue la SR203 che, lungo la Valle del Cordevole, sale ad Agordo e raggiunge Taibon Agordino
Arrivo: Pont (1149 m)
Dislivello: 600 m
Durata: 3 h e 30 min
Difficoltà: E (escursionistico)

 

Immagine di apertura: gli ultimi raggi di sole illuminano l’Agner (2872 m), che domina dall’alto la Valle di San Lucano. © Rachel Thecat

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